Escursione in quota. Terzo giorno

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    Roberta, Enrico e Stefano sono scesi tardi per la colazione e il gruppo di tedeschi è già partito per l’escursione giornaliera. I tre amici hanno fatto colazione sul terrazzo del Rifugio Fanes e ora si godono pigramente, in silenzio, la pace dei luoghi e il bellissimo panorama. Si sta proprio bene sul terrazzo a far niente con il sole che regala un piacevole tepore mattutino.

    A un certo punto, Roberta, rivolta a Enrico, dice: “Ho ripensato alla metafora della teiera di porcellana che gira intorno al sole” dice Roberta.

    “E allora, cosa ne pensi?” chiede Enrico.

     Roberta: “Concordo che non si può credere all’esistenza della teiera, ma ho anche riflettuto su quello che hai detto subito dopo. Mi sembra che tu metta sullo stesso piano chi crede nella teiera e chi crede in Dio. E’ così?” 

    Enrico: “Aspetta un attimo. A quale Dio ti riferisci? Al Dio padre creatore del cielo e della terra della religione cattolica?”

    “Certo!“ risponde Roberta “A quale altro Dio dovrei riferirmi?”

    Enrico: “Al Dio Natura, per esempio. Ma se ti riferisci al Dio della religione classica, allora sì, hai capito bene: secondo me, il buon Dio persona trascendente e la teiera volante si equivalgono: hanno le stesse probabilità di esistere”.

    Stefano: “Ma è ovvio che è così. Per credere in Dio c’è bisogno della fede che non è altro che l'accettazione acritica di una realtà invisibile, che non risulta evidente e sperimentabile, e che viene accolta come vera nonostante l'oscurità che l'avvolge. E’ evidente che con la fede si può accettare acriticamente anche l’esistenza della teiera volante: che differenza c’è tra la fede in Dio e la fede nella teiera volante?”

    “Il tuo ragionamento non fa una grinza, caro Stefano” interviene Enrico “ma io vorrei ripartire da dove eravamo arrivati ieri: la questione della conoscenza. La domanda che avevo posto era: cosa possiamo veramente conoscere?”

    Roberta: “E ti sei dato anche una risposta … che io trovo banale e deprimente. Secondo te, noi saremmo in grado conoscere il mondo solo attraverso i sensi”.

    Enrico: “La mia risposta non era esattamente questa … forse mi sono spiegato male. Provo a essere più preciso: siamo in grado di conoscere il mondo in proporzione alla potenza di percezione dei sensi e alla potenza di elaborazione del cervello”.

    Roberta: “Ma fai ancora risalire tutto al corpo. Questo per me è avvilente riduzionismo … secondo me la conoscenza ha a che fare con la spiritualità e il pensiero”.

    “Certo, la tua è un’obiezione di buonsenso e in molti sarebbero d’accordo con te“ risponde Enrico “ … ma ti chiedo … potresti pensare o disegnare un cavallo se non ne mai hai visto uno e non ne hai mai sentito parlare? O, più in generale, sapresti dirmi quale sarebbe il pensiero speculativo o la spiritualità di una persona priva dei cinque sensi?”

    “Buona questa!” interviene Stefano “Cosa farebbe un cervello che non ha mai ricevuto un segnale dal mondo esterno? Cosa pensa, cosa sogna? Se esiste uno sventurato in queste condizioni si potrebbe fare un elettroencefalogramma per vedere se c’è qualche movimento elettrico nel cervello”.

    “Ma non potete ridurre tutto alla materia corporale” protesta Roberta “L’arte, per esempio, è una produzione spirituale: come puoi ridurre al corpo una sinfonia di Beethoven, una poesia di Leopardi o la Divina Commedia?”

    Enrico: “Secondo te, senza il grumo di materia informe, molliccio e leggermente repellente che chiamiamo cervello, Dante avrebbe potuto scrivere la Divina Commedia? La tua obiezione è comunque molto profonda ma per risponderti dovremmo abbandonare il filo rosso della conoscenza per discutere dell’anima e del suo rapporto con il corpo. Lo potremo fare più avanti se ne avrai voglia. Qui ora stiamo parlando di come l’uomo percepisce la realtà che lo circonda.”

    Dopo un attimo di pausa, chiede: “Possiamo concordare con quanto ho detto ieri in proposito?”

    Stefano: “Sì, io concordo con il succo del discorso, insomma mi sembra corretto dire che percepiamo il mondo esterno tramite i cinque sensi”.

    Enrico: “Esatto. Quello che percepiamo con i sensi produce come effetto la comparsa nel cervello di un’immagine, cioè di un’idea. Nel caso dell’abete di ieri, le onde elettromagnetiche composte in un fronte d’onda causano, come effetto ultimo, la comparsa nel cervello di un’immagine, cioè dell’idea dell’albero. In termini tecnici, le onde elettromagnetiche sono input esterni che subiamo passivamente, mentre l’idea dell’albero è un’affezione del mio corpo che causa un affetto”.

    “Parli dell’affetto che provi nei miei confronti?” interviene Stefano con un ghigno ironico.

    Enrico “Non ricominciare con la facile ironia sulle parole. Il termine ‘affetto’ in questo caso non ha niente a che fare con l’affetto che ho per te e per Roberta. L’affetto in questo caso è un sentimento; per esempio, è il piacere che provo nel guardare il verde riposante dei boschi”.

    “Come temevo stiamo scivolando nella filosofia e i sui termini astrusi” protesta Stefano “ma non puoi parlare come ti ha fatto mammete?”

    “Ma dai, Stefano, un piccolo sforzo di comprensione lo puoi senz’altro fare” interviene Roberta “Enrico mi sembra bravo a semplificare. Diamogli un po’ di tempo e fiducia e vediamo dove vuole arrivare”.

    Enrico: “Grazie Roberta, ma ricordatevi che possiamo abbondonare l’argomento in ogni momento. Possiamo sempre parlare di politica, di economia o di calcio. Basta farmi un cenno”.

    “Perché invece non parliamo di sesso” dice Stefano con un sorriso malizioso “Scherzo ovviamente. Ok, vai avanti”.

    Enrico: “La cosa difficile è semplificare usando il linguaggio comune. Qualche termine filosofico ci scappa sempre. Se io dico che le idee delle affezioni non spiegano la natura o essenza dei corpi esterni, che fai, ti strappi i capelli?”.

    “No, ma mi fai venire il mal di testa” dice Stefano “mi puoi spiegare cosa cazzo vuoi dire?”

    Enrico: “Voglio semplicemente dire che l’immagine dell’abete che formo nella mia mente non mi dice niente circa la natura dell’abete. L’idea dell’abete, è un segno, un’immagine indicativa ma non è comprensione dell’abete per come esso realmente è. Ricordate l’esempio del colore delle foglie dell’abete?”

    Stefano: “Ok, stai dicendo le stesse cose di ieri con termini filosofici. Mi chiedo però dove vuoi arrivare”.

    Enrico: “Sto cercando faticosamente di arrivare al concetto di ‘idea inadeguata’. Cos’è un’idea inadeguata secondo voi?”

    Stefano: “Io direi che è un’idea sbagliata frutto dell’ignoranza”.

    Roberta: “Non sono d’accordo. Se, come dice Enrico, l’idea dell’abete è l’immagine prodotta dal cervello, come fa a essere sbagliata? L’idea dell’abete è necessariamente quella che la costituzione del cervello riesce a produrre, non c’è giusto o sbagliato”.

    “Adesso ti metti a parlare difficile come Enrico? “ dice Stefano “Allora dillo tu … secondo te, cos’è questa idea inadeguata?”

    “Visto che Enrico sta cercando di spiegarlo vediamo prima cosa ha lui da dire” risponde Roberta.

    “Avete parzialmente ragione entrambi: l’idea inadeguata non è un’ignoranza assoluta ma è la privazione della conoscenza delle cause.” riprende Enrico “Ok, vediamo come posso spiegarlo continuando con l’esempio dell’abete. L’albero mi affetta, provo che segna una traccia su di me, infatti il suo colore verde, riposante per gli occhi, mi piace. Ma non conosco assolutamente niente delle cause, di come sia fatto il mio corpo, di come sia fatto l’abete e del rapporto specifico che intercorre tra me e l’abete”.

     “Per semplificare possiamo dire che l’idea inadeguata ci permette di conoscere solo gli effetti e non le cause?” chiede Roberta.

    Enrico: “Brava Roberta, hai sintetizzato molto bene. Provo gioia alla vista del verde riposante, ma sono privato della conoscenza di cosa produce in me l’idea piacevole del colore verde delle foglie. Le idee inadeguate sembrano frutto del caso, sono puramente indicative come lo sono i ‘segni’ imperscrutabili, misteriosi, che non esprimono una conoscenza razionale”.

     “Scusate, siete troppo bravi per me … per aiutarmi a capire mi fate un esempio di conoscenza inadeguata?” chiede Stefano.

    Roberta: “Ci provo io per vedere se ho capito bene. Un’idea inadeguata è quella degli uomini primitivi che, non conoscendone le cause, consideravano i fulmini segni dell’ira divina”.

    “Brava Roberta” esclama Enrico.

    Stefano: “Va be’ questo è giusto, lo capisco anch’io, ma anche ai giorni nostri, tanta gente, pur conoscendo l’origine dei terremoti, dice che sono un segno della collera di Dio per i peccati dell’uomo. Dopo il terremoto di Amatricia ho sentito Radio Maria che diceva che il terremoto era la giusta punizione divina per l’approvazione in parlamento delle unioni civili. Anche queste sono idee inadeguate?”

    Enrico: “Sì, è così. Avete fatto due esempi di idee inadeguate che corrispondono ad una conoscenza della natura per ‘esperienza vaga’, ossia frammentaria, che rimanda all’indeterminatezza e alla casualità. E’ interessante quello che dice Stefano: i cosiddetti credenti, pur conoscendo razionalmente la causa dei terremoti, ancora oggi, nonostante tutto, mettono da parte la razionalità e si affidano all’immaginazione”.

    “Non sono d’accordo: io, per esempio, pur essendo credente, sono convinta che il terremoto non sia un segno divino ma l’effetto naturale dei movimenti della placca tettonica” replica prontamente Roberta.

    Stefano: “Ma non si può negare che nella cultura popolare gli eventi naturali siano ancora considerati segni divini. Prendiamo la siccità. Ricordo che qualche anno fa, dopo un lungo periodo di siccità, il prete della parrocchia del paese dove abitavo organizzò una solenne processione per chiedere a Dio l’arrivo della pioggia. La processione ebbe una partecipazione eccezionale di fedeli e, in effetti, dopo qualche giorno arrivò la pioggia. In molti gridarono al miracolo. Secondo me, quel furbacchione d’un prete aveva seguito attentamente le previsioni del tempo prima di fissare la data della processione”.

    Enrico: “Il problema più grosso è che partendo da un’idea inadeguata si sviluppa una concatenazione di idee approssimative che portano alla formazione di una conoscenza confusa, fuori controllo, prodotta dall’immaginazione. Faccio un esempio: fino al 1600 il modello astronomico accettato da tutti era quello geocentrico con la Terra ferma al centro dell’universo e il Sole che gira intorno alla Terra. Questa idea inadeguata partorisce una miriade di idee fantasiose che hanno modellato la conoscenza dei popoli per millenni. Nella cultura greca si immagina il sole trasportato da est a ovest su una quadriga tirata da cavalli che emettono fuoco dalle narici. Nella Bibbia si racconta che Dio fermò il sole in alto nel cielo per dare tempo all’esercito di Israele di completare la distruzione dei nemici. Anche la Chiesa cattolica faceva la sua parte insegnando che nell'ampio spazio oltre la sfera delle stelle fisse c'era 'il Cielo' con il trono di Dio, il corpo di Gesù risorto, quello di Maria assunto in cielo, i profeti, i santi, gli angeli e gli eletti in paradiso. 

    Vedete la valanga di ottusità che può essere causata da un’idea inadeguata?”

    “Ma non ci sono solo i segni di natura.” continua Enrico dopo una pausa di riflessione “Anche la vita sociale sviluppa un certo tipo di segni: i segni imperativi. Ovviamente i comandamenti religiosi sono segni imperativi. Ma ogni legge, ogni regola, anche di carattere tecnico, assume inevitabilmente una forma morale quando sembra dirci quel che ‘dobbiamo’ fare per raggiungere uno scopo o ottenere un risultato. Una legge o una regola si configura come imperativo morale o di tipo morale, ogniqualvolta che accettiamo le conoscenze altrui, ‘per sentito dire’, senza verifica della propria ragione”.

    “Ok, capisco che un comandamento come ‘non desiderare la donna d’altri’ o una legge dello stato siano segni imperativi che vengono accettati passivamente” interviene Stefano “ma come fai a dire che anche una regola tecnica è un segno imperativo?”

    “Ti faccio l’esempio che viene fatto più comunemente” risponde Enrico “dati i numeri 1,2 e 3 dobbiamo trovarne un quarto che stia a 3 come 2 sta a 1. A scuola abbiamo imparato che basta moltiplicare il secondo, 2, per il terzo, 3, e dividere il prodotto per il primo, 1. La formula è il segno imperativo che ci dice come risolvere meccanicamente il problema. Questo è un tipo di conoscenza per ‘sentito dire' perché insegnata dal maestro a scuola ma a cui non corrisponde alcuna conoscenza, da parte di chi la applica, di quello che c’è dietro, cioè la dimostrazione di Euclide sulle proprietà dei numeri proporzionali.”

    “Non ti seguo più.” interviene Stefano “E’ normale applicare formule matematiche per risolvere problemi … lo fanno tutti. E’ anche normale rispettare le leggi dello stato o, come le chiami tu, i segni imperativi. Non pretenderai mica che le leggi non vengano rispettate e che i tecnici non applichino le formule se non ne conoscono la dimostrazione?!”

    “Ma no, io non sto dando indicazioni o imperativi di comportamento. Sto solo cercando di fotografare lo stato dell’arte della conoscenza. Ora, dal mio punto di vista, è evidente che chi si astiene dal rubare per paura del carcere o per paura dell’inferno ha una conoscenza inadeguata delle cose”.

    Roberta interviene: “Fammi capire bene: in questo caso specifico, del rubare o non rubare, quale sarebbe, secondo te, la conoscenza adeguata?” chiede Roberta.

    Enrico: “Quella che deriva dalla comprensione del patto sociale che definisce diritti e doveri, vincolanti per tutti, alla base di una convivenza sociale pacifica e armoniosa”.

    “Allora, caro mio, se questi sono i criteri, il 99 per cento della gente è succube dei segni e vive guidata da una conoscenza inadeguata” dice Stefano.

    “Può anche essere” risponde Enrico “anche perché ci sono ancora da considerare le idee inadeguate frutto della religione: si parte dal ‘segno’ del peccato originale, per passare a quello della passione, della resurrezione, del giudizio universale, della resurrezione dei morti, senza dimenticare dogmi assurdi come quello fantascientifico del corpo di Maria che sale in cielo come una navicella spaziale”.

    Stefano: “Va be’, ho capito … e posso anche concordare … la gente ha la testa piena idee strampalate, confuse, carenti dal punto di vista razionale. E con ciò? Dove vuoi arrivare?”

    Enrico: “Siamo partito, se ti ricordi, dalla mia prospettiva di una terza via verso la vetta della montagna spirituale. Ebbene il tipo di conoscenza di cui abbiamo parlato finora segna il tragitto della ‘prima via’, del comodo e ampio sentiero che corre in orizzontale intorno alla montagna spirituale. Secondo voi, come vive una persona vittima dell’immaginazione che ha imboccato e percorre tenacemente la comoda prima via?”

    Roberta: “Dipende. Può vivere bene con alcuni accorgimenti. Innanzitutto, per quanto riguarda i fatti di natura, dovrebbe rifarsi alle conoscenze scientifiche. Credo poi che non faccia male a seguire le norme imperative sociali che servono a garantire un sano ordine sociale”.

    “Aspetta un attimo” interviene Enrico “non stai rispondendo alla mia domanda. Chi si rifà alla scienza per i fatti di natura non ha una conoscenza inadeguata delle cose ma è già passato alle conoscenze adeguate della seconda via. Chi rimane sulla prima via crede in Padre Pio, nelle statuette di terracotta che lacrimano sangue e prega Dio per scongiurare i terremoti, evitare le malattie, far finire la siccità, guarire dal cancro. E’ di costui che dovresti dirmi come vive”.

    “Te lo dico io come vive” interviene Stefano “Vive da schiavo della superstizione e della paura, in balia di una volontà misteriosa e imperscrutabile che fa come cazzo gli pare”.

    “Stefano, ti prego di non essere blasfemo almeno per rispetto nei miei riguardi” dice Roberta con voce un po’ alterata. Poi, rivolta a Enrico “comunque, caro Enrico, non capisco la tua critica alle norme morali e civili”.

    “Forse mi sono spiegato male. E’ chiaro che le norme devono esserci e devono essere rispettate. Ma c’è modo e modo di rispettare le regole. Sarai d’accordo con me che uno che rispetta le regole per paura del carcere e dell’inferno o per la speranza del premio in paradiso è una persona da compiangere per la sua morale infantile del bastone e della carota. Questo tizio può essere la persona più corretta di questo mondo ma è guidato da idee immature, confuse e inadeguate”.

    “Sì, forse in questo caso hai ragione” replica Roberta “ma rimango perplessa per la tua critica alla religione. Secondo me, la religiosità è di grande aiuto nel raggiungimento della serenità. L’uomo vive in condizioni d’impotenza, alla mercé d’incomprensibili ed imprevedibili eventi esterni, continuamente sballottato tra paura e speranza, ma mettendosi nelle mani di un protettore onnipotente che domina gli eventi e la natura, che segue passo-passo la sua vita quotidiana, egli riesce a vivere più tranquillo. Da un punto di vista pratico, l’uomo che si mette nelle mani del buon Dio Padre che ama e protegge i suoi figli affronta meglio le disgrazie, il dolore, l’ansia e la paura della morte”.

    Stefano interviene con impazienza: “Buona questa! Siccome, da un punto di vista pratico, io vivo meglio se credo di avere un milione di euro in banca, allora mi invento un benefattore misterioso che stanotte, mentre dormivo, mi ha fatto un bonifico milionario. Questo è quello che fate voi credenti: dal momento che avete paura della vita e della morte vi inventate un protettore immaginario onnipotente che vi protegge nella vita e vi eviterà la morte. La differenza è che se io vado oggi in banca a fare un prelievo mi rendo conto subito che non c’è alcun benefattore misterioso, mentre voi rimandate, vigliaccamente, ogni verifica a dopo la morte. Contenti voi! Adesso capisco cosa sono le idee inadeguate di cui parla Enrico”.

    “Anche molti filosofi del passato dicevano qualcosa del genere” interviene Enrico anticipando le proteste di Roberta “Kant, per esempio, diceva che con la ragione pura non c’è alcun modo di arrivare alla conoscenza di Dio, ma, per una ragione pratica, è un bene per l’uomo credere in Dio”.

    Dopo una pausa di riflessione, Enrico riprende: “Tu Roberta dici che la religione può essere di aiuto per una vita serena. Io non sono dello stesso parere perché l’uomo è assolutamente passivo rispetto alla volontà di Dio. Nell’immaginazione il Dio Padre è visto come un monarca assoluto. Così come i sudditi del monarca, volubile e imprevedibile, non possono mai vivere tranquilli, alla stessa maniera i credenti devono sempre stare sul chi va là, devono sempre pregare, implorare di essere risparmiati, perdonati, salvati. Ma anche con tutte le preghiere di questo mondo … non si sa mai cosa il Padre ha in serbo per il figlio implorante.”

    Continua: “Come si può vivere sereni se il nostro destino è nella mani di una Entità che, per quanto benigna e amorevole, è imperscrutabile, incostante ed imprevedibile? Senza la conoscenza delle cause delle cose, che vengono fatte risalire alla volontà di Dio, le affezioni di gioia e tristezza sono ingestibili, emergono automaticamente senza alcun filtro della ragione.”

    “Ma conosco tanti bravi credenti che vivono sereni perché si affidano completamente a Dio” lo interrompe Roberta “Anche mia madre dice sempre ‘sia fatta la volontà di Dio’ e ti posso assicurare che vive serena”.

    “Cosa significa per tua madre ‘sia fatta la volontà di Dio’? “ domanda Enrico “L’hai mai vista pregare? Rinuncia a pretendere che Dio faccia la sua volontà, di tua madre intendo? Perché ogni qualvolta che si prega per chiedere a Dio qualcosa non si fa altro che pretendere di correggere la volontà di Dio a proprio vantaggio. E’ come dire a Dio ‘… vabbè, non hai capito nulla … ora ti dico io cosa fare’. Se tua madre dice ‘sia fatta la volontà di Dio’ avendo capito che la preghiera, l’implorazione e la richiesta di favori sono bestemmie perché offendono l’eterna saggezza di Dio, allora tua madre ha un’idea adeguata di Dio e può vivere serena, senza paure”.

    Dopo una pausa riprende: “Quelli che rimangano nel regno dei miracoli e delle idee inadeguate sono come canne al vento che si piegano al mutare casuale della direzione del vento: prima si pieghiamo sotto il peso della disperazione più nera, un momento dopo, cambia il vento, si risollevano nella speranza e nella gioia. Solo la forza della ragione potrebbe dare una certa fermezza alle canne sballottate di qua e di là dal vento delle passioni. Purtroppo, a questo livello di conoscenza, la razionalità lascia a desiderare”.

    Ormai è ora di partire per la terza tappa e Stefano mette fine alle speculazioni di Enrico: “Tornate con i piedi per terra voi due. La tappa di oggi è abbastanza impegnativa, non credete che sia il caso di rimetterci in cammino?”.

    “Impegnativa?” chiede Roberta preoccupata “A proposito … non ho ancora consultato gli appunti della tappa odierna”.

    Legge dalla sua agenda: ”Terza tappa. Dal Rifugio Fànes al Rifugio Lagazuòi. Dislivello: in salita 1070 m, in discesa 375 m, lunghezza circa 11 chilometri. Tempo netto circa 5 ore “.

    “Con il nostro passo e considerate le soste dobbiamo prevedere 6-7 ore per arrivare al Rifugio Lagazuòi. E’ bene partire subito se non vogliamo arrivare al rifugio Lagazuòi al buio” dice Stefano.

    “Abbiamo anche qualche altro piccolo problema. Prima di colazione ho visto le previsione del tempo e purtroppo per il tardo pomeriggio sono previsti alcuni temporali” interviene Enrico.

    Stefano con impazienza: “Bravo. E tu stai a parlare di canne al vento! Diamoci una mossa”.

    Dopo dieci minuti sono sul sentiero in salita che con tre stretti tornanti sale al pianoro lunare che conduce al Passo di Limo, 2174 m, sopra il Lago di Limo dove alcune mucche sono all’abbeveraggio ed altre sono stese placidamente sul prato al sole. Da qui l’ampia strada bianca continua con dolci saliscendi lungo prati verdeggianti disseminati di grossi sassi bianchi tra le pareti di roccia del Col Becchei.

    Camminando in silenzio Roberta si chiede cosa avrebbe risposto Daniele alle dure critiche alla religione di Enrico. Daniele avrebbe senz’altro avuto argomenti validi per controbattere le tesi di Enrico specie dopo essere entrato in seminario. Il pensiero di Roberta torna indietro nel tempo di una trentina d’anni, esattamente a 27 anni fa, quando la vocazione religiosa di Daniele aveva messo fine alla loro relazione amorosa.

    Quando ripensa a lui Roberta prova sempre una fitta al cuore.

    Daniele era di una curiosità senza limiti. Non c’era argomento o situazione che non attirasse il suo interesse appassionato. Nel borgo marinaro di Riaci non c’erano opportunità culturali o possibilità di leggere chissà quali libri ma Daniele riusciva ugualmente a sviluppare una conoscenza dei fatti che era anni luce avanti a quella dei suoi coetanei. Era informato su tutto e sapeva di tutto, ma in questo era semplice e mai presuntuoso. Raccontava teorie o storie con lo stupore di un bimbo che ha scoperto una cosa preziosa ed ha urgenza di condividerla, ti coinvolgeva con continui esempi e ti incoraggiava a sviluppare con lui quel pensiero, quel sogno, quel gioco! Era un trascinatore per i suoi coetanei.

    Daniele era anche un bel ragazzo: alto e snello, di carnagione ambrata, capelli e occhi scuri. Era agile e spericolato: riusciva ad arrampicarsi sugli scogli attaccando passaggi che solo lui riusciva a superare. Affrontava ogni sfida fisica con sicurezza, scioltezza e baldanza. Quel suo grande entusiasmo, sicuro e sfrontato, leggero ed ottimista conquistava tutti, soprattutto le ragazze. Era il sogno notturno proibito di molte ragazze, non solo di Riaci, ma anche delle villeggianti.

    Quando Daniele le aveva detto che voleva mettersi con lei, Roberta si era sentita al settimo cielo. Ricorda ancora la prima volta sulla spiaggia, al chiaro di luna, tra due barche tirate a secco. Non era stata una cosa sconvolgente. Ricorda l’impaccio, l’imbarazzo e la breve fitta di dolore ma anche la gioia e il piacere di tener stretto ed accarezzare il corpo di Daniele come aveva sempre sognato di fare. Poi, con il tempo, fare l’amore era diventato un’esperienza magica. L’adorazione senza fine che provava per Daniele la stimolava a dargli piacere in tutti i modi ma al tempo stesso aveva imparato a conoscere il proprio corpo e a lasciarsi andare all’appagamento fisico. Stare con lui la faceva sentire invincibile, intelligente, unica per bellezza e sex appeal. Per due anni Roberta si era sentita la ragazza più felice del mondo.

    Ripensando ora ai loro meravigliosi momenti di intimità, Roberta si rende conto di non aver più trovato negli uomini della sua vita, compreso suo marito, quel mix di dolcezza e virilità prepotente che aveva trovato in Daniele.

    Perché tutto era finito in quel modo assurdo?

    Durante il viaggio in macchina da Roma a Riaci Roberta era emozionatissima ed eccitata. Non vedeva l’ora di abbracciare Daniele, di stringerlo, di baciarlo e di fare l’amore. Ma Daniele non era sulla strada ad attenderla come le altre volte. Era corsa in spiaggia dove era sicura di trovarlo al Lido Adriana. Infatti Daniele era lì e, vedendola, le era corso incontro per abbracciarla. Per mano l’aveva condotta ad un tavolino isolato dicendo “dobbiamo parlare”.

    Roberta con il cuore in gola aveva ascoltato in silenzio.

    “Negli ultimi mesi ho avuto molto tempo per pensare e riflettere sul senso della vita. Mi sembra impossibile che noi siamo qui per tirare a campare, ridere, scherzare, lavorare, fare sesso, invecchiare e morire. Non ci credo che sia tutto qui! Non ho mai pensato a Dio ma adesso comincio a pensarci e a farmi domande. Dopo aver molto letto e riflettuto ho capito che quello che cerco non è più vicino di quando ho cominciato a cercare. Non trovo risposte e mi sento molto ignorante.”

    Daniele fissava Roberta con quei suoi occhi stranamente neri che, in quel momento, parevano guardare dentro anziché fuori di lui.

    “La settimana scorsa ho incontrato Padre Nicola, ti ricordi di lui? Mi è sembrato che leggesse nel mio cuore e capisse il mio tormento. Mi ha detto di conoscermi meglio di quanto io conoscessi me stesso e che la distanza che mi separa dalla fede non supera lo spessore di un foglio di carta. Mi ha poi invitato a trascorrere l’estate nel suo convento a Pietrasanta.”

    Dopo una pausa che a Roberta era sembrata eterna, Daniele aveva ripreso: “Ho accettato e parto lunedì prossimo. Padre Nicola sarà la mia guida spirituale, lavorerò nei campi con i fratelli laici e potrò usare la biblioteca del convento per studiare”.

    Così era finita la loro storia d’amore. Non aveva avuti più contatti diretti con Daniele ma aveva saputo dagli amici di Riaci che alla fine dell’estate era entrato nel seminario di Salerno.

    Roberta, ancora adesso, avanzando lungo il sentiero davanti a Enrico e Stefano, prova una fitta al cuore al pensiero di Daniele. Ma i suoi due compagni di avventura, in qualche modo, glielo restituiscono. Entrambi sanno di mare e della luce dell’adolescenza e ciascuno dei due riflette un certo aspetto di Daniele. Stefano, aitante e allegro come il sole, bello nella sua mascolinità, le ricorda la fisicità e sensualità di Daniele. Nella serenità, nel sorriso dolce, gli occhi ridenti e l’intelligenza di Enrico, Roberta ritrova invece il Daniele spirituale, assetato di sapere, curioso, anticonformista.

    Finora Roberta si è tenuta meticolosamente lontana dall'ambivalenza della vita, lontana dagli squilibri, rassicurata da comportamenti coerenti e convenzionali. E’ ancora ferma nel suo proposito di evitare ad ogni costo qualsiasi tipo di coinvolgimento sentimentale ma deve ammettere che la virilità sfrontata di Stefano risveglia in lei sensazioni e desideri che aveva provato solo con Daniele.

    Allo stesso tempo, Roberta si rende conto della pericolosità di Stefano, del suo essere leggero, farfallone, certamente inaffidabile, anche se incapace di nuocere. E’ consapevole di stare mescolando sentimenti e pulsioni naturali con sfumature fortemente chiaroscurali a cui non è affatto abituata. L’egocentrismo, l’autoreferenzialità e la sfrontatezza di Stefano normalmente lo avrebbero messo fuori gioco, invece succede, cosa strana, che, ai suoi occhi, lo rendono sexy e interessante. Qualcosa nel profondo le dice che forse questa escursione con Stefano ed Enrico può essere colta come un cambiamento di registro della sua vita.

    Roberta viene distolta da ricordi e riflessioni dall’arrivo a Malga Fànes Grande. Mucche, cavalli e asini pascolano indolenti nel vasto alpeggio intorno alla baita, mentre l’aia pullula di galline e conigli. Lungo il Rio Fànes che scorre un po’ più in là si vedono le tane delle marmotte scavate nel terreno. Nonostante tanta animazione, c’è un silenzio bucolico rotto solo dal suono dei campanacci delle mucche e, di tanto in tanto, dal fischio in lontananza di qualche marmotta. E’ la pace più assoluta.

    “Io mi fermerei qui per due o tre giorni” dice Stefano entusiasta del posto.

    “Si potrebbe fare” interviene Enrico “La baita offre cinque posti letto, molto spartani però”.

    “A noi basterebbero solo due posti letto” dice Stefano ridendo “io sono disposto a dividere il mio con Roberta”.

    Anche Roberta ride di gusto: “Grazie! Preferisco dormire nel letto di Enrico”.

    “Ne sarei felice” dice Enrico stando al gioco “Purtroppo abbiamo prenotato due camere al Rifugio Lagazuòi.”

    “Chiediamo se hanno latte fresco munto stamani” suggerisce Enrico.

    Nella fumosa e scura stube della malga il casaro li saluta cordialmente mentre serve del burro a due ragazze che fanno colazione sedute ad un tavolo d’angolo. Sembrano tedesche e, a guardarle bene, si vede subito che hanno età diverse. Potrebbero benissimo essere madre e figlia.

    Stefano ne è subito incuriosito. “Evidentemente hanno pernottato nella malga” dice.

    Il latte fresco, preso direttamente da un secchio metallico e servito in bicchieri di vetro, è denso e schiumoso.

    “Buono, ha il profumo delle erbe di montagna” osserva Roberta mentre sorseggia il latte.

    “Per me è troppo pesante” dice Stefano “ho paura che mi faccia male. Poi non è pastorizzato e può essere pieno di germi”.

    “Grazie Stefano per il bel pensiero che potevi evitare di condividere” replica Roberta smettendo subito di bere.

    Uscendo dalla stube Stefano si rivolge alle due signore con un cordiale sorriso: ”guten Morgen meine Damen”. La più giovane ricambia il sorriso, l’altra invece lo squadra freddamente con espressione seria.

    “Non capisco che cazzo ci aveva da guardare quella. Un po’ di educazione non le farebbe male” osserva Stefano appena fuori.

    “Avrà pensato, ecco il solito italiano dongiovanni molestatore di tedesche sole” dice Roberta.

    “Ma io volevo solo essere gentile” replica Stefano.

    “Saresti stato ugualmente gentile se al loro posto c’erano due vecchie befane?” chiede Enrico.

    “Ma cosa avete da criticare voi due?” risponde Stefano “Siete solo due ipocriti moralisti. Ditemi voi: è naturale o no che un maschio sano, nel pieno della sua potenza, provi interesse e ammirazione per un bell’esemplare del sesso opposto? E che manifesti il suo interesse con innocua galanteria?”

    Dopo una breve pausa, come riflettendo tra se e se, aggiunge: “Certo, se uno è gay o con le palle rinsecchite non prova alcun interesse per una bella donna e non sentirà il bisogno di essere galante”.

    Roberta e Enrico lasciano cadere l’argomento e i tre imboccano in silenzio il sentiero verso sud ovest che sale dolcemente al Passo Tadéga, a 2157 metri. Dopo il passo e una breve discesa risalgono lungo il Gran Pian e, giunti alla fine della stradina bianca, prendono lo stretto sentiero tra bassi arbusti di pino che sale deciso alla Forcella del Lago, a 2486 metri.

    Roberta è subito in difficoltà sul sentiero in ripida salita su gradoni di roccia. Si ferma ansimante e madida di sudore dopo qualche centinaio di metri, scarica a terra lo zaino: “Alt, pausa. Devo bere.” dice con il fiato grosso.

    Fa caldo, il sole batte forte perché non c’è alcuna ombra dagli alberi. Sono tutti accaldati.

    Stefano rincuora Roberta: “Non ti preoccupare andiamo su con il tuo passo e ci fermiamo ogni volta che ne hai bisogno. In 30-40 minuti dovremmo essere su alla forcella, poi siamo in discesa”.

    “Dobbiamo anche tenere d’occhio quelle nuvole bianche cumuliformi dietro la Marmolada. C’è il rischio che si trasformino in nuvole temporalesche” dice Enrico.

    Stefano: “Intanto facciamo una pausa per toglierci qualcosa di dosso e sudare di meno”. Detto fatto si mette a torso nudo, mentre Enrico tiene su una leggera T-shirt e Roberta una canottiera.

    Manca ancora un centinaio di metri dalla forcella quando Roberta incespica su un sasso e cade pesantemente a terra. Per fortuna, lo zaino attutisce il colpo alla schiena e Roberta si affretta a rassicurare gli amici: “Non è niente, non mi sono fatta male”.

    Stefano la soccorre prontamente, si sfila lo zaino dalle spalle e la aiuta a rialzarsi. Roberta è stanca, sudata, spaventata dalla caduta, ma la vicinanza del corpo nudo e bagnato di sudore di Stefano le provoca una visione psichedelica. Come in un’allucinazione vede controluce di fronte a se un Dio dorato, forte e muscoloso che la stringe con forza e la tira fuori da un anfratto scuro e minaccioso. Si rialza sostenuta dalle forti braccia di Stefano e cerca di tornare alla realtà scuotendo la testa.

    “Tutto bene?” chiede Enrico.

    “Si, si, non è niente” risponde Roberta sedendosi su un sasso per riprendere fiato.

    “Ok, facciamo una sosta, tanto siamo vicini alla forcella” dice Enrico sfilandosi lo zaino e sedendosi anche lui.

    Roberta si è ripresa dal miraggio ma una strana eccitazione continua a turbarla. A differenza di altre occasioni, questa volta lascia briglie sciolte all’immaginazione.  Stefano è seduto di fronte a lei a torso nudo e Roberta non può fare a meno di desiderare di sfiorare i muscoli delle braccia bagnate di sudore e di accarezzare il petto muscoloso coperto di peli dorati. Si tocca lo scarpone e, sorridendo a Stefano, dice: “Credo che questa sera avrò bisogno di un massaggio alla caviglia”.

    Stefano crede di scorgere una luce diversa negli occhi verdi di Roberta e prontamente risponde: “Sarà un piacere”. Anche lui è stato travolto da un’ondata di voluttà quando ha stretto contro di se il seno prosperoso di Roberta.

    Dopo pochi minuti riprendono a salire con Roberta in testa a fare l’andatura. In coda alla fila Enrico è pensieroso. Intuisce che qualcosa sta succedendo tra Stefano e Roberta ma non ne è ancora certo.

    Dopo poco sono alla Forcella del Lago fra l’ardita Torre del Lago e la grandiosa Cima Scotóni nel Gruppo di Fànis. La temperatura cala improvvisamente: nella gola tira un vento fresco da sud e, dietro la Marmolada, le bianche nubi cumuliformi sono diventate scure alla base. Si fermano per vestirsi meglio e Enrico suggerisce di cancellare la sosta per la merenda prevista al Lago Lagazuòi.

    “Ho paura che il temporale stia montando e dobbiamo evitare di perdere tempo. Ci accontentiamo di qualche barretta energetica mentre scendiamo giù al lago. Che ne dite?” dice Enrico.

    Dalla forcella scendono su ripide ghiaie, fra giganteschi massi, fino a giungere nella stupenda oasi dell’Alpe dove, a 2182 metri, risplende l’occhio magico del piccolo Lago Lagazuòi. Nel fondo valle il vento è cessato, il sole splende e non si vedono le nubi minacciose nascoste dalle alte rocce circostanti. Roberta ne approfitta per suggerire una breve sosta sulla riva del lago.

    Si siedono sui gradoni discendenti verso il lago e Stefano chiede a Roberta: “Come va la caviglia?”

    “Bene” risponde Roberta “ma penso che un massaggio stasera mi farà bene”.

    “Se ne hai bisogno te lo posso fare adesso” dice Stefano.

    “Non è il caso” interviene Enrico “Se Roberta ce la fa, è meglio non perdere tempo e ripartire subito. Il temporale è in arrivo e noi abbiamo ancora davanti non meno di due ore per arrivare al rifugio. Per andare più veloci propongo di alleggerire lo zaino di Roberta. “

    Detto fatto, Enrico e Stefano si dividono equamente un po’ del carico di Roberta e i tre ripartono prima costeggiando il lago e poi prendendo il buon sentiero in dolce salita che percorre le suggestive pendici del Monte de Lagazuòi e giunge infine al Rifugio Lagazuòi.

    Mentre cammina in coda alla fila, Enrico considera il particolare contesto che si sta creando. Ormai non ha più dubbi: durante la breve sosta sul lago ha notato gli sguardi di complicità che Stefano e Roberta si sono scambiati. Evidentemente si sta concretizzato un feeling particolare tra i due. Conosce Stefano molto bene, ed è certo che lui considera Roberta l’ennesima preda da mettere nel carniere. Non capisce però Roberta. E’ sempre stata romantica e Enrico ha sempre pensato che per lei, prima di tutto, venisse la profondità e la serietà dei sentimenti. Si sente deluso e geloso perché in fondo è ancora attratto da Roberta. Non vuol fare come una trentina d’anni prima quando, per timidezza, aveva lasciato campo libero a Daniele.

    Camminando lentamente riflette sulla strategia da mettere in campo per spaiare le carte. Non vuole mettersi a competere con Stefano nel ruolo di cacciatore. Dal punto di vista del fascino virile e della potenza fisica sa di non reggere il confronto. Da adolescente, insieme a quattro ragazzi e due ragazze, era entrato di soppiatto nello spogliato del Lido Adriana. Tutto era cominciato sulla spiaggia dove i ragazzi si erano sfidati a chi ce l’aveva più grosso. Rosanna e Silvia si erano offerte di fare da giudice. Abbassati gli slip da bagno, tutti si erano rivolti verso Stefano: non c’era alcun dubbio chi fosse, di gran lunga, il vincitore. Silvia, impressionata dalle dimensioni dell’erezione di Stefano, aveva detto: “fa paura … io con te non lo farò mai!”. Peccato che due anni dopo si sarebbe clamorosamente smentita.

    “In una maniera o nell’altra non lascerò campo libero a Stefano” pensa determinato Enrico.

    Sono in vista del rifugio quando i primi lampi squarciano le nuvole che ormai hanno ricoperto il cielo.

    “Ce l’abbiamo fatta a non prendere l’acqua. Coraggio, ancora dieci minuti e siamo arrivati.” Dice Stefano.

    Il Rifugio Lagazuòi è un’accogliente costruzione collegata al Passo Falzàrego con un’ardita funivia.  E' uno dei rifugi a quota più elevata nelle Dolomiti ma più che un rifugio è un albergo con tutti i comfort. Ha ben 74 posti letto ed è aperto quasi tutto l’anno. La sua terrazza è famosa per il panorama, particolarmente suggestivo al tramonto e all’alba, sulle incredibili cime dolomitiche.

    Al check-in scoprono di avere due camere adiacenti al secondo piano.

    “Mi serve immediatamente una birra” dice Stefano.

    “Io sono stanchissima” dice Roberta “vado in camera a riposare un po’. A che ora ci vediamo per la cena?”

    “Facciamo alle otto?” propone Enrico.

    Roberta sale in camera e, tolti gli scarponi e la giacca, si lascia cadere pesantemente sul letto. Si assopisce quasi subito ma sono ancora le sette quando si risveglia. E’ abbastanza riposata e ha il tempo per fare una doccia. Dopo la doccia si sente irrequieta e eccitata. Si infila un accappatoio bianco trovato in bagno e, a piedi nudi, va bussare alla porta della stanza accanto. E’ Enrico che apre.

    “Ciao. Non c’è Stefano?” chiede Roberta “volevo sapere se è disponibile per fare il massaggio al piede”.

    “E già sceso giù. Ma se vuoi posso prendermi io cura del tuo piede. Entra dai” invita.

    Roberta entra esitante e si siede sulla sponda di uno dei due letti.

    “Non sono bravo come Stefano a fare massaggi ma posso vedere se hai preso una storta. Quale piede è? chiede Enrico.

    “Questo, il destro” risponde Roberta.

    Seduto sul letto a fianco, Enrico solleva il piede di Roberta e prova a piegarlo in varie direzioni.

    “Fa male quando lo piego?” chiede Enrico.

    “No, non sento niente” risponde Roberta.

    “La caviglia non è gonfia, non senti dolore, quindi, tranquilla, è tutto a posto” dice Enrico accennando a un maldestro massaggio.

    Ma Roberta è partita con la fantasia. Si immagina che Stefano, in questa stessa situazione, sarebbe risalito lentamente lungo le gambe … su fino alle cosce, e, aperto l’accappatoio, l’avrebbe presa prepotentemente.

    Enrico sembra averle letto nel pensiero perché, lasciato andare il piede, chiede: “Perché lo fai?”

    “Cosa?” chiede Roberta.

    Fissa Roberta con uno sguardo tenero e intenso al tempo stesso: “Saresti solo l’ennesima preda per Stefano. Cosa ti aspetti?”

    Roberta è commossa dallo sguardo dolce e adorante di Enrico. Per un attimo pensa: “Sì, è vero, per Stefano sono una preda da catturare … per te sono una dea da venerare”.

    Sommersa da un'onda di tenerezza e affetto, si allunga verso Enrico e lo bacia dolcemente sulla bocca.

    Lo guarda con i suoi profondi occhi verdi: “Non ti preoccupare. Non so cosa succederà nei prossimi giorni ma tutto finirà quando ognuno andrà per la sua strada. Pigliamo questi pochi giorni insieme come una parantesi di vera libertà. Che ne dici?”.

    “Ci vediamo giù alle otto” dice mentre si alza e si dirige alla porta.

    Enrico è completamente frastornato. Non è questa la Roberta che ha sempre idealizzato. E cosa vuole dire questa 'parentesi di vera libertà'? Che ormai ha già deciso di cedere a Stefano? Allora perché mi ha baciato?

    Si alza dal letto e scende giù al bar.

    Stefano è al banco del bar in compagnia di due signore bionde. Enrico si avvicina e Stefano, sorridente, dice: “… eccoti finalmente. Ti presento Ingrid e Lizzy, ti ricordi, le abbiamo incontrate stamane alla Malga Fànes Grande. Stanno facendo anche loro l’Alta Via.”

    Annelise Kerer

    Per cominciare dal  Primo giorno

     

     

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