«Soldi da Gheddafi», Sarkozy nell’angolo. L’ex presidente francese in stato di fermo e interrogato

Fermo di polizia per Nicolas Sarkozy per i finanziamenti che l’ex premier francese avrebbe ricevuto dalla Libia di Gheddafi. La sua custodia potrà durare quarantotto ore prima che i magistrati decidano se confermare il suo arresto. L’ex presidente è trattenuto da ieri dalla polizia parigina dove è stato interrogato in relazione all’accusa di una dazione di circa 50 milioni di euro per finanziare la sua campagna elettorale del 2007, anche se al centro dell’interrogatorio sarebbero finiti solo 5 milioni di euro in contanti arrivati tramite il braccio destro Claude Guéant. Un caso che sconvolge la Francia, ma seguito da anni da tutte le intelligence internazionali, anche l’Italia che dall’intervento bellico in Libia del 2011 deciso da Sarkozy ha visto ridurre drasticamente l’egemonia del nostro Paese nello Stato nordafricano. Il sospetto ora è che Sarkozy abbia avviato il raid anche per far sparire le prove in possesso di Gheddafi sui finanziamenti. Dossier e morti sospette. Le accuse contro Sarkozy si basano sui documenti rinvenuti da un gruppo di ribelli di Bengasi che erano riusciti ad impossessarsi di oltre settanta cartoni di fogli dell’archivio di Gheddafi. Il materiale era stato consegnato dai ribelli a Mohammed Albichari, il figlio di un capo dei Servizi di Gheddafi. Il giallo si infittisce ancor di più dopo che due dei protagonisti che avevano avuto a che fare con il dossier, sia Albichari che Shukri Ghanem (ex ministro libico del Petrolio), moriranno in circostanze poco chiare poco tempo dopo la scoperta dell’esistenza dell’archivio. Cosa c’era scritto in quelle carte? La traccia di un finanziamento occulto di Gheddafi, di circa 50 milioni di euro, per la campagna presidenziale di Sarkozy del 2007. Il documento, considerato poi autentico dalla magistratura francese, era stato diffuso da un’inchiesta del sito di informazione Mediapart che – giova ricordare – non è mai stato querelato per diffamazione dall’ex presidente transalpino. La prova chiave è una lettera, datata 10 dicembre 2006, che chiede lo sblocco dei 50 milioni di euro a favore di Sarkozy. La nota è indirizzata da Moussa Koussa, allora capo dei servizi segreti di Gheddafi, a Bachir Saleh, direttore di gabinetto del Rais. La strana fuga. Quando nell’aprile 2012 Mediapart pubblica l’inchiesta arriva così la fuga di Saleh. Il braccio destro di Gheddafi, finito nel mirino dell’Interpol subito dopo la caduta del regime libico, viveva infatti in Francia sotto la protezione dei Servizi segreti transalpini. Cinque giorni dopo la pubblicazione di Mediapart, Saleh fa perdere le proprie tracce. Nello stesso dossier d’inchiesta della magistratura francese è coinvolto anche Claude Guéant, direttore della campagna di Sarkozy del 2007, poi numero due dell’Eliseo e ministro dell’interno, sotto indagine per un versamento di 500.000 euro. I giudici sospettano che quel denaro provenga proprio dalle reti libiche di Bachir Saleh e non dalla vendita di dipinti fiamminghi, come Guéant ha continuato a sostenere contro ogni evidenza. L’incontro centrale. Nel 2007 Sarkozy vince la corsa all’Eliseo. Alla fine di quell’anno, il 10 dicembre, esattamente un anno dopo la lettera che oggi inguaia l’ex premier, Sarkò riceve in pompa magna il Rais a cui viene finanche accordata la possibilità di alloggiare nel centro di Parigi con tende e relativo seguito delle sue amazzoni. Nel corso dell’incontro i due leader sottoscrivono commesse milionarie e poi la possibilità di costruire un imponente impianto di desalinizzazione per rendere l’acqua potabile. Un impianto che sarebbe dovuto essere alimentato dall’energia di una centrale nucleare venduta chiavi in mano dal gruppo francese Areva. Un’ipotesi, quella della vendita di impianti nucleari alla Libia, che causò forti tensioni tra Sarkozy e la comunità internazionale. Il complotto e l’uccisione. Ma il quadro muta in fretta. Nel 2009 il Rais giunge a Roma per incontrare l’ex premier Berlusconi: il colonnello tramuta nuovamente la «Giornata della vendetta» per il passato coloniale italiano, in una festa celebrata come «Giornata dell’amicizia». Oltre 20 miliardi di commesse completano la pace. In quel momento l’Eni possiede circa i due terzi delle commesse in Libia. Tutto cambia dopo il raid militare del 2011 deciso da Sarkozy, avallato dall’Onu e poi proseguito dalla Nato. Il 20 ottobre l’uccisione di Gheddafi con il sospetto che ad uccidere il Rais non fossero stati i ribelli ma un commando dei Servizi francesi. «La condanna – disse Mahmoud Jibril, ex premier libico del governo transitorio – è avvenuta per mano di intelligence internazionali che non volevano che Gheddafi parlasse di questioni compromettenti, visto che custodiva molti segreti e documenti». A completare il quadro ci sono poi le prove fornite dalle mail desecretate di Hillary Clinton dal Dipartimento di Stato Usa in cui un funzionario americano riassume i reali motivi del raid francese in Libia. «Il desiderio di Sarkozy di ottenere una quota maggiore della produzione di petrolio della Libia a danno dell’Italia – scrive elencando cinque punti il consigliere di Clinton – aumentare l’influenza della Francia in Nord Africa, migliorare la posizione politica interna di Sarkozy, dare ai militari un’opportunità per riasserire la posizione di potenza mondiale della Francia, rispondere alla preoccupazione dei suoi consiglieri circa i piani di Gheddafi per soppiantare la Francia come potenza dominante dell’Africa». 40 anni dopo i diamanti dell’imperatore centrafricano Bokassa al presidente francese Giscard, l’Eliseo finisce nuovamente nel ciclone. (Il Mattino)