Antonietta Di Martino, la campionessa di atletica leggera di Cava de’ Tirreni, racconta i successi tra tante difficoltà

«Lo speaker che annuncia le medaglie a Osaka e pronuncia il mio nome abbinato a “silver medal” me lo sogno anche di notte. È un’emozione che porterò dentro per sempre». Antonietta Di Martino, orgoglio salernitano dell’atletica leggera, ricorda con entusiasmo e soddisfazione uno dei punti più alti della sua carriera: la medaglia d’argento ai mondiali […]

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    «Lo speaker che annuncia le medaglie a Osaka e pronuncia il mio nome abbinato a “silver medal” me lo sogno anche di notte. È un’emozione che porterò dentro per sempre». Antonietta Di Martino, orgoglio salernitano dell’atletica leggera, ricorda con entusiasmo e soddisfazione uno dei punti più alti della sua carriera: la medaglia d’argento ai mondiali di Osaka nel 2007 e il primato italiano di 2,03 metri nel salto in alto. Qual è, a parte Osaka, l’emozione più bella della sua vita sportiva? Quando sono tornata a saltare dopo l’operazione alla caviglia: c’era chi mi dava per spacciata, era un intervento difficile per gli atleti. Fu la mia rinascita, la mia seconda vita sportiva. La cosa che ricorda con meno piacere? Le Olimpiadi di Pechino del 2008: vi partecipai e non andò come avrei voluto. Mi torna in mente non solo per il risultato: non seppi gestire bene un po’ di cose. Poi non andai neanche alle Olimpiadi di Londra del 2012 per infortunio. Può sembrare strano, ma l’Olimpiade è molto diversa da mondiale ed europeo pure se siamo quasi sempre le stesse persone e la manifestazione è simile: si respira un’aria differente e si vive in maniera diversa. Che effetto fa essere l’erede di Sara Simeoni? Quando pensavo di superare il suo record mi sembrava una cosa bellissima. Il suo era un record mondiale e aveva la mia stessa età: avevo due mesi quando lo realizzò. Poi, una volta raggiunto, mi è passata questa sensazione. Certo, ne sono orgogliosa: non avrei mai immaginato di saltare 2,02 metri quell’8 giugno 2007. Quando lessi quel numero sul tabellone non pensai che era il record della Simeoni. Cominciai a rendermi conto che l’avevo superata quando mi vidi su tutti i giornali. Sara Simeoni è stata sempre considerata come Pietro Mennea: una grandissima atleta. Si è soliti dire che lo sport non ama le donne, trattate economicamente peggio degli uomini e poco rappresentate: è così? Le differenze, purtroppo, ci sono e spesso le ho vissute in prima persona. È diverso quando a vincere è un maschio. Anche a livello economico è così: ricordo che la mia borsa di studio, per esempio, era più bassa di un maschio che era più o meno del mio stesso livello. Ma c’è poco da fare: è una questione di mentalità. C’è chi fa differenze e chi no. Anzi, c’è pure chi apprezza di più le donne perché riconosce che per loro è tutto più difficile. Per me non c’è alcuna differenza. Certo, l’uomo sarà sempre più forte ma su determinate cose siamo e dobbiamo essere uguali. Una donna che vince nello sport è come se avesse vinto due volte: contro i pregiudizi e concretamente; è d’accordo? Sì. Da quando è nato mio figlio spesso mi fermano persone per dirmi che, in quanto maschio, diventerà un grande campione. Io li spiazzo: se fosse stata femmina no? Non sarebbe potuta diventare una campionessa? Io che sono? All’inizio ci restano un po’ male ma poi mi danno ragione. Forse c’è ancora chi pensa che la donna debba stare a casa a fare la calza. Ma io dico che le donne oggi anche per questo sono più forti. La sua passione per l’atletica leggera parte da Cava de’ Tirreni: quali sono le difficoltà che incontra nel nostro territorio chi vuole praticare sport a livello professionistico? Quando ho cominciato non c’erano società sportive e mi sono avvicinata a Salerno per gli allenamenti. A Cava per farmi allenare mi hanno rifatto la pedana ma a me serviva tutta la pista: è come se si chiedesse a un attaccante di allenarsi solo nell’area di rigore. Mi sono destreggiata bene tra Cava de’ Tirreni e Salerno. Però si incontrano tante difficoltà lungo il percorso. Ne ricordiamo qualcuna? Su tutte quella degli allenamenti: sono praticamente cresciuta al Vestuti. Qualcuno mi ha detto che ero ingrata perché non mi allenavo nella mia città; ma è capitato anche che per delle lamentele non mi facessero fare la doccia allo stadio a Cava. Qual è il segreto per arrivare così in alto? Crederci. Anche quando tutti dicono che non è possibile. Più mi dicevano che non sarei diventata nessuno e più mi intestardivo. Ci vuole dedizione: se vuoi essere prima non puoi pensare ad altro; vale nello sport e nella vita. Escludendo il salto in alto, qual è il suo sport preferito? La pallavolo e il tennis. La pallavolo mi sarebbe molto piaciuta in quanto sport di squadra. Come è messa con il calcio? Male; non perché non mi piaccia, semplicemente non ho tanto interesse. Seguo come tutti la Nazionale italiana e simpatizzo per la Cavese, la squadra della mia città. Com’è oggi la sua vita lontana dallo sport? Sono ferma da quattro anni: non ce la facevo più, ero stanchissima. Mi sono dedicata a mio figlio. Anche se sta tornando la voglia di allenarmi. Ieri sono andata ad allenarmi al campo con il mio compagno. Mi sono divertita vedendo quello che riuscivo a fare un tempo e quello che faccio ora. Per ora alleno una atleta del mio compagno; poi si vedrà. (Barbara Ruggiero – La Città)

     

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