Trump si vanta del suo Renoir. Art Institute di Chicago: è una copia, l’originale delle «Due sorelle» lo esponiamo noi

Riderebbe molto in questi giorni il regista preferito di Donald Trump, Orson Welles, che cominciò la sua carriera con una bufala — l’invasione degli alieni comunicata via radio all’America — e la finì con un film dedicato a un falsario d’opere d’arte — F come falso. Welles non riderebbe soltanto perché il presidente che continua […]

Riderebbe molto in questi giorni il regista preferito di Donald Trump, Orson Welles, che cominciò la sua carriera con una bufala — l’invasione degli alieni comunicata via radio all’America — e la finì con un film dedicato a un falsario d’opere d’arte — F come falso. Welles non riderebbe soltanto perché il presidente che continua via Twitter a stramaledire quasi quotidianamente i media per lui colpevoli di «fake news» contro di lui è in realtà stato clamorosamente aiutato, durante la campagna elettorale dell’anno scorso, dalla diffusione chirurgica proprio di «fake news» ai danni di Hillary Clinton attraverso i social media. No, Welles riserverebbe una delle sue risate sardoniche da trichecone alla notizia che nella pacchiana Versailles del 2000, la Trump Tower, non solo gli ori sono di princisbecco, ma è falso pure il Renoir di cui da anni il presidente si vanta: prima lo usava per far colpo sugli ospiti del suo jet privato e poi l’ha trasferito nel suo appartamento newyorchese. Trump è stato sfortunato: prima, una quindicina d’anni fa, quando il suo biografo Tim O’Brien ha visto il quadro e ha dubitato della sua autenticità. Poi, quando il presunto Renoir è apparso in un servizio televisivo realizzato a casa di Donald e Melania. Perché ora ha chiuso ogni discussione un museo prestigioso: l’Art Institute di Chicago ha comunicato ufficialmente che «Le due sorelle sulla terrazza», di Pierre-Auguste Renoir, 1881, è di sua proprietà. Dal 1933. E da allora è esposto nel museo sulla Michigan Avenue, che ospita tanti capolavori famosi nel mondo come «Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte» di Georges Seurat, «Nighthawks» di Edward Hopper, «American Gothic» di Grant Wood. Non c’è neppure margine di manovra per sostenere che all’Art Institute ci sia per qualche motivo una copia perché l’opera, uscita dall’atelier del pittore, ha avuto soltanto due proprietari. Trump continuerà a insistere che la copia è quella di Chicago e l’originale è il suo: ma questo buffo remake di F come falso con protagonista «The Donald» è in realtà l’ennesimo episodio che dà ragione a quelli — tra cui il biografo O’Brien secondo il quale Trump non è miliardario ma ha un patrimonio di circa 125 milioni di dollari — che pensano che la più grande bugia di Trump sia la sua ricchezza. Qualche anno fa Trump si prestò con autoironia a una di quelle serate molto americane in cui il festeggiato viene sfottuto dagli ospiti (in buona parte comici di professione: su YouTube si può vedere come la stand-up comedian Whitney Cummings l’abbia letteralmente ricoperto d’insulti). La vittima designata in questi casi ha il diritto, prima, di chiedere ai carnefici che soltanto su un argomento non si scherzi. Di solito la gente normale sceglie come off-limits questioni personali dolorose come fallimenti, divorzi o lutti: Trump disse di scherzare su tutto ma non sulle dimensioni del suo patrimonio. (Matteo Persivale – Corriere della Sera)

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