Positano. "Leoni al Sole", quegli anni raccontati da Raffaele La Capria

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Positano, Costiera amalfitana. “Leoni al Sole”, quegli anni raccontati da Raffaele La Capria. Raffaele La Capria ha vissuto da protagonista i fasti del cinema e della letteratura italiani degli anni ’60, sia in veste di sceneggiatore di film-chiave come «Le mani sulla città» (1963) dell’amico e coetaneo Francesco Rosi o di commedie modernissime come «Leoni al sole» di Vittorio Caprioli, sia come autore di un romanzo di enorme successo, probabilmente epocale, come «Ferito a morte» (1961), al quale s’ispirò proprio Caprioli per quel suo fortunato esordio alla regia, oggi riproposto nell’originario splendore grazie al restauro curato nel 2008 dal Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale. La versione restaurata di «Leoni al sole» viene presentata stasera a Positano (Marina Grande), nell’ambito della tradizionale rassegna estiva «Mare, sole e cultura», da due tra gli interpreti, Philippe Leroy e Franca Valeri, e dallo stesso La Capria, che ritorna con la mente a quei giorni del 1961 e al set allestito proprio a Positano. «Ho meravigliosi ricordi di puro divertimento, perché lavorare con Caprioli e la Valeri significava divertirsi. Anche sul set, passavamo il tempo a trovare battute e scoprire situazioni divertenti che poi, magari, confluivano nel film». «Leoni al sole» fu accolto come una risposta napoletana a «I vitelloni» di Fellini. «Ci sono molte differenze tra i due film. I nostri non erano vitelloni di provincia, ma spensierati viveur attivissimi durante le estati di località chic e sofisticate come Capri, Ischia, la stessa Positano, tutti posti nei quali si faceva davvero la bella vita e si lanciavano mode e tendenze. I nostri leoni erano ragazzi che imperversavano sulle spiagge alla moda degli anni ’60, diversi dai vitelloni” felliniani: avevano una loro filosofia di vita, che emerge bene dal film e che, in qualche modo, lo rende ancora attuale e pienamente godibile. “Leoni al sole” è un’ottima commedia e, come tale, riesce ad attraversare i decenni». Caprioli si ispirò a «Ferito a morte». «Il mio libro uscì nel 1961 e Vittorio se ne innamorò subito. Lo colpirono le atmosfere e furono proprio quelle a essere riprese nel film. “Ferito a morte”, infatti, non ha una vera e propria trama e, dunque, non si presta a trasposizioni letterali. Ma alcuni spunti, certe suggestioni e il contesto generale furono colti ottimamente». Che ricordo ha di Caprioli, probabilmente sottovalutato come regista cinematografico? «Il problema di Vittorio è stato soltanto uno: che quando ha iniziato a fare cinema come regista, cioè all’inizio degli anni ’60, intorno a lui c’erano i più grandi autori che la cinematografia italiana abbia mai conosciuto, da Rossellini a Visconti, da Fellini ad Antonioni, da Rosi a Germi, per citarne solo alcuni. Così, i suoi film all’epoca sembrarono opere minori. Poi, però, col tempo sono state pienamente rivalutate e hanno mostrato una personalità, un mondo espressivo, modalità di narrazione degne di un autore vero». A quella stagione d’oro del cinema italiano lei ha contribuito attivamente, come sceneggiatore. Che cosa è cambiato oggi, in Italia, rispetto alla scena di quel periodo? «Allora c’era un’onda creativa che durò almeno per un’altra decina d’anni, grazie a grandi autori, ma anche alla potenza delle storie che raccontavano: storie dalla forte valenza sociale, attente a ciò che accadeva nella società e alle trasformazioni in atto. All’epoca, poi, col cinema si combattevano anche battaglie di grande impegno, c’era una passione che forse oggi è un po’ sparita». C’è un regista italiano di oggi come Paolo Sorrentino, però, che da qualche anno ha in mente di fare un film da «Ferito a morte». «Ed è l’unico regista italiano che potrebbe firmare questa trasposizione. Ci siamo confrontati sul progetto, ma ogni volta che pensavamo a una possibile sceneggiatura ci scoraggiavamo, perché ci rendevamo conto di come il mio romanzo fosse difficilmente trasferibile in immagini, in quanto molto letterario, anche se così non sembra, con particolare stile e modo di raccontare: battute, frasi volutamente irrilevanti, dialoghi apparentemente sciocchi che messi in quel contesto danno come risultato un’interessante descrizione di una certa borghesia napoletana e dei suoi luoghi». Diego Del Pozzo  Il Mattino

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