Positano Aldo Cazzullo racconta le sue interviste “Sorrentino mi raccontò di come Maradona gli salvò la vita. I genitori morirono a Roccaraso e lui a vedere il Napoli”VIDEO

Prima serata Positano, Costiera amalfitana . «A me Maradona ha salvato la vita. Da due anni chiedevo a mio padre di poter seguire il Napoli in trasferta, anziché passare il week end in montagna, nella casetta di famiglia a Roccaraso; ma mi rispondeva sempre che ero troppo piccolo. Quella volta finalmente mi aveva dato il […]

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Prima serata

Positano, Costiera amalfitana . «A me Maradona ha salvato la vita. Da due anni chiedevo a mio padre di poter seguire il Napoli in trasferta, anziché passare il week end in montagna, nella casetta di famiglia a Roccaraso; ma mi rispondeva sempre che ero troppo piccolo. Quella volta finalmente mi aveva dato il permesso di partire: Empoli-Napoli. Citofonò il portiere. Pensavo mi avvisasse che era arrivato il mio amico a prendermi. Invece mi avvertì che era successo un incidente». Aldo Cazzullo, editorialista del Corriere della Sera, prima firma del giornalismo italiano, ieri sera nella perla della Costiera amalfitana per la serata inaugurare di “Mare, Sole e Cultura” al Palazzo Murat racconta le sue interviste “Quella di Sorrentino è stata una delle più toccanti, confermata anche dallo chef Cannavacciuolo di Vico Equense ,  meno drammatica quella di Dolce e Gabbana quando gli chiesi come la prese la madre quando seppe della sua omosessualità.. mentre mi ha colpito molto Craxi, disse che sarebbe morto e si sarebbe fatto seppellire in Tunisia e così fece..”

Fra le interviste riprendiamo , continuando dopo l’incipit di sopra, proprio quella che fece a Sorrentino:

«In questi casi non ti dicono tutto subito. Ti preparano, un poco alla volta. Papà e mamma erano morti nel sonno. Per colpa di una stufa. Avvelenati dal monossido di carbonio. Io avevo sedici anni. Mia sorella più grande, Daniela, che già conviveva, venne eroicamente a vivere per un anno con me e mio fratello Marco. Poi rimasi da solo, nella casa al Vomero. Un tempo che ricordo come un limbo. Ero quasi in stato confusionale. Volevo fare lettere o filosofia, ma i miei cugini mi guardavano come fossi un alieno; così mi iscrissi alla facoltà che per me voleva mio padre, economia. Non me ne sono pentito: mi piaceva. Cominciai però a scrivere sceneggiature. Mi mancavano cinque esami alla laurea, quando scelsi il cinema».

La condizione di orfano
AncheThe young Pope, il Papa giovane della fiction Sky firmata da Paolo Sorrentino, è orfano. «Sì, nella sua storia c’è qualcosa della mia. La condizione di orfano è molto complessa. Un sentimento costante di essere stati lasciati. La morte dei genitori vissuta non come una vera morte, ma come una sorta di abbandono. Nel caso del Papa giovane, alla solitudine si aggiunge la difficoltà oggettiva di credere o no in Dio». E lei crede? «No». Ne è sicuro? «Non riesco a decidermi. Ma constato una cosa straordinaria: l’uomo non riesce a fare a meno della domanda su Dio». Straordinario è il modo in cui Sorrentino è diventato in pochi anni il più importante regista italiano. Quasi un risarcimento della sorte.
Mamma solare, papà introverso
«Mamma era solare, accogliente, divertente. Radiosa. Papà era poco napoletano. Zitto, introverso, mai una parola; con lampi di ironia che ci rendevano felici. Toni Servillo me lo ricorda, con il suo rigore e le sue fiammate di ilarità irresistibile. I miei genitori erano di origine popolare, venivano dai Quartieri Spagnoli. Papà lavorava in banca, mamma a casa». Sasà e Tina, ringraziati nella notte degli Oscar. «Nel salotto avevamo 40 libri e qualche videocassetta di mio fratello: soprattutto Sergio Leone. Maradona fu il primo a portare lo spettacolo nella mia vita».

Fellini e Pasolini
«Comunque, C’era una volta in Americaresta tra i miei cinque film preferiti». E gli altri? «La dolce vita, Otto e mezzo, Roma, Amarcord». Sono tutti film di Fellini. «Per quanto io abbia sempre negato che La grande bellezza c’entri qualcosa con lui, la bugia è palese. Anche io tento umilmente di arrivare alla verità attraverso la fantasia». E Pasolini? «Un gigante, ma mi ha ispirato meno». Ha ispirato il suo vicino di casa, Matteo Garrone. Dicono che siate rivali. «Non è vero. Non siamo amici per la pelle, ma abbiamo un ottimo rapporto». Di lei dicono pure che usa gli attori e li riduce a maschere, come ha fatto con Verdone e la Ferilli. «Questo un po’ è vero. Sul set la mia priorità non è sapere come sta l’attore; è definire con il direttore della fotografia l’aspetto visivo del film. Con il tempo ho imparato a essere più attento». Com’è l’imitazione di Crozza? «Divertente. L’accento napoletano non lo sa fare. Ma la lentezza è giusta. Io sono lento, quasi un ritardato mentale. Ci ho messo sei anni a imparare l’inglese; anche se ora lo parlo meglio di quando ho vinto l’Oscar…».
Obama, una cosa divertente…
Da Obama com’è andata? «Come nel titolo del libro di Foster Wallace: Una cosa divertente che non farò mai più». Davvero? «Sono andato e tornato da Washington in 24 ore. Ti portano lì, saluti i presidenti, ceni sotto un tendone; e riparti». Renzi come le pare? «Apprezzo la sua smodata determinazione a cambiare l’atteggiamento rinunciatario di molti italiani. Disfattisti sino all’autoflagellazione. Rassegnati a dire no a tutto: no all’alta velocità, no alle Olimpiadi. Ma l’alta velocità è bellissima, in un’ora vai da Roma a Napoli. E mi fa uscire pazzo che una donna più giovane di me come Virginia Raggi sia contro i Giochi olimpici. Come fa una trentenne a non guardare al futuro?». I Cinque Stelle non la convincono? «Per niente. Mi preoccupano. Dare addosso a un altro è molto più facile che costruire qualcosa: mi pare un’ingenuità non da poco che se ne accorgano solo adesso». Al referendum cosa voterà? «Non lo so ancora. Mo’ comincio a studiare». La grande bellezza però non è un film contro Roma. «Io non ce l’ho con Roma. Ammiro la sua meravigliosa capacità di sopravvivenza. E sono avvilito dalla sua gestione così claudicante. Abito in un quartiere vivace, piazza Vittorio. Quando la degenerazione arriva, si percepisce subito. La sporcizia, la criminalità». E Napoli? «Una città molto amata, percorsa da una violenza esasperante. Mi sono trasferito a Roma quando sono diventato padre: mi spaventava che i miei figli crescessero là».
Berlusconi, un’idea
Ora forse farà un film su Berlusconi: «È una delle idee su cui sto lavorando». NeIl divo ha messo in scena il bacio tra Andreotti e Totò Riina; «ma la scena viene raccontata da un pentito, quindi non è data per certa. Non credo però che sia inverosimile. Andreotti non era soltanto un uomo spregiudicato, sicuro della propria invulnerabilità; era anche molto curioso. Non mi stupirei se avesse voluto conoscere il capo dei capi. Del resto, i cattivi sono inevitabilmente più misteriosi e interessanti dei buoni. Il mio libro preferito èViaggio al termine della notte di Céline». Non è buono neppure il Papa giovane, interpretato da Jude Law; «ma nelle puntate successive si rivela capace di tenerezze, di aperture. Doveva essere un Papa molto diverso da Bergoglio. Un conservatore, per alcuni versi preconciliare: Pio XIII. Un Pontefice che antepone la tradizione alla sobrietà, che ripristina i simboli del fulgore della Chiesa ma non vuole mai mostrare il proprio volto, perché i personaggi più affascinanti del nostro tempo — Salinger, Kubrick, Mina — hanno vissuto nascosti. Una strategia di marketing: negarsi alimenta il mistero. Pio XIII ha 47 anni, uno più di me, ed è un misto di antico e moderno, proprio come la nostra generazione: l’ultima cresciuta leggendo Verne, Salgari, Pinocchio, e approdata alla rivoluzione digitale». Anche nella gestualità, con le braccia spalancate e il capo levato al cielo, il «Papa giovane» ricorda Pacelli dopo il bombardamento di San Lorenzo. «È l’immagine che avevo in mente. Ma per aiutare Jude Law, che non è cattolico però ama il calcio, gli ho suggerito di imitare l’esultanza di Wayne Rooney dopo un gol in rovesciata».
Il Napoli
«La prima volta che mio padre mi portò al San Paolo a vedere il Napoli ero molto piccolo. Il regista era Juliano, l’allenatore Vinicio, “o lione”. Papà era un tifoso personale di Vinicio, quando lo mandarono via smise di andare allo stadio. A dieci anni mi abbonai al Napoli di Krol. Maradona non l’ho mai conosciuto: gli ho parlato pochi secondi, quando mi chiamò sull’aereo che stava per decollare da Los Angeles dopo l’Oscar, con la hostess che mi diceva di spegnere. L’ho messo in scena in The youth: un attore argentino che palleggia con una pallina da tennis; ma è un trucco del computer. Messi non avrà mai il carisma di Diego, venuto a riscattare una squadra e una città che non avevano mai vinto». Frequentava i boss, seminava figli. «È vero. Anche lui un cattivo. Ma il vizio faceva parte del suo carisma». Lei cos’ha tifato nella semifinale del 1990 Italia-Argentina? «Come tutto il San Paolo: Argentina. Non puoi tifare contro l’uomo che ti ha salvato la vita».

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