ERCHIE: MAGICO CONTENITORE DI PAESAGGIO E STORIA NON OPPORTUNAMENTE VALORIZZATO

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    Ora che le calure di agosto si stemperano nelle brezze di settembre e pettinano onde a carezza di battigia ciottolosa, la Costa di Amalfi ostenta con naturale disinvoltura tutta la sua fresca luminosità se goduta dal mare.
    Sono approdato ad Erchie nel pomeriggio avanzato reduce da una cala di Capodorso, dove un amico colto mi ha raccontato di antiche battaglie e di naufragi tanto memorabili quanto tragici. E per un attimo mi sono incantato a fotogrammi di memoria storica con l'ammiraglio Filippo Doria a capo della flotta francese in conflitto con quella spagnola alle dirette dipendenze del viceré di Napoli, don Ugo de Moncada. Correva l'anno 1528. La vittoria arrise al Doria ed il comandante spagnolo trovò la morte in battaglia ed il corpo reclama sepoltura dall'abisso del mare, che, dolce, riecheggia lamenti alle grotte e, quando si rabbuffa, minaccia inondazioni alla Torre del Faro fiorita sull'avamposto di uno scoglio alto tra ciuffi odorosi di macchia mediterranea.
    La fantasia popolare ha individuato sirene e mostri di mare e di terra in quel susseguirsi di scogli intagliati e levigati dai capricci secolari della natura. A cominciare da quello gigante e più esposto con la tozza testa di un orso che ha dato il nome a quella arditezza di sperone a catapulta, limite di demarcazione tra l'ariosità della conca di Maiori e Minori e l'arabesco delle colline di Ravello e Scala, da un lato, e le insenature raccolte di Cetara ed Erchie, dall'altro.
    La piccola rada di Erchie ha un clima di raccolta familiarità, ora che la processione dei bagnanti si fa più sciolta e lascia maggiori opportunità di slanci trasgressivi alle coppiette allo scialo dell'ultimo sole. Ci mancavo da dicembre, a Natale. Ed allora era miracolo caldo di sole che si attardava ai tetti rossi delle cabine vuote. E c'era anche allora parlottio d'amore nella gola che tendeva, e tende, al cielo a filo d'acqua chiara. Anche ora, come allora, trasmigra lieve l'eco dei richiami al frascheggio di agrumi che contendono terra di macere ardite al leccio ed al carrubo. Allora, in dicembre, m'ero attardato al complice rifugio di una grotta, gustando i sapori antichi di un oste sapiente. Ora mi gusto, alle carezze della brezza, una granita abbondante e squisita e rincorro percorsi a ritroso di frammenti di memoria raccolti su libri di storici locali. Il villaggio fu anticamente denominato Ircle, Ercle, Hercla ed Erchia, a perpetuare nel tempo la leggenda che vuole la contrada consacrata ad un tempio del semidio Ercole. Ma la storia fa giustizia della leggenda e sancisce che il primo nucleo di case, di pescatori naturalmente, nacque intorno ad un monastero abbaziale benedettino, sotto il titolo di Santa Maria de Erchi, fondato nel 979 dal doge amalfitano Mansone III. Ed ebbe vita fiorente e fu culla di abati santi e monaci colti fino al 1154 quando una ciurma di saraceni mise a ferro e fuoco abbazia e villaggio. Di lì la decadenza e lo sfascio tanto che nel 1451 il papa Nicola V ne vietò il culto e la concesse con i suoi beni alla mensa metropolitana di Salerno.
    Triste sorte quella di Erchie, ieri come oggi, nei suoi rapporti con le istituzioni. Molti probabilmente ignorano che questo delizioso angolo di mondo, appartato e dignitoso nella sua riservata solitudine, appartiene territorialmente al comune di Maiori, pure essendo ad un tiro di schioppo da Cetara, che più legittimamente ne potrebbe rivendicare l'amministrazione. Maiori è lontana e, forse, trascura questa  "frazione" che pure ha in sè un potenziale turistico enorme, se solo fosse protetta da eccessive invasioni agostane e potenziata con interventi mirati per un turismo esclusivo. Erchie è un contenitore di tesori paesaggistici, capaci di suggestioni e di magie irripetibili altrove. Potrebbe prestarsi a dimora privilegiata di artisti provenienti da tutto il mondo per fare del borgo, in attività permanente di poesia, pittura e musica, un paradiso deputato all’ispirazione ed alla produzione artistica, con quell'anfiteatro naturale che dall'alto si apre a ventaglio nella minuscola rada e dal mare si incunea ad imbuto verso la  gola a scalare la collina alla scoperta della sorgente che ricama schiuma nel vallone  di San Nicola fino a quel ponticello da cartolina, che mi accoglie a ristoro e goduria di granita.
    Fu per me, come per tanti, rifugio alle prime fughe d'amore nei "filoni" liceali, quando i primi soli di maggio esplodevano nelle aule infuocate del "Tasso"di Salerno ed incoraggiavano evasioni  trepidanti di ansie e di primi baci innocenti a riparo di scogli. Ed i ricordi si fanno intensi e si popolano di immagini forti anche ora, all'imbrunire, quando l'onda schiuma fiori d'arancio ai baci di ragazzi che s'attardano all'umido della rena. Sulla collina le prime ombre carezzano i vigneti a sostegno di quanti ritengono che il toponimo derivi da "Cercly", che indicherebbe attività' connesse alla preparazione della vendemmia, alla produzione e conservazione dei vini. Un'altra strada per dare al borgo un suo ruolo, anche nella produzione tipica della Costa Divina. Ma è questo il compito della nuova Amministrazione di Maiori, che dispone di gioielli di straordinaria bellezza, che dovrebbe immettere sui mercati nazionali ed internazionali per recitare un ruolo di primo piano nell’offerta  di un turismo di qualità nella Costa d’Amalfi. Peccato che a tutt’oggi, a tre mesi dall’insediamento dell’Amministrazione, la città non dispone ancora di un Assessore al Turismo, che, a mio modesto parere, è il settore portante dell’economia del territorio e lo sarà sempre di più per il futuro.                                                                             

    Giuseppe Liuccio
    liucciogiuseppe@gmail.com
     

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