Escursione in quota. Primo giorno

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    Carlo li ha appena scaricati di fronte all’ Hotel Pragser Wildsee l’imponente storico albergo sulla riva del lago di Braies. La giornata è splendida e il lago, dominato dai maestosi massicci montagnosi che lo circondano da ogni lato, non tradisce la sua fama di lago più bello delle Dolomiti. Hanno già salutato e ringraziato Carlo per il passaggio da Bressanone e gli zaini sono già in spalla. E’ a questo punto che Enrico suggerisce di fare uno spuntino al ristorante dell’albergo prima di partire. E’ da poco passato mezzogiorno, ci vogliono solo quattro ore per arrivare al Rifugio Biella dove hanno deciso di pernottare.

    “C’è tutto il tempo per mangiare qualcosa e per controllare un’ultima volta l’equipaggiamento” dice Enrico.

    Roberta, Stefano e Enrico si apprestano ad intraprendere un’impegnativa escursione in montagna dal lago di Braies in Alto Adige fino a Belluno in Veneto seguendo i sentieri dell’Alta Via delle Dolomiti tra le montagne più suggestive della zona.  Hanno programmato dodici pernottamenti in quota, nei rifugi, ove possibile, o in tenda e sacco a pelo, quando necessario.

    “Ottima idea” dice Stefano “mangiamo qualcosa così non arriviamo affamati al rifugio.”

    “Carlo fermati anche tu per una birra” invita Roberta.

    Carlo si unisce ai tre ad un tavolo sulla terrazza dell’albergo proprio di fronte alla Croda del Becco che, con le sue rocce bianche, si erge per circa 1400 metri quasi in verticale sul lago.

    Stefano e Enrico ordinano patate saltate con speck e uova, Roberta si accontenta di un panino con speck, formaggio e un cetriolino sottaceto affettato. C’è molta gente sul terrazzo dell’albergo, i tavoli sono quasi tutti occupati.

    Stefano, guardando le alte rocce di fronte e inzuppando un po’ di pane nel tuorlo d’uovo che si è sparso sulle patate e sullo speck, riflette:

    “Siamo nel nord dell’Alto Adige ma solo a qualche chilometro in linea d’aria dal Veneto”.

    “Ne sei sicuro?” chiede Roberta.

    “Sì” risponde Stefano “il confine con la regione Veneto corre proprio in cima al Seekofel, cioè la Croda del Becco qui di fronte a noi. In linea d’aria siamo a poco più di 2 km dalla cima della croda e quindi dal Veneto”.

    “Infatti” aggiunge Enrico “il Rifugio Biella dove arriveremo stasera è di proprietà del comune di Cortina che, da qualche anno, lo ha dato in gestione alla famosa guida alpina ampezzana Guido Salton”.

    “Ma tu Roberta vieni da Roma come puoi sapere queste cose” scherza Stefano.

    “Perché voi due siete sempre a scarpinare da queste parti? Tu Stefano stai a Padova, tu Enrico non si capisce bene dove vivi. Non credo che avete più familiarità di me con questi posti” risponde piccata Roberta.

    “Non ho molta fiducia nei romani e nei veneti come montanari quindi adesso facciamo un ultimo controllo. Rileggo la check-list dell’attrezzatura che vi ho mandato per e-mail” dice Enrico.

    “Ma vai a polpi!” scherza Stefano riferendosi agli anni in cui Enrico era il più bravo pescatore di polpi di Riaci, un piccolo paese di pescatori del sud Italia.

    “Ah ah … “ ride Roberta “eravate dei fenomeni nella pesca del polpo. Ma ci rimaneva qualche polpo nel raggio di un chilometro dalla spiaggia di Riaci dopo l’estate?”

    “Anche i miei compravano, a volte, i vostri polpi” ricorda Roberta “anche se piacevano solo a mio padre e ad Anna, la nostra donna di servizio”.

    Stefano e Enrico erano nati e cresciuti entrambi a Riaci e, durante l’estate, negli anni del liceo, si guadagnavano qualcosa andando a pesca insieme. La loro specialità era la pesca al polpo con lo ‘specchio’. Ad un bidone metallico di 50 litri venivano tolti i due fondi e su uno dei due lati veniva fissato un vetro, lo ‘specchio’. La tecnica di pesca con lo specchio era concettualmente semplice ma richiedeva molta esperienza e un occhio infallibile. Era Enrico che, steso di pancia sulla poppa della barca, si ficcava con la testa nel bidone, a scrutare il fondo marino attraverso lo specchio e le limpide acque. Stefano era ai remi e vogando molto lentamente seguiva le indicazioni di Enrico: mano destra, vai a destra; mano sinistra, a sinistra; un tocco sulla testa, fermo qui.

    Il fondale marino della costa nei pressi di Riaci era una meraviglia a vedersi con la maschera o lo specchio. Uno spettacolo della natura fatto di rocce, anfratti e sassi bianchi pieni di ricci e separati da piccoli tratti di fondo sabbioso dove cresceva alta la posidonia.  Per via dell’alta costa, il fondale marino scendeva rapidamente a profondità di venti, trenta metri ma usando una maschera era quasi sempre possibile vedere chiaramente il fondo attraverso le acque cristalline. Anzi, a volte sembrava che l’acqua non esistesse proprio. Un giorno, nuotando con la maschera, sono arrivato sulla punta della torre dove la profondità è sui venti metri. Sulla punta le acque erano così trasparenti che all’improvviso sono stato colto dalle vertigini come quando ci si trova sull’orlo di un precipizio. La sensazione era di essere sospeso in aria sulle rocce del fondo e sui pesci multicolori.

    Anche con le acque limpide, riuscire a vedere un polpo, campione dell’adattamento cromatico, non era per niente semplice. Il paesaggio molto vario del fondale fatto di rocce, alghe, secche e anfratti certo non era di aiuto. Enrico, però, conosceva a memoria ogni metro quadrato del fondo marino, ogni sasso che potesse ospitare una tana. Individuato il polpo bastava muovere la ‘purpara’ davanti la tana e il gioco era fatto: il polpo balzava sulla purpara ed era relativamente semplice portarlo a bordo. Dopo un paio d’ore di pesca, i due tornavano a riva ogni giorno con decine di polpi che vendevano direttamente ai bagnati sulla spiaggia.

    Anch’io sono cresciuto nel mare di Riaci ma mi è capitato di prendere un polpo solo quando, stoltamente, lo sventurato si attaccava al mio piede in acqua mentre raccoglievo padelle e cozze sugli scogli.

    “Lo sai Roberta” interviene Stefano “che Daniele aveva raccolto l’eredità di Enrico nella pesca con lo specchio?”

    Al ricordo di Daniele, un velo di tristezza cala negli occhi di Roberta. Daniele era stato il suo grande primo amore e per due estati consecutive erano stati inseparabili. Daniele era morto in circostanze misteriose, non ancora chiarite, tre anni prima. Il suo corpo era stato ritrovato in mare tra gli scogli dietro la punta della torre del tommolo.

    “…  giacca impermeabile anti-vento, pile, occhiali da sole, borraccia con acqua, indumenti e calze di ricambio, coltellino, cappello per il sole, binocolo, torcia, crema solare protettiva, stick per le labbra, barrette energetiche.”

    Enrico ha appena terminato di leggere la lista delle cose da non dimenticare assolutamente.  Carlo è ripartito per Bressanone. Zaini in spalla e …  via verso l’avventura!

    La prima tappa non è particolarmente difficile. Roberta consulta i suoi appunti. Partenza: Lago di Braies (1.489 m). Arrivo e pernottamento: Rifugio Biella (2388 m). Dislivello: 900 metri in salita e 60 metri in discesa; Lunghezza percorso: 6 chilometri circa; Tempo di percorrenza: 4 ore.

    “Per oggi non ci sono problemi … almeno spero” pensa sorridendo tra se e se.

    Il sentiero in salita per il rifugio Biella ha inizio all’estremità sud-est del lago. I tre amici, zaini in spalla, s’incamminano lungo il largo sentiero quasi pianeggiante che gira intorno al lago. Ci sono molti turisti che passeggiano lungo il perimetro del lago e qualche volta i tre sono costretti a cedere il passo. La spiaggetta all’estremità sud-ovest del lago è piena di gente stesa al sole, altri si bagnano nelle fresche acque color smeraldo. Un modo alquanto anomalo di iniziare una dura escursione su montagne impervie e selvagge.

    Stefano non vede l’ora di cominciare l’ascesa per lasciare la folla alle spalle.

    “Spero che sul sentiero per il rifugio ci sia meno gente” dice con una punta di sarcasmo.

    Stefano è una persona pratica, di buon senso. Essenzialmente è un pragmatico materialista, ironico, realista. Con il suo sarcasmo è capace di far apparire assurda o ridicola qualsiasi sconfinamento nell’idealismo. E’ anche estroverso, brillante, di bella presenza e prestante fisicamente. Niente di strano, quindi, che abbia un certo successo con le donne.  Vive a Padova dove insegna al liceo.  

    Giunti all’estremità meridionale del lago i tre amici imboccano lo stretto sentiero che risale il pendio morenico verdeggiante tra caratteristici baranci, i pini mughi dai rami contorti, e gigantesche conifere secolari qualcuna incenerita dai fulmini. Fortunatamente nessuno segue il loro passi e in breve si ritrovano completamente soli a tu per tu con la natura, regina incontrastata del luogo.

    Alzando lo sguardo verso le numerose vette rocciose che li sovrastano, Enrico riflette a voce alta: “Viene naturale fare una similitudine tra questa montagna che con sforzi fisici cerchiamo di scalare e la montagna spirituale la cui vetta alcuni cercano di raggiungere. Come quelli che ci siamo lasciati alle spalle sui bordi del lago, molte persone arrivano in vista della montagna spirituale ma mai si arrischiano a scalarla. Per risparmiarsi la fatica, si accontentano di ascoltare le storie di chi è arrivato in cima”.

    “Tu saresti uno di quelli che è arrivato in cima alla montagna spirituale?” interrompe con tono canzonatorio Stefano.

    “Certo che no” risponde Enrico “ma non mi accontento di guardare la montagna da lontano. Cerco di inerpicarmi lungo il pendio, senza guide esperte, per trovare un sentiero verso la cima. A volte inciampo e scivolo giù per la scarpata ma la speranza è sempre quella di trovare il mio sentiero per la vetta. Perché non c’è un singolo sentiero, o un certo numero di sentieri, ce ne sono un’infinità, tanti quanti sono gli individui”.

    Enrico e Stefano sono amici fraterni pur essendo molto diversi, sia fisicamente sia come carattere. Alto e prestante, Stefano, di statura media e aspetto dimesso, Enrico; estroverso e brillante, Stefano, taciturno e riservato, Enrico. Sono entrambi nati e cresciuti a Riaci. Il primo a lasciare il paesello natio era stato Enrico che, dopo il liceo, su suggerimento del professore di matematica, si era iscritto alla facoltà di fisica dell’università di Trieste. La laurea non gli era stata di aiuto a trovare un lavoro come ricercatore e alla fine si era accontentato di fare il programmatore in una società di informatica. Erano gli anni del boom di Internet e dell’era digitale e il settore offriva molte possibilità di sviluppo e carriera.

    “Credo che il sentiero verso la cima della montagna spirituale sia ben tracciato dagli insegnamenti di Gesù e della Chiesa” interviene Roberta.

    “La mia impressione è un’altra“ risponde Enrico “ i credenti, secondo me, sono come i turisti che girano intorno al lago, che vedono la montagna, ma piuttosto di arrampicarsi lungo l’irto sentiero della ricerca spirituale, si accontentano delle storie fantastiche che raccontano i preti. Per i pochi credenti che tentano la scalata l’impresa è senza speranza. Non perché il messaggio di Gesù è sbagliato ma perché il percorso indicato duemila anni fa non va più bene ai giorni nostri. Il sentiero stabilito da Gesù ha cominciato a franare quattrocento anni fa e continua a franare sempre più rovinosamente per le scosse telluriche provocate della ricerca scientifica”.

    “Cominciamo bene“ interrompe Stefano “siamo appena partiti e voi due avete già cominciato a sparare concetti astratti che non stanno né in cielo né in terra. Un montagna spirituale? Gli insegnamenti della Chiesa? Senza parlare di un personaggio mitico, Gesù, della cui esistenza, come ci viene raccontata, non si ha alcuna prova storica. Lo sapete, vero, che nessuno dei quattro evangelisti ha conosciuto Gesù? Scrivevano delle sue gesta quasi un secolo dopo i fatti raccogliendo i racconti mirabolanti che il popolino si raccontava come fanno adesso su Facebook quelli che si scambiano le bufale”.

    Dopo la sparata Stefano riprende fiato anche perché la pendenza e il peso dello zaino cominciano a farsi sentire.

    Riprende dopo qualche secondo: “Siamo in contatto con la realtà, anzi, siamo immersi nella realtà, ad ogni passo sentiamo la terra, i sassi, le radici affioranti sotto gli scarponi, se ci guardiamo intorno vediamo alberi, arbusti, rododendri, genziane e altri fiori bellissimi, in alto le montagne ci dominano e più in alto l’azzurro del cielo ci abbaglia, se stiamo zitti sentiamo lo scrosciare dell’acqua nel canalone. Questa è l’esperienza della nostra coscienza nell’immanente. Questo è quello che conta e che dovremmo apprezzare camminando in silenzio piuttosto che sparare cazzate trascendentali”.

    Cala il silenzio e, in effetti, il rumore dell’acqua che scende tra le rocce assume subito una certa rilevanza nell’ambiente che li circonda.

    Il sentiero in questo tratto è attraversato da grosse e contorte radici affioranti e i tre devono prestare molta attenzione per vedere dove mettere i piedi e tenersi in equilibrio. Questa per Enrico e Roberta è una buona scusa per rimanere in silenzio.

    Camminano in fila indiana con Roberta che fa l’andatura. All’inizio della salita Stefano si era messo in testa a far da battistrada ma era apparso subito evidente che Roberta non era in grado di tenere lo stesso ritmo. Ora è Roberta che fa l’andatura ma, come non ha mancato di fare rilevare Stefano, con il suo passo ci vorranno cinque ore per arrivare al rifugio e non quattro come previsto.

    Enrico era rimasto molto perplesso quando Stefano gli aveva proposto di invitare Roberta all’escursione in montagna. L’idea in fondo piaceva anche a lui. Sarebbe stato bello stare in compagnia di Roberta, con la sua allegria e spontaneità, per una quindicina di giorni. Era preoccupato per la sua tenuta fisica. Sapeva che Roberta era una sportiva sempre in attività ma sarebbe stata preparata ad arrampicarsi per ore con uno zaino sulle spalle? Alla fine si erano detti che valeva la pena rischiare.

    Stefano e Enrico avevano conosciuto Roberta a Riaci dove, da ragazza, lei veniva ogni estate a villeggiare con la famiglia. Roberta adolescente era bellissima, tutti ne erano un po’ innamorati, ma il suo vero grande primo amore era sbocciato con Daniele.

    Ora Roberta ha quarantacinque anni e, del suo viso di adolescente, gli occhi ed il sorriso sono rimasti gli stessi. In particolare gli occhi. Roberta è tutta occhi, due fari verde scuro pieni di sagacia e malizia. Nell’insieme, tranne che per i suoi capelli, oggi corti e schiariti rispetto alle chiome castane della gioventù, non è cambiata poi molto, anche nella figura ha conservato le sue proporzioni ed il suo seno florido è ancora da ammirare.  

    Di vivace e provocatoria intelligenza trasmette ancora un senso di indipendenza intellettuale insieme ad una forte curiosità per tutti i punti di vista alternativi. In questo lei era in perfetta sintonia con Daniele, erano veramente così: diversi e sperimentatori.

    Benché proveniente da una famiglia borghese del tutto tradizionale, gli anni in cui si era formata, unitamente alla sua naturale predisposizione, l’hanno orientata ad essere sempre aperta ed originale. Era forse inevitabile l’attrazione tra lei e Daniele.

    La grande spinta idealistica di Daniele, tesa inizialmente verso le tematiche sociali, dava consistenza alla vena altruistica di Roberta che pendeva letteralmente dalle sue labbra ma, nel contempo, le faceva intuire quello che solo in seguito si fece evidente: Daniele non poteva essere totalmente suo e questo, fin da subito, faceva soffrire Roberta anche se di ciò, da adolescente qual era, solo in parte ne era consapevole.

    Lei, una ragazzina di città, non poteva comprendere il subbuglio e le aspirazioni di un giovane nato a Riaci un piccolo borgo della costiera amalfitana che lei viveva solo nella luce estiva e vacanziera. Anche d’inverno lei pensava a quel luogo solo come lo scrigno prezioso di un carillon che conteneva i suoi sogni pieni di amore e di progetti, non conosceva, quindi, le solitudini degli inverni, le piogge, le giornate uggiose, le poche prospettive ed i pochissimi diversivi che si prospettavano ai suoi, allora, giovani amici.

    Ma all’epoca viveva il suo eterno oggi, felice di quella istantanea che la ritraeva come una ragazza sana, giovane e benestante. Allora le sembrava che quelle virtù sarebbero state tutte frecce infallibili per centrare l’obiettivo di un futuro radioso.

    Aveva sempre vissuto a Roma e lì si era laureata in giurisprudenza, aveva fatto la consulente per grandi aziende senza però integrarsi mai veramente nelle logiche ‘manageriali’ che in quegli anni imperversavano, era, per così dire, rimasta sé stessa e questo, nel suo ambiente, la faceva considerare una ‘non omologata’ con conseguenti alterne fortune.  

    Con grande entusiasmo aveva accettato quell’invito dei suoi amici dell’estate. Anche se la montagna non era certo il suo ambiente di elezione, questa ‘ascesa’ le sembrava un’occasione revisionistica troppo ghiotta per rinunciare. Voleva capire se avrebbe retto sia fisicamente che psicologicamente. Dopo vari ripensamenti e riflessioni, le era sembrato che non si sarebbe potuta sottrarre a quella sfida e si domandava del perché intimamente le appariva come tale.  Ma era andata, ‘buttando il cuore oltre l’ostacolo ’ per vedere, ascoltare, ritrovarsi, ricordare e … riflettere.

    Ora sotto il peso dello zaino, la pendenza del sentiero in aumento, il fiato grosso, qualche dubbio comincia ad affiorare nella sua mente. Ma Roberta è troppo orgogliosa per lamentarsi, niente fa trasparire il suo momento di crisi.

    Sono usciti dal verde intenso dei boschi e si trovano ora all’imboccatura della conca pietrosa tra il Giovo Grande e la Croda del Becco. E’ il punto perfetto per fermarsi ed ammirare la vallata alle spalle ed il lago dalle acque color smeraldo che, da questa altezza, appare come una fiabesca pietra preziosa per i riflessi del sole sulla superfice.

    Fortunatamente per Roberta, Enrico suggerisce di fare una sosta.

    In silenzio, in un’atmosfera quasi magica, posano gli zaini e si siedono su grossi sassi bianchi. Nessuno ha voglia o forza di parlare, si sente solo lo scrosciare impetuoso dell’acqua nel canalone.

    Dopo alcuni minuti, dopo essersi rifocillato con un sorso d’acqua dalla borraccia, è Stefano a rompere il silenzio. Rivolto ad Enrico dice: “Salendo, ho un po’ riflettuto sulla tua montagna spirituale. D’accordo, immaginiamo che ci sia questa faticosa ricerca del sentiero, ma qual è il premio una volta arrivati in cima? Cosa si troverebbe in cima?”

    Enrico risponde con tono ironico: “Ma come? Non dovevi concentrarti sul rumore dell’acqua?”

    Poi, dopo un attimo di esitazione, risponde seriamente: “La serenità d’animo, la gioia di vivere liberi, senza paure assurde, in armonia, senza conflitti, con noi stessi, gli altri, la natura, e … con Dio”. Enrico ha parlato senza fretta, cercando le parole con cura, con un tono di voce diverso dal solito, quasi ispirato, con una certa qualità musicale. Ora guarda Stefano con un’espressione giocosa e amabile nei profondi occhi scuri.

    Dopo qualche attimo di pausa riprende con lo stesso tono ispirato: “Il percorso di ricerca spirituale consiste nel cercare risposte a domande che l’uomo si pone da sempre. Esiste Dio? Perché esiste qualcosa e non il nulla? Da dove viene e dove va l’uomo? Per quale motivo siamo qui? Qual è il senso della nostra vita, qual è il senso dell’universo? Cosa c’è dopo la morte? Che cosa possiamo sapere? Qual è il limite della conoscenza umana?”

    Con una punta di teatralità, Enrico ha intercalato ogni domanda con una pausa di qualche secondo.

    Stefano non si fa incantare: “Qui sta il problema, caro mio” interviene sbrigativamente “l’uomo si pone da sempre queste domande ma nessuno ha mai trovato le risposte. Non vuoi farmi credere che tu le hai trovate?”

    Enrico: “Il problema è che si è sempre preteso di trovare risposte definitive, assolute, che fossero Verità, con la ‘V’ maiuscola, valide per tutti. Sono d’accordo con te: la ricerca della Verità assoluta è senz’altro vana. E allora, cosa si può fare? Ignorare bellamente le domande concentrandosi sulla vita reale, come fai tu. Oppure, come credo faccia Roberta, accettare le risposte dogmatiche della verità rivelata proposte dalla Chiesa. Io penso invece che ci sia una terza via”.

    “No! Basta con le prediche ora” interrompe Stefano “è ora di ripartire altrimenti si fa notte prima di arrivare il rifugio”

    Roberta interviene “Enrico ricordati però di riprendere il discorso, lo trovo molto interessante. Sono curiosa di sapere cosa intendi con questa tua terza via”.

    “Ha ragione Stefano” risponde Enrico “ci vuole troppo tempo per spiegare di cosa si tratta.”

    Poi, mentre si mette lo zaino in spalla, aggiunge sibillino: “Comunque la terza via ha a che fare con la conoscenza”.

    Riprendono il cammino con il passo lento ma costante di Roberta. Superato lo stretto vallone detto Buco del Giovo li attende un passaggio attrezzato con funi metalliche lungo una parete rocciosa a gradoni. Si fermano per un attimo e Stefano ed Enrico si scambiano un furtivo sguardo di preoccupazione che non sfugge a Roberta.

    “Tranquilli” dice “non soffro di vertigini”.

    “Bene” risponde Stefano “ma i maschietti ti aiuteranno con lo zaino. Così potrai salire senza intralci e muoverti liberamente reggendoti alle corde”. Roberta ha un attimo di esitazione. Non vuole dare a parere di aver bisogno del loro aiuto. Ma le ore di camminata si fanno sentire e il peso dello zaino sembra aumentare di passo in passo. Mette quindi da parte l’orgoglio e accetta.

    Stefano: “Facciamo così, tu aspetti qui e ti riposi un po’ mentre io e Enrico andiamo su. Una volta superato il costone roccioso, lascio il mio zaino in cima e torno giù a prenderti. Non ci vorrà più di una ventina di minuti e saremo sempre in contatto visivo”.

    “Ah ah “ ride Roberta “hai paura forse di perdermi di vista?”

    Ammiccando, Stefano risponde prontamente: “Certo! Senza di te, questa escursione non avrebbe senso”.

    Stefano e Enrico si arrampicano agevolmente lungo le corde mentre Roberta, seduta su un sasso sorseggiando dalla borraccia, riflette sulle implicazioni della risposta di Stefano.  “Era una battuta o ha intenzione di provarci?” Per lei Stefano è un caro amico e mai ha pensato ad una storia con lui. “Anche se non è niente male … a pensarci bene”. Ma quando è in compagnia con quelli di Riaci è il ricordo di Daniele che prende il sopravvento nella mente di Roberta. La sera prima della partenza, mentre cenavano insieme a Bressanone, era stata chiara: “Ragazzi“ aveva detto “pochi riguardi, Daniele è con noi in questa gita, è inutile negarlo, anzi prima lo ammettiamo e meglio è. Senza di lui e senza il luogo che ci ha forniti di piedi marini, molto più che di piedi montani, questa vacanza non avrebbe senso".

    Sono passati una quindicina di minuti e Stefano ridiscende agilmente.

    “Sei pronta?” chiede.

    Senza attendere risposta si butta lo zaino di Roberta in spalla e la guarda sorridente. “Allora come va? Ti sei riposata? L’arrampicata non è per niente difficile. Si potrebbe fare tranquillamente senza corde ma, per sicurezza, è meglio che tu le usi. E mettiti i guanti se non vuoi rovinare le tue belle manine”.

    Roberta è incantata dalla gentilezza e galanteria di Stefano. Non può negarlo.

    “Vado io avanti?” chiede con un sorriso.

    “Si, così se scivoli ti prendo in braccio” risponde sorridendo Stefano.

    Roberta ha un leggero fremito su per la schiena all’immagine di se stretta tra le braccia muscolose di Stefano. Ma subito cancella l’immagine dalla mente concentrandosi su dove mettere i piedi. Si avvia lungo la ferrata con Stefano che la segue di qualche passo.

    Nelle gloriose estati a Riaci, Stefano era ossessionato da Roberta. Il suo corpo snello e sinuoso, le belle gambe lunghe, le rotondità nei posti giusti, ma, soprattutto, il suo modo armonioso e sensuale di muoversi, gli facevano girare la testa. Anche quando Roberta si era già messa con Daniele, Stefano non poteva fare a meno di desiderarla.

    A volte, in spiaggia con il gruppo di amici, socchiudeva gli occhi per godersi indisturbato lo spettacolo del corpo di Roberta stesa al sole nel suo minuscolo bikini.

    Attraverso le palpebre socchiuse si immaginava di far scorrere la punta delle dita, sempre più su, lungo la parte interna delle cosce. Si immaginava poi di chinarsi su di lei per baciarle l’ombelico e far scorrere la punta della lingua sulla pelle dorata, lungo i bordi del bikini. A questo punto era costretto a stendersi sulla sabbia a pancia in giù altrimenti la prepotenza del suo desiderio avrebbe fatto capolino oltre gli slip da bagno.

    Poi la stagione felice delle estati a Riaci era finita. Roberta si era sposata ed il marito aveva deciso di fare le vacanze estive su altri lidi. Qualche anno dopo Stefano si era a sua volta sposato e poi trasferito al nord. Insomma per Stefano era rimasto solo il ricordo di quegli sconvolgimenti carnali che, più avanti negli anni, aveva attribuito al naturale eccesso giovanile di testosterone. Da parte sua, Roberta non si era mai accorta dei turbamenti che procurava a Stefano.

    Ma adesso qualcosa sta succedendo di nuovo. Stefano, risalendo dietro Roberta, non può fare a meno di ammirare l’armonia dei suoi movimenti e la sensualità del suo corpo. Lungo l’irto sentiero, la pienezza perfetta del suo fondo schiena fasciato negli stretti pantaloni corti da montagna danza sensuale a pochi centimetri dal suo viso.

    La sua immaginazione prende a galoppare come durante le estati a Riaci. Come in trance, vede Roberta nuda davanti a se. La bellezza del suo corpo, visto da dietro, si mostra in una prospettiva intrigante e diversa ad ogni passo. Il movimento ondulatorio delle illusorie natiche nude a pochi centimetri dal viso lo eccitano nel profondo. Si immagina di avvicinarsi da dietro, di far scorrere delicatamente le mani lungo i fianchi nudi e di stringerla poi violentemente contro di se.

    “Basta” pensa, scuotendo vigorosamente la testa. Con uno sforzo enorme Stefano riesce a liberare la mente dalle fantasie inopportune e, come per tornare al mondo reale, dice “Brava Roberta, non mi aspettavo che tu fossi così agile. Vai su benissimo”.

    Sono giunti senza problemi in cima al costone roccioso dove c’è Enrico che li aspetta.

    Un attimo di sosta è d’obbligo per ammirare la spettacolare conca detritica del parco naturale Fanes-Senes-Braies dominato dal massiccio della Croda del Becco. Più in lontananza, l’imponenza del Monte Pelmo, della Croda Rossa e delle Tofane è colorata di rosso dalla luce del sole che sta scendendo dietro i monti a occidente.

    Ma non c’è molto tempo da perdere perché si sta facendo tardi anche se il rifugio è ormai in vista un po’ più in basso. Si tratta ora di seguire il sentiero in leggera salita fino ai 2398 metri della forcella Sora Forno, punto più alto dell’escursione odierna, e poi scendere fino al rifugio.

    Non è solo Roberta a dare segni di stanchezza. Il fardello dei pesanti zaini sta facendo pagare lo scotto anche ad Enrico e Stefano. I tre amici avanzano ora lentamente, in silenzio, quasi per risparmiare energie preziose e per lasciare spazio a pensieri intimi e personali.

    Ad Enrico non sono sfuggiti i gesti di galanteria e di gentilezza sopra le righe di Stefano nei confronti di Roberta. Un po’ è preoccupato. Teme che queste dinamiche sentimentali possano compromettere il delicato equilibrio su cui si regge questa vacanza a tre. D’altra parte, non può evitare che una punta di gelosia affiori con sempre più insistenza. Enrico ricorda ogni dettaglio, ogni evento, delle estati a Riaci quando era perdutamente innamorato di Roberta. Ancora prima che Daniele entrasse in gioco, Enrico aveva provato i tormenti dell’amore adolescenziale: l’euforia per un sorriso di Roberta, la depressione più nera quando lei scherzava e rideva con gli altri. Con lei era tutto un scambio di sguardi intensi e sorrisi languidi, niente di più. Ripensando al passato, Enrico può ora facilmente individuare il momento in cui aveva perso Roberta.

    Era una di quelle bellissime giornate d’estate che ci sono solo sulla costiera. Il mare limpido e immoto con solo un filo di maestrale a incresparne la superficie, la spiaggia inondata dal sole con i bagnanti distesi placidamente al sole, i giovani a giocare a pallone e a sguazzare nell’acqua.

     Dal juke-box a tutto volume del lido Adriana, la canzone ‘Cuore’ di Rita Pavone inondava la spiaggia con il suo ritmo cadenzato e coinvolgente.

     Enrico sapeva che Roberta, con Daniele, Stefano e il solito gruppo di amici, era in fondo alla spiaggia, vicino agli scogli, ad una decina di metri dalla battigia. Aveva deciso di incontrala da sola per parlarle e si era incamminato lungo la battigia verso di loro. Era arrivato con il cuore in gola ad una decina di metri dal gruppo di amici e, come aveva sperato, Roberta, vedendolo arrivare, si era alzata e si era avviata verso il mare con l’evidente intenzione di incrociarlo sul bagnasciuga. Mentre si avvicinava all’inevitabile, fatale incontro, Enrico, per farsi forza, urlava dentro di se: “Questa volta glielo dico: ti voglio bene, ti penso sempre, sei tutto per me. Lo dirò tutto di un fiato senza fermarmi. Questa volta lo faccio!”

    Enrico rivede adesso la scena al rallentatore: gli splendidi occhi verdi di Roberta gli sorridono ben prima di incrociarlo. “Sono innamorato pazzo … questa è la felicità … “  pensa. Il battito del cuore ormai fuori controllo, la gola secca, come ipnotizzato dai suoi occhi verdi …  incrocia Roberta … e passa oltre senza dire una parola.

    Dopo una settimana Roberta si era messa con Daniele e ad Enrico era rimasto solo il ricordo dei sui sguardi intensi e profondi colmi della promessa di un felicità inesprimibile.

    Arrivati al rifugio prendono due camere: una al primo piano per Enrico e Stefano e una nel sottotetto per Roberta. “Si mangia alle otto” avverte la signora Clara mentre si avviano su per le scale.

    Roberta è stanchissima. In camera si toglie subito gli scarponi per dare sollievo ai piedi dolenti e leggermente gonfi. Non si butta sul letto per paura di addormentarsi e si limita a rinfrescarsi nel bagno comune sul corridoio. Dalla finestra vede che Enrico e Stefano sono già giù, all’esterno del rifugio, a bersi una birra su una panchina. Si infila un paio di comode pantofole e si avvia giù per le scale. Scendendo si domanda se Stefano la sta veramente corteggiando o se è solo una sua impressione. Questa possibilità le crea qualche apprensione perché tiene molto alla ritrovata armonia tra vecchi amici. Teme che Stefano si stia comportando come lo stereotipo dell’uomo del sud, seppure trapiantato al nord da molti anni, che ravvisa in una donna divorziata e ancora piacente, una disponibilità certa soltanto in attesa di trovare l'uomo che sappia prenderla.

    Poi, a dire il vero, Roberta si sente più vicina ad Enrico. Le piacciono i suoi occhi scuri e profondi, i suoi sguardi intensi e sereni, quel suo fare quieto e taciturno, quasi timido. Prima di innamorarsi di Daniele, Roberta aveva provato una certa attrazione per Enrico. Vedere i tratti del suo carattere conservati fino ad oggi, le dà un senso di confermata autenticità.

    Giù al bar prende una birra e raggiunge gli amici sulla panchina.

    “Spero, ragazzi, che una notte di riposo mi basti a recuperare le energie. Sono distrutta, guardate i miei piedi. Domani sarò in grado di rimettere gli scarponi?”

    “Conosco una tecnica infallibile di massaggi per i piedi. Cinque minuti di massaggi per piede e tornerai come nuova” dice Stefano.

    Senza ammettere replica, Stefano si inginocchia, prende un piede di Roberta e se lo appoggia sulla coscia. Con le lunghe dita affusolate segue l’andamento dei legamenti del piede per rilassarne la tensione. Enrico vede che Roberta ne trae immediato beneficio perché i lineamenti si rilassano e gli occhi si socchiudono. La camicia di Stefano gli è risalita un poco indietro e mette in mostra il polso snello e robusto e l’inizio dell’avanbraccio coperto da una leggera peluria indorata dalla luce del sole radente del tramonto. Ora Enrico nota che Roberta ha il respiro affrettato e gli occhi fissi sul polso vigoroso di Stefano con i peluzzi dorati e sulla sua mano lunga, delicata ma forte. Roberta sembra in trance, in preda ad una singolare concupiscenza. Ma è solo un attimo.

    Si riprende, e “Grazie Stefano, il massaggio mi ha fatto proprio bene”, dice ritraendo il piede.

    “Adesso l’altro piede” dice Stefano. Questa volta Roberta si concentra sul bellissimo panorama del Parco Naturale di Fanes-Sennes-Braies al tramonto.

    La cena è pronta: canederli di fegato in brodo e kaiserschmarrn per dessert.

    E’ Enrico che, durante la cena, porta il discorso su Daniele. Ha trascorso gli ultimi mesi all’estero e vorrebbe essere aggiornato sulle indagini relative alla morte di Daniele.

    “Gli inquirenti sono orientati per il suicidio” dice Stefano sconsolato.

    “Noi tutti sappiamo però che questo non può essere. Noi che lo conosciamo bene sappiamo che Daniele non può essersi suicidato” aggiunge Roberta.

    I tre amici si erano incontrati, dopo molti anni, in occasione dei funerali di Daniele a Riaci. Avevano parlato con gli amici del luogo e i parenti di Daniele. Il suicidio era escluso da tutti. L’opinione prevalente era che si fosse trattato di un incidente. Dietro la torre del tommolo, a picco sul mare, c’è una griglia metallica da dove i minatori della cava buttavano in mare i residui di roccia che non venivano imbarcati sulla motonave ‘Jason’ diretta agli altiforni di Bagnoli presso Napoli. Il precipizio sul mare e sugli scogli è alto parecchie decine di metri. La gente di Riaci pensava che, per qualche motivo, Daniele fosse scivolato sulla scarpata di lato alla griglia e finito sugli scogli e poi in mare.

    Ma c’era stato uno sviluppo strano e inaspettato. La sera dopo i funerali, Enrico era stato avvicinato da Vincenzo, un coetaneo di Riaci. Con fare misterioso e guardingo, Vincenzo aveva raccontato che, per alcune notti prima dell’incidente, dal mare, dove lui era a pescare al largo, aveva notato dei movimenti strani sugli scogli della torre e su per il sentiero che dalla cava porta alla strada statale. Raccontò di aver visto delle luci inerpicarsi dagli scogli su verso la statale. Sollecitato a fare qualche ipotesi sulla provenienza delle luci, Vincenzo, con fare inquieto aveva detto di non sapere niente e di non poter immaginare niente.

    “Sono stanca morta, vado a letto” dice Roberta rompendo il silenzio che era calato all’improvviso.

    “Domani puoi riposare fino a tardi. Io e Stefano, all’alba andiamo sulla Croda del Becco. Saremo di ritorno per le undici” dice Enrico.

    “Ti fai trovare pronta per quell’ora, facciamo una bella colazione e partiamo per il rifugio Fanes”.

    “Ok. Buonanotte ragazzi” dice Roberta avviandosi su per le scale.

    Annelise Kerer

    Continua: Secondo Giorno

     

     

     

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