Napoli. Raid incendiario alla sede centrale dell’Università Federico II, paura tra gli studenti. Il questore: «Gesto inquietante»

Napoli. L’allarme scatta alle 8,15 di ieri. A lanciarlo è il primo impiegato che mette piede all’interno delle stanze che ospitano il «Coinor» della Federico II, sede centrale, al corso Umberto. Fumo denso e nero si sprigiona improvvisamente nell’ampio corridoio superiore alla zona che ospita le lezioni, lontano peraltro dallo studio del rettore Manfredi. Ad alimentare la fiammata iniziale è una tanica in plastica che contiene benzina: alla bocca dell’improvvisato «serbatoio» qualcuno ha applicato uno stoppino di stoffa, ad uso di miccia, prima di far scoccare la scintilla da un accendino. Sui pannelli in legno scuro restano ancora i segni lasciati dalle fiamme. Si sono vissuti momenti di paura all’Università di Napoli. La prima, la più prestigiosa e importante del Sud. L’allarme lanciato ai vigili del fuoco dall’impiegato e da un custode è stato tempestivo ed è riuscito ad evitare conseguenze drammatiche: la fiammata iniziale ha soltanto provocato leggeri danni ad una scrivania e ad alcune pareti in legno della struttura. Sul posto sono giunte anche le Volanti della Questura e gli uomini della Digos, diretta da Francesco Licheri, che ora indagano per cercare di individuare l’attentatore e le ragioni che lo hanno spinto ad appiccare il fuoco. L’impiegato amministrativo che ha lanciato per primo l’allarme ha sulle prime pensato che si trattasse di un cortocircuito. Ma quando ha visto la bottiglia di plastica ancora fumante ha capito che si trattava di un gesto doloso. All’Università funziona un sistema di videosorveglianza che limita il proprio raggio d’osservazione ai due punti d’ingresso. E questo non aiuta certo a circoscrivere la zona del raid. I varchi dell’Ateneo sono un vero porto di mare che accoglie, quotidianamente, migliaia di persone. Ma la Polizia scientifica sta passando al setaccio tutti i fotogrammi. Al momento la Questura non esclude alcuna pista. «Si tratta di un gesto inquietante – dichiara il questore Antonio De Iesu – sul quale stiamo lavorando. Abbiamo alcune idee, ma non parliamo certo di atto terroristico». Un fatto è certo. Il piromane entrato in azione ieri mattina al corso Umberto si è introdotto nell’Università portando con sé la tanica di liquido infiammabile custodendola con ogni probabilità in uno zainetto, per non farsi notare dagli studenti e dal personale in servizio agli ingressi. Poi, una volta raggiunto il secondo piano, ha approfittato dell’assenza del custode che presidia il corridoio per sistemare il contenitore sotto una scrivania di legno e a quel punto ha commesso l’azzardo, dando fuoco alla miccia. Si tenga conto che nelle facoltà di Giurisprudenza e Scienze Umanistiche i corsi in aula iniziano già alle otto del mattino. Questo serve a rendere l’idea sia del fatto che a quell’ora nei locali universitari c’è un grande viavai; ma anche del rischio che ha corso l’ancora sconosciuto autore del raid incendiario. Naturalmente tra le ipotesi non si esclude nemmeno quella legata a motivi «politici» e che potrebbe investire frange violente del mondo antagonista o degli ambienti dell’estremismo. Ma il quesito che resta ancora senza risposte, sul quale lavora la Polizia di Stato, è uno solo: chi aveva interesse ad appiccare il fuoco? E, soprattutto, perché? A poche ore dal fatto si possono prendere in considerazione solo ipotesi. Almeno quattro. La prima: trattandosi di un chiaro gesto dimostrativo, l’autore va ricercato in una cerchia di potenziali autori. Una persona che nutre sentimenti di vendetta contro l’istituzione accademica; oppure qualcuno che ha perso il posto di lavoro; se non addirittura uno studente o un ex dipendente del settore amministrativo. Di sicuro si tratta di qualcuno che conosceva bene lo stato dei luoghi e non certo di un improvvisatore. Seconda ipotesi: si scruta nel settore degli appalti legati alla manutenzione, alle pulizie e al settore della sorveglianza dell’Università. Terza ipotesi, che però appare poco credibile (e che tuttavia pure non può essere esclusa almeno fino a prova contraria): dietro il tentativo di dar fuoco ai locali universitari potrebbe celarsi un oscuro messaggio trasversale legato alle indagini in corso da parte della Finanza su sei progetti di formazione «post lauream» nel dottorato in Scienze politiche. Ultima pista: quella che porta ad un’azione eclatante da parte di frange politiche legate all’estremismo. Teatro del tentato rogo è il «Coinor», acronimo del «Centro di Servizio di Ateneo per il Coordinament odi Progetti Speciali e l’Innovazione Organizzativa». Uno dei cuori pulsanti della Federico II, nato per ottimizzare l’utilizzo delle risorse e le competenze dell’Università. L’area ospita gli uffici che sviluppano e coordinano progetti di comunicazione istituzionale e di innovazione organizzativa, con lo scopo specifico di favorire la nascita ed il consolidamento di sinergie tra l’Ateneo ed il mondo esterno. Il rettore Gaetano Manfredi ha parlato con il prefetto Carmela Pagano e con il questore De Iesu, ai quali ha chiesto di intensificare la sorveglianza sui locali dell’Università. Al secondo piano ci sono gli uffici nei quali vengono gestiti anche i progetti per le Academy, come quelli con la Apple, la Cisco, la Deloitte; oltre ai protocolli e ai progetti con la Procura, con i Tribunali. In questi uffici non vengono però gestiti fondi: ogni progetto, protocollo o intesa, ha bisogno dell’autorizzazione della Ragioneria, che si trova altrove. Tra le pochissime certezze, in una nebulosa investigativa che cerca faticosamente di diradare le molte ombre di questo caso, ce n’è anche un’altra. Il misterioso attentatore non è persona esperta di molotov e di ordigni incendiari. Prova ne è il fatto che lo stoppino sistemato nel liquido infiammabile – come emerge dai primi rilievi della Scientifica – è stato inserito nella bocca del contenitore rendendo quasi impossibile l’innesco. «Se fosse stato dato fuoco ad un ordigno preparando bene la miccia d’innesco – dice un investigatore – le conseguenze sarebbero state devastanti e ben più gravi». A parlare è uno degli impiegati presenti, ieri mattina, al momento in cui ci si è accorti del fumo. L’uomo si concede ai taccuini a condizione che gli venga garantito l’anonimato. «Ho visto il fumo e una fiamma – racconta – Ero appena arrivato al lavoro, istintivamente ho pensato di prendere gli estintori per spegnere il fuoco. Poi mi sono accorto di quella tanica di plastica e a quel punto ho avvertito la vigilanza». Il testimone conferma anche un altro particolare già acquisito dagli inquirenti: l’ampia porta di legno che dà accesso al corridoio del secondo piano, che poi conduce agli uffici del Coinor, resta – sebbene chiusa al termine di ogni giornata – mai serrata a chiave. E dunque può essere aperta sempre e da chiunque. (Giuseppe Crimaldi – Il Mattino)

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