CITTA’ DI PIANO.IL TERZIERE DI SANT’AGOSTINO

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     IL RACCONTO DEL LUNEDI DI CIRO FERRIGNO 
    “Sant’Austino è ‘o paese cchiù viecchio ca ‘nce sta”.
    Questa affermazione dei nostri avi, adagio ripetuto mille volte, ha trovato conferma in anni recenti, quando la terra ha restituito la necropoli che ha attestato la presenza stanziale di genti del Gaudo, in una stratificazione che documenta altresì epoca arcaica, greca e romana.
    È un paese antico, Sant’Agostino, sicuramente il più antico della penisola sorrentina, potendo vantare quasi cinquemila anni!
    Chiaramente l’intitolazione del borgo al Santo, Dottore della Chiesa, è tardiva, rispetto all’origine dell’abitato; Agostino, vescovo di Ippona, visse dal 354 al 430 e la fama della sua santità, i suoi scritti, il suo pensiero cominciarono ad esser noti nel mondo cattolico solo gradualmente. Sorge spontaneo chiedersi quale fosse la primitiva denominazione dell’abitato e l’ipotesi più suggestiva e più attendibile è proprio Vico Alvano, ovvero il villaggio che si trova dove sorge il sole, nome che poi sarebbe rimasto alla vicina montagna. Resta da capire come, perché e chi abbia scelto di assegnarlo all’antico casale. Secondo il mio parere il toponimo risale ai benedettini dell’Abbazia di San Pietro a Cermenna, i quali davano alle loro proprietà, fondi o grancie nomi eruditi di santi padri della Chiesa: San Gregorio Magno (San Liborio), San Pietro (Petrulo), Sant’Agnello ed anche Sant’Agostino.Una seconda ipotesi porterebbe a considerare un convento di monaci agostiniani con annessa cappella ed il culto per il Santo Vescovo di Ippona. Le due ipotesi non sono antitetiche, gli agostiniani avrebbero potuto fondare una casa in una località già chiamata col nome del fondatore.
    L’antichità di Sant’Agostino è testimoniata anche altre due importanti considerazioni. La prima, avvalorata dallo studio e dalle ricerche degli archeologi, ritiene che la popolazione, ivi stanziata, poco alla volta abbia colonizzato la piana, in epoca arcaica, popolando il luogo delle grotte (Carotto) e che abbia fondato Galatea. Infatti, nel XVI secolo, quando i turchi la distrussero, gli abitanti trovarono rifugio nel luogo di origine che era proprio Sant’Agostino.
    La cappella del rione, tante volte restaurata nel corso dei secoli, sembra risalire al tre-quattrocento, ma ha subito importanti rifacimenti, gli ultimi nel 1858 e nel 1980. Ebbe un ruolo di primo piano fino a quando non fu costruita, a metà del XVI secolo, la vicina Basilica della Santissima Trinità. Un’antica lapide, ora in sacrestia, documenta la presenza di un sepolcreto o terra santa, ancora utilizzato nell’Ottocento per riporvi le vittime del vaiolo e del colera. La grande tela dell’altare rappresenta la Vergine con il Bambino con ai piedi Sant’Agostino e San Biagio e porta una data, il 1589 che si riferisce, sicuramente ad un intervento di restauro.
    Sul fianco destro della cappella c’è un massiccio fabbricato che presenta, al primo piano, delle camere allineate come celle di un antico convento. Che sia stato una dipendenza dell’Abbazia benedettina di San Pietro a Cermenna? È mistero fitto, ma la presenza monastica aleggia in questo luogo e nulla esclude che, nel lento trascorrere dei secoli, abbia potuto ospitare anche una comunità di agostiniani che molta affinità avevano con i benedettini, nel dedicare il loro tempo alla preghiera ed al lavoro. Non a caso le celle affacciavano su un piccolo cortile con alberi da frutta, quasi un chiostro per la preghiera, la meditazione ed il contatto con la natura. L’Ordine di Sant’Agostino, già detto degli Eremitani, sorse nel 1244, ma solo alla fine di quel secolo fondò case anche nell’Italia Meridionale. Nella dottrina della scuola di spiritualità dell’Ordine risultano chiari il primato dell’amore, della grazia e di Gesù Cristo. È tipica la devozione dell’Ordine all’umanità di Cristo e al mistero dell’incarnazione. Maria, patrona dell’Ordine, è tradizionalmente invocata anche come Nostra Signora di Grazia, titolo tanto caro agli abitanti del Piano!
    Un fatto è certo: l’importanza e la dignità date a questa chiesetta nel corso dei secoli attestano o la presenza di una comunità monastica, come punto focale del territorio, o la sede di una parrocchia, se non entrambe. L’antico convento, se non proprio un fortino, certo doveva essere atto a sostenere l’onda d’urto delle soldataglie saracene, con mura spesse, grate di ferro alle finestre e portoni in legno massiccio e ferro. Raccolti gli allarmi provenienti dalla vicina torre di Cermenna, collegata con segnali di fuoco e fumo con le altre del territorio, i monaci provvedevano ad allertare la popolazione con particolari e martellanti rintocchi di campana, per poi asserragliarsi tutti nell’edificio, anche per giorni, fino al cessato pericolo. Dove, se non nel convento fortezza di Sant’Agostino, si rifugiarono gli abitanti in fuga dalla distrutta Galatea?
    “Sant’Austino è ‘o paese cchiù viecchio ca ‘nce sta”. Ed è impressionante risalire il tempo, come si può fare con un fiume, dalla foce alle sorgenti, e scoprire o cercare di immaginare la storia. La costruzione della chiesa della Trinità (1543) è la foce, poi il terziere, gli agostiniani, i benedettini, su, su fino alla Civiltà del Gaudo. Sentire l’ebbrezza di navigare su un fiume che scorre da cinquemila anni!
    Il racconto del lunedì di Ciro Ferrigno

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