La nostra Bandiera foto

Più informazioni su

    La nostra identità di napoletani e siciliani è stata a lungo soffocata dalla colata di cemento della mistificazione, utilizzata al fine di perpetrare quello che Roberto De Simone non ha esitato a definire un genocidio culturale. Un lungo, buio e opprimente inverno in cui si è cercato di inculcare ai meridionali la rassegnazione che nasce dall’oblio. Oggi, però, questo piano criminale sta per essere strappato. Come un imponente fiume carsico, la nuova consapevolezza identitaria degli uomini e delle donne del Sud comincia finalmente a uscire alla luce del sole; prorompe in mille sorgenti, travolgendo i gendarmi della colonizzazione, e cerca prepotentemente la propria strada verso il mare della libertà.

     

    Questo moto inarrestabile ha spontaneamente adottato un vessillo che non è frutto di un’elaborazione artificiale, ma che riemerge dalla nostra ritrovata memoria storica. La bandiera del glorioso stato che fu proditoriamente invaso dai piemontesi foraggiati e favoriti dalle potenze imperialistiche del tempo: la bianca bandiera con lo stemma del Regno delle Due Sicilie. Ha scritto Silvio Vitale: “Possiamo affermare che lo Stemma del Regno delle Due Sicilie è testimonianza di una storia non provinciale, ma europea, mediterranea e ultraoceanica, legata dapprima, con gli Svevi ai destini dell’impero e di Gerusalemme, con gli Angiò ancora alle vicende di Gerusalemme e dell’Ungheria, poi, con gli Aragonesi, a quelle della Catalogna; con i Re Cattolici alla Riconquista, con Carlo V e Filippo II alla dura lotta in difesa del Cattolicesimo contro i musulmani e, in tutti i campi d’Europa e d’America, contro i protestanti. Questa storia, con gli ultimi Borbone, è la vicenda di un regno indipendente e civile, che, pur tra mille insidie e tradimenti, prende il suo posto di lotta contro la sovversione generale e si schiera a difesa, soffocato però da un’Europa che ha smarrito, tra rivoluzioni e tirannidi, ogni regola di diritto delle genti.

     

    Anche col suo Stemma sulla bandiera trasmette un’idea di incontaminata dignità”.

     

    Questa è la bandiera che ci rappresenta e che viene sentita anche dai giovani come simbolo di fierezza e di volontà di riscossa.

     

    È di questi giorni la notizia che in un liceo di Torre del Greco, il linguistico “De Bottis”, gli studenti l’hanno affissa su una parete della loro scuola. Una delle promotrici dell’iniziativa, la sedicenne studentessa Laura Noviello, ha al riguardo affermato: «Lo stemma delle Due Sicilie rappresenta parte di noi e della nostra storia. Partire da questo simbolo, contro la damnatio memoriæ che ha cercato di tagliare le nostre radici e farci dimenticare la nostra storia significa prendere in mano le redini del nostro destino e dire basta a tutto questo. Un popolo che non conosce il proprio passato non ha futuro. Bisogna contestare ciò che scrivono i libri di storia affinché i ragazzi assumano la consapevolezza di cosa è successo, conoscano cosa ci è stato nascosto. Il cambiamento può avvenire solo quando c’è questa consapevolezza. Da molto mi chiedo perché l’Italia sia così divisa, perché non vi sia senso di appartenenza e le risposte riesco a darmele solo ora, avendo studiato libri “alternativi”».

     

    L’Alfiere fu la prima rivista a proporla in copertina, nel novembre 1969, e l’ha ancora una volta riproposta nell’ultimo numero.

     

    L’abbiamo poi vista sventolare sempre più spesso a Gaeta, a Civitella, a Messina, in ogni luogo della nostra memoria.

     

    Il 22 maggio 2010, a Scafati, con particolare emozione l’abbiamo vista salire sul pennone nel cortile della scuola intitolata – grazie a un uomo onesto, lungimirante e coraggioso, il preside Vincenzo Giannone – al grande re Ferdinando II di Borbone.

     

    Con gioia, in questi giorni l’abbiamo vista apparire, grande e maestosa, sullo sfondo dell’entusiasmante spettacolo teatrale tenuto al teatro Cilea di Napoli da Federico Salvatore, un artista figlio della Napoli più autentica, che rivendica, tra gli applausi incontenibili del pubblico, l’appartenenza a una grande tradizione e denuncia la sudditanza materiale e morale che si è voluto imporre a un nobile popolo.

     

    A queste manifestazioni di ritrovata coscienza comunitaria, di esplicito richiamo a un grande passato come esempio per costruire un grande futuro, fanno riscontro le miserie di una classe dirigente che da 153 anni fa di tutto per mortificare, deturpare e nascondere i segni della nostra grandezza. Basti pensare all’oscenità di quell’enorme e grottesco corno rosso piazzato proprio davanti alla facciata della Reggia di Caserta, di cui è stato annunciato lo spostamento chiesto a furor di popolo, offesa alla dignità di un popolo e squallida manifestazione di oscena frivolezza contrapposta alla bellezza e alla grandiosità di un’opera senza pari, che amplificò in tutto il mondo il prestigio di un grande Stato. La deformazione caricaturale della nostra identità è uno degli espedienti preferiti dalle classi dirigenti meridionali, degne eredi di quelle che si insediarono al seguito degli invasori piemontesi, che mai hanno ritenuto di dover stanziare un centesimo, ad esempio, per dare risalto alla stazione della prima ferrovia d’Italia, che in qualsiasi altro luogo sarebbe stata proposta all’attenzione del mondo e che qui è lasciata preda dell’incuria e delle erbacce. Un altro esempio lo si ritrova nell’assurda installazione collocata all’interno del Palazzo Reale di Napoli, oltretutto deprimente alludendo a cavalli immobilizzati e inghiottiti dal cemento, del tutto stridente con lo stile e il decoro del luogo.

     

    Ma questi sono la cultura e il gusto di chi governa Napoli, di chi ha distrutto la Villa Comunale (Villa Reale) e minato la Riviera di Chiaia, di chi propone di trasformare Largo di Palazzo (detta anche piazza del falso plebiscito) – ove i grandi re (tranne l’ultimo, il rozzo invasore che alza il braccio in un gesto sguaiato), se potessero, scenderebbero dal piedistallo per passare a fil di spada i devastatori di Napoli – in un bazar di ambulanti, squallido mercato sub-coloniale delle cianfrusaglie della globalizzazione.

     

    Anche per questo, si alzi sempre più spesso nei nostri cieli la bandiera di Maria Sofia, di Michelina di Cesare, di Matteo Negri; di Napoli, di Palermo, di Bari e di tutte le Due Sicilie; la gloriosa bandiera della nostra dignità.

     

    Più informazioni su

      Commenti

      Translate »