Positano i 95 anni di Raffaele La Capria . Auguri al nostro “Leone al sole”

Positano, Napoli e la Campania  festeggiano i 95 anni di Raffaele La Capria, un grande della cultura italiana, nostro concittadino, perchè ricordiamo che il sindaco Michele De Lucia gli conferì la cittadinanza onoraria della perla della Costiera amalfitana nella serata inaugurale del Positano Teatro Festival Riportiamo la bella intervista di Silvio Perrella su Il Mattino […]

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Positano, Napoli e la Campania  festeggiano i 95 anni di Raffaele La Capria, un grande della cultura italiana, nostro concittadino, perchè ricordiamo che il sindaco Michele De Lucia gli conferì la cittadinanza onoraria della perla della Costiera amalfitana nella serata inaugurale del Positano Teatro Festival

Riportiamo la bella intervista di Silvio Perrella su Il Mattino di oggi
Oggi che giorno è?
– Che giorno è?
È il 3 ottobre e, sebbene all’anagrafe il tuo certificato di nascita riporti la data dell’8 ottobre, è oggi che sei nato.
– Eh già: lo sai quanti anni fa?
Dillo tu.
– Novantacinque, novantacinque anni fa.
Ammappete!
Raffaele La Capria ride, standosene seduto sulla sua poltrona preferita; sulle sue ginocchia fa le fusa un gatto elegantissimo in tenuta tutta grigia; la luce è quella romana del primo pomeriggio, cioè calda e a larghe campiture; la stanza ne sarebbe ricolma se gli scuri non fossero stati accostati da Emma, la signora venuta da lontano che si prende cura della casa.
Raffaele porta uno di quei maglioncini colorati oggi è marroncino chiaro per i quali Anna Maria Ortese lo prendeva lievemente in giro. E lui le rispondeva pan per focaccia. E che meraviglia l’incontro tra questi due grandi scrittori; un incontro che si può definire il chiasmo della letteratura italiana che ha preso in carico l’immaginario di Napoli: la luce e l’ombra; il corpo celeste e l’io come mondo.
– La mattina dice Raffaele faccio pensieri lievi.
Lievi?
– Sì, come quelli di cui parla Rousseau quando descrive il suo fantasticatore disteso sul fondo di una barca a guardare le nuvole che passano.
E poi?
– E poi passa il tempo e la mia età mi cade addosso. Sai, novantacinque anni non sono pochi.
Certo, ma ho come l’impressione che tu abbia fatto un patto con il Tempo.
– Io aspetto la morte con naturalezza. E analizzo la mia vita e a volte rileggo ciò che ho scritto senza compiacermi e senza perdonarmi nulla se individuo qualcosa di negativo.
Ho sempre pensato che tu pratichi l’arte dell’abbandono attivo, ti lasci andare al voler dell’onda; col tempo hai scoperto un tuo modo di usare i venti avversi per proseguire nella navigazione; hai scoperto come inclinare la tua vela per usare il vento e non esserne usato. È il più grande insegnamento che viene dalla tua vita e dalla tua opera. Sarebbe bello che tu riprendessi a scrivere.
– Anche se non scrivo più, la mia mente è abitata dai pensieri.
In effetti scrivi con la voce, come stai facendo adesso.
– Sai, adesso ci stiamo incontrando e allora risorge il desiderio della parola. Penso che il desiderio sia tutto: è l’appetito di vita. Il desiderio significa mangiarsela, la vita. Un mondo nel quale ci sono i desideri è un mondo vivo. La popolazione del mondo di oggi è invece fatta in gran parte di scontenti ed è in questo mare che il terrorismo, quel termometro che serve a misurare la febbre di una società, naviga. Più penso al desiderio, e più mi accorgo che è tutto.
E questo si collega ai tuoi pensieri lievi?
– Sì, ma poi nel corso del giorno arrivano quelli tristi, e vista la mia età non potrebbe essere altrimenti. Sai, il corpo decade e la morte si fa vicina.
Sì, ma hai detto che la morte è legata al senso del limite.
– Il senso del limite è importante che ci sia, perché il senso del limite definisce.
Lo hanno inventato gli antichi Greci.
– Il senso del limite è un pensiero classico. E riguarda anche l’arte. Se ci pensi, l’arte consiste in questo, nel far sì che una colonna bianca col suo nitore e con la sua semplicità si stagli nell’azzurro. Quest’immagine è proprio quel che volevo dire.
Ed è un’immagine mediterranea.
– Aiutato dalla vecchiaia, che essenzializza ogni cosa, penso che le cose del mondo si restringono in due campi: il caos e l’ordine. La lotta sta tutta qui. Dal caos primigenio bisogna tirar fuori un ordine. Per me è stata sempre importante la razionalità. Tutto quel che era razionale io l’ho sempre preferito, pur sapendo che la irrazionalità era importantissima.
Però la tua razionalità non ha dimenticato la sensualità, il muoversi nel mondo come acqua.
– Mentre parli, penso allo stile libero.
Cioe?
– È uno stile razionale. Tu nuoti liberamente, e, se hai acquisito una tecnica lo puoi fare a lungo, senza stancarti molto. E per fare questo è necessario lo stile. Lo stile è un modo elegante di razionalizzare le tue forze. Lo stile è libero perché lo puoi fare in molti modi.
Più volte mi hai fatto lezioni di nuoto, ma so che devo ancora imparare. Ricordo che a ottant’anni scopristi che potevi fare un numero notevole di vasche senza stancarti. Ti guardavo filare via. Nuotavi nella piscina di Arezzo, nella casa così cara a tua moglie Ilaria. Facevi pratica di illusione?
– L’illusione è importante nella vita. Direi che illudersi è una forma di poesia.
E qual è la tua più grande illusione?
– Io non mi illudo più, però ho ancora bisogno di illudermi.
Lo sai oggi che giorno è?
– Il giorno del mio novantacinquesimo compleanno.
Auguri, carissimo Raffaele.

A proposito di Positano pubblichiamo l’intervista fatta nel 2014 quando gli fu conferita la cittadinanza onoraria

«Io cittadino di Positano? Un riconoscimento che mi riempie di gioia soprattutto perché mi riporta agli anni della mia formazione tornando a farmi sentire un ragazzo felice come allora». Per Raffaele La Capria sono tante le emozioni, i ricordi e le sensazioni che tornano a galla in queste ore che precedono il conferimento della cittadinanza onoraria del comune costiero. La cerimonia, con la consegna di una pergamena da parte del sindaco Michele De Lucia, è fissata per stasera poco prima delle 21 sulla scena montata dal Positano Teatro Festival sul sagrato della Chiesa Madre. E lì, subito dopo, l’attrice Gaia Aprea aprirà la rassegna diretta da Gerardo D’Andrea dando vita a «L’amorosa inchiesta», il monologo diretto da Luca De Fusco che si ispira ad un amore adolescenziale del giovane Duddù, così come lo chiamavano gli amici, parte del quale trascorso proprio qui, fra scalinatelle, spiagge di sassi e impervie stradine bianche.

La prima cosa che le viene in mente, pensando a Positano?
«La mia adolescenza e la mia giovinezza, con le tante estati trascorse in costiera. Proprio a Positano la sorella di mia madre aveva una villa che ogni anno, a partire da giugno, diventava il luogo delle nostre vacanze. Un’occasione di incontri ed esperienze che hanno segnato il mio percorso successivo».

Da quale punto di vista?
«Sia personale che culturale. Positano era infatti lo splendore della sua costa, delle rocce a picco sul mare o dei sassolini bollenti delle spiagge su cui correre a piedi scalzi, manco fosse una prova ordalica. Era inoltre il luogo delle mie immersioni e della mia pesca subacquea, delle serate con gli amici, quasi tutti vacanzieri venuti da Napoli, e degli inevitabili primi amori. Anche perché di ragazze carine ce ne erano tante, molte figlie della buona borghesia cittadina, ma anche le cosiddette “milanesi”, ovvero tutte quelle nate a nord di Roma, o le straniere, in particolare dell’Europa del nord o americane. Molte delle quali sono finite poi in moglie ai giovanotti locali, di mattina barcaioli e di sera rimessi a lucido e pronti a lanciarsi nelle feste o nei giochi a carte, che ne legittimavano la giusta escalation sociale. Ma Positano era anche il posto in cui, prima e dopo la seconda guerra mondiale, era possibile incontrare fior di intellettuali, soprattutto tedeschi in fuga dalle persecuzioni di Hitler. Pensi che grazie a loro ho scoperto l’Espressionismo o la pittura di Klimt, prima che la loro conoscenza si diffondesse anche in Italia».

Un’educazione, quindi, insieme sentimentale e artistica?
«Direi di sì, anche se preferirei posare l’accento sugli incontri culturali. Della villa di mia zia, per esempio, erano abituali frequentatori personaggi del mondo del teatro come l’attrice Andreina Pagnani, i commediografi Cesare Giulio Viola e Aldo De Benedetti, il disegnatore e scenografo Umberto Onorato e così via. Avevo 18 anni e quei discorsi, quei confronti a così alto livello, mi portarono a immergermi nella lettura, in particolare della letteratura americana prebellica di autori come John Steinbeck di cui apprezzai molto “Uomini e topi”. Ma anche russa come nel caso del libro “Dall’aquila imperiale alla bandiera rossa” di Krasnov. Era il tempo in cui maturavo dentro di me la scelta di diventare uno scrittore. E infatti fu proprio allora che iniziai a scrivere qualche racconto breve».

Amava anche fare escursioni nei dintorni?
«E come non farle. Si passava da Praiano ad Amalfi, da Furore a Ravello, dove fra l’altro si aveva la sensazione di respirare wagnerianamente l’atmosfera degli dei».

E gli isolotti dei Galli?
«Beh, a quelli sono legati ricordi più recenti ma non meno intensi, che peraltro ho fissato nel secondo volume dei miei Meridani. Penso alla visita che feci alla casa di Nureyev in compagnia di Vaclav Havel, lo scrittore presidente della Repubblica ceca che nell’occasione indossava una semplice maglietta con una scritta di Kafka, mentre il ballerino russo ci accolse con un basco rosso stile parà. Quale bellezza quello spiazzo dove lui faceva i suoi esercizi fisici! Da lì si vedevano tratti costieri senza nemmeno una casa, pura bellezza naturale. Sia sul versante della penisola sorrentina da Punta Campanella in poi, sia da quello caprese con la vista dei Faraglioni e del salto di Tiberio. Una straordinaria gioia per gli occhi, che in quell’occasione condivisi con Graziella Lonardi e Umberto Eco, giunti con me da Capri dove si svolgeva il Premio Curzio Malaparte».

Tornando alla Positano del dopoguerra, che ci dice di «Leoni al sole» del 1961, ispirato in parte al suo romanzo «Ferito a morte»?
«Quella fu un‘idea del mio amico Vittorio Caprioli, che intendeva realizzare una storia di “vitelloni” napoletani. Fu il suo primo film da regista, non una grandissima prova cinematografica va detto, ma interessante perché ricostruisce alla perfezione l’ambiente positanese di quegli anni, con molti protagonisti ripresi dalla realtà fra cui il compianto Vittorio Pugliese. A me toccò ovviamente la scrittura della sceneggiatura».

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