Milano. Dopo dieci anni in cella stalker minaccia la sua ex compagna. I giudici lo mandano in terapia per proteggerla

Dieci anni di pena espiata in carcere e in affidamento ai servizi sociali sembrano non essere serviti a niente se, appena uscito di cella alla fine della condanna incassata nel 2006 per aver maltrattato la suocera sino a causarne la morte, l’uomo di 43 anni (già con parecchi precedenti penali) è andato a minacciare il […]

Dieci anni di pena espiata in carcere e in affidamento ai servizi sociali sembrano non essere serviti a niente se, appena uscito di cella alla fine della condanna incassata nel 2006 per aver maltrattato la suocera sino a causarne la morte, l’uomo di 43 anni (già con parecchi precedenti penali) è andato a minacciare il presunto amante della sua ultima compagna e soprattutto a stalkizzare la donna che voleva interrompere la relazione, fino a minacciarla con una pistola su un autobus di terrorizzati passeggeri e davanti a uno dei figlioletti. E allora, in previsione dell’inevitabile scadere dell’attuale custodia cautelare nel giro di qualche mese, per proteggere la donna dall’assai probabile ritorno di violenza dell’ex compagno il Tribunale di Milano prova la strada, inusuale e per certi versi ardita, di «armare» una normale misura di prevenzione (2 anni e mezzo di sorveglianza speciale) con il «proiettile» di una prescrizione inedita: una «ingiunzione terapeutica» all’uomo affinché acconsenta a seguire in un centro specializzato (quello del criminologo Paolo Giulini) un «trattamento terapeutico» che lo avvii alla «comprensione del disvalore delle proprie condotte», al «contenimento delle pulsioni» e alla «razionalizzazione degli avvenimenti». Nella sorveglianza speciale, misura di prevenzione basata sulla spesso scivolosa nozione di «pericolosità sociale», nei casi di violenza di genere o di atti persecutori di solito vengono prescritti il divieto di frequentare i luoghi (casa, lavoro, scuole) frequentati dalla vittima, l’obbligo comunque di stare ad almeno un chilometro di distanza da lei, il divieto di scriverle o telefonarle. Qui, invece, i giudici di prevenzione Roia-Tallarida-Pontani, nell’accogliere la proposta di sorveglianza speciale avanzata dalla divisione anticrimine della Questura di Milano, ritengono di aggiungere «una sorta di “ingiunzione terapeutica”» e cioè di prescrivere all’uomo «di seguire un piano di intervento trattamentale che lo porti, attraverso indicazioni di tipo clinico-terapeutico realizzate dagli esperti incaricati, a prendere coscienza del forte disvalore delle condotte violente poste in essere soprattutto nei confronti di almeno tre donne, una delle quali uccisa, in una prospettiva di contenimento delle pulsioni e di razionalizzazione degli avvenimenti». La scelta di quale metodologia viene affidata dai giudici al servizio che, «per la particolare competenza ed esperienza nell’osservazione criminologica degli autori di reati di genere», viene individuato a Milano nel «Cipm-Centro italiano per la promozione della mediazione» diretto dal criminologo Paolo Giulini, che in 12 anni ha trattato in carcere 248 condannati per reati sessuali con una recidiva (8 casi) assai inferiore a quella degli ex detenuti che in carcere siano stati solo parcheggiati a far scorrere il fine pena. La misura di prevenzione, con la sua prescrizione terapeutica basata sul consenso dell’uomo difeso dall’avvocato Roberta Cardinetti (consenso «già acquisito ma che dovrà essere costantemente monitorato»), partirà appena scadrà la custodia cautelare in carcere, ma i giudici apprezzerebbero che iniziasse «su base volontaria e anticipata» già «in regime intramurario» (cioè già ora in cella). Inedita, inoltre, la scelta del Tribunale di far notificare questo decreto (benché ciò non sia previsto dalla legge) alla stalkizzata parte lesa del delitto di atti persecutori «in attuazione della direttiva sulle vittime di reato 2012/29/UE», che prevede la necessità che la vittima di questo genere di reati «venga messa sempre a conoscenza della situazione della libertà personale dell’aggressore». Perché? Per due ragioni: «Al fine di potersi tutelare sul piano comportamentale concreto», ma «anche in un’ottica di benessere psicologico». (Luigi Ferrarella – Corriere della Sera)

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