Frattamaggiore. Il bandito ucciso non sparò contro il gioielliere. Perizia balistica: dalla pistola non partì nessun colpo

Raffaele Ottaiano, il rapinatore ucciso dal gioielliere Luigi Corcione sabato 10 febbraio, non avrebbe esploso nessun colpo della pistola a tamburo di grosso calibro che aveva con sé. La circostanza è emersa nel corso dei primi esami balistici, effettuati dal perito nominato dal pm Giuseppe Borriello a cui Francesco Greco, procuratore capo della procura di Napoli Nord, ha affidato le indagini sul tragico assalto. Si tratta di risultati ancora parziali che devono essere confermati e che al momento non cambiano di una virgola la posizione del giovane gioielliere, a tutt’oggi indagato per l’ipotesi di reato di omicidio colposo derivante da un eccesso di legittima difesa. Ma dalle indiscrezioni risulterebbe che nemmeno Luigi Lauro, uno dei complici del rapinatore ucciso, avrebbe esploso colpi con la pistola calibro 9 che impugnava nel corso della rapina. Luigi Lauro probabilmente non ebbe tempo di sparare. Il malvivente venne arrestato sul fatto da un ispettore del commissariato di Frattamaggiore, che era libero dal servizio e che era intervenuto rapidamente. Queste le due prime indicazioni della perizia balistica che è appena all’inizio. Quello del perito della Procura di Napoli Nord non sarà un compito agevole, visto che quel maledetto sabato pomeriggio sulla scena della rapina si sono venute a incrociare ben sei pistole, quattro dei malviventi armati e mascherati – il palo era invece a viso scoperto, disarmato – una dell’ispettore di polizia che ha esploso un paio di colpi in aria a scopo intimidatorio e quella del gioielliere, dalla quale ancora non è stato possibile appurare quanti colpi siano stati esplosi. Un fatto è certo, appurato dall’autopsia: a uccidere all’istante Raffaele Ottaiano è stato un solo proiettile, partito dall’arma del gioielliere, che deviato da una costola ha finito per recidere l’arteria polmonare, causando così la morte del giovane in una manciata di secondi. In questo contesto deve essere collocato anche il ferimento all’avambraccio causato da un colpo di pistola ai danni di Carmine Pagnano (30 anni) che, insieme ad Antonio Topa (28 anni) e Pietro D’Angelo (41 anni), è stato arrestato dai carabinieri 48 ore dopo la tragica rapina. Pagnano non ha saputo o forse voluto spiegare al magistrato le circostanze del ferimento pur ammettendo, insieme ad Antonio Topa, la partecipazione alla rapina. La strategia della Procura sembra essere ben delineata. Prima di interrogare il gioielliere, che dovrà convincere con la sua versione dei fatti di essersi trovato in una situazione di imminente pericolo tale da giustificare l’uso della sua pistola per legittima difesa, il magistrato inquirente intende avere in mano tutti quegli elementi (video, analisi balistiche, testimonianze degli stessi rapinatori, accertamenti tecnici) che possano avvalorare la legittima difesa o anche far prospettare altre ipotesi. Compresa quella di omicidio volontario. (Marco Di Caterino – Il Mattino)

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