MASSA LUBRENSE, ARAGOSTA FRA LE NUVOLE AI QUATTRO PASSI
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«Quattro passi» fra le nuvole: le nuvole di una purea che accompagna l’aragosta. Solo che la deliziosa nuvola è rosa, perché adesso la purea Tonino la fa (anche) con le fragole. Dove lui trovi il tempo per inventare nuove preparazioni (la realizzazione viene poi eseguita dal fido Liberato Urru, che io ho scherzosamente ribattezzato «Carcerato » Urru, visto che raramente esce dalle sempre più attrezzate cucine a vista) è un mistero, dal momento che il titolare è anche «cacciatore» di materie prime, trasbordatore di turisti dalla vicina Marina del Cantone al ristorante, e di solito alle quattro del mattino, da gran figlio di marinaio, presidia la banchina per accaparrarsi dalle migliori paranze il pesce prima ancora che arrivi al mercato. Non solo: nei momenti per così dire di riposo lo puoi vedere mentre spinge la carriola, sempre pronto ad aggiungere un dettaglio a quella già accogliente dimora per viaggiatori gourmet che è il suo locale. E adesso, non contento delle suites, della palestra con vetratata panoramica e della piscina, il Mellino sta attrezzando sulla sala-giardino vietrese una terrazza ad alto valore aggiunto, che nel frattempo già utilizza per rapidi stop golosi dei visitatori, ma che diventerà (presto, conoscendo il tipo) lo spazio privilegiato dei «Quattro passi» a Massalubrense, quattro passi da Sorrento e da Positano nella Penisola sorrentina di fronte Capri. A noi, però, va benissimo anche il tondo tavolo di sempre tra il verde, dove le pale dei ventilatori e gli spruzzi d’acqua vaporizzata evitano l’effetto serra, e dove stappiamo un Bruno Paillard 2005 per festeggiare il ritorno in squadra del consulente Arturo e l’arrivo di uno stuzzichino a base di semplici, squisiti gamberetti di Crapolla sale e pepe, da gustare ovviamente tutti interi. Pani di quattro tipologie differenti, più lingue di suocera (meno croccanti del solito) sono in mostra su un moderno portapane come fossero elementi di un’installazione d’arte, mentre l’olio di Tonino (alle olive ed erba cipollina) e il burro di Normandia si fronteggiano in un’esaltante disfida dei grassi. Le alici dorate e fritte sono l’equivalente campano della madeleine proustiana, e non c’è napoletano che non torni con emozione alla cucina della nonna; però il piatto successivo, crudo di scampi e gamberoni da provare con salse diverse (tra cui soia e agrumi) ci proietta già nella contemporaneità fusion, mentre il tonno appena scottato è di una morbidezza che inorgoglisce Mellino. Dopo il succitato Palinurus vulgaris rischio di perdere il conto dei piatti: ma il ricordo della seppia al vapore e della fragrante frittura di paranza (calamari e fragaglie) resta assai vivo, come quello dello Chablis Grand Regnard 2004 (per attraversare tutta l’offerta enologica della casa non bastano certo quattro passi) con cui affrontiamo i primi piatti: il raviolo allo yogurt con patate, cannellini e scampi, e il classico neranese di sirignanesca memoria, gli spaghetti con «gli zucchini» che qui diventano linguine e in cui la cucurbitacea (che, tagliata a dobloni, Pupetto pretendeva di friggere un terzo nell’olio, un terzo nel burro e un terzo nella sugna) viene condita con burro sempre normanno (Tonino è uomo di territorio, ma sul burro lo dovete lasciare stare) e servita con il suo fiore. E il tortello con cipolla e mele annurche ripieno di calamari pennini è un piatto non ancora in carta, ma per il quale il nostro tavolo decreta all’unanimità il superamento del test: gusti inediti, soddisfazioni che Mellino si può togliere con la clientela più coraggiosa, stando però attento a non deludere i mericani con panfilo che salgono fin qui per poi chiedere polpette e ragù). Servizio attento e cosmopolita (asiatici ma anche statunitensi fra i tavoli, del resto il figlio più grande di Tonino e Rosa tra poco vola a Washington, yes he can ), pepi a volontà e filetto di spigola in cartoccio, anzi in sacchetto di carta fata che, aprendosi, sprigiona gli aromi grati di una materia prima di assoluta freschezza: ortaggi di Vittoria Brancaccio, gran donna dell’olio (Le Tore). Set di sorbetti per ripulire il palato prima dell’ultimo sforzo: tra i dessert noto con gran soddisfazione il ritorno della piramide di cioccolata e basilico, faraonico piacere che per un periodo si era eclissato, enigma che sarebbe piaciuto a Roberto Giacobbo; ma mi stupisco anche al cospetto del cremoso al cioccolato, un dolce del catalano Oriol Balaguer arrivato in Costiera attraverso l’apostolato di Pasquale Marigliano, e su cui aggiungo un pizzico di sale per avvicinarlo alla perfezione. Un dolce così meriterebbe un Banyuls o un Pineau des Charentes (qui ci sono entrambi); ma infrango ogni regola di abbinamento di fronte a un calice di Château d’Yquem 2003, le muffe più nobili (e affascinanti) che vi capiterà mai di assaggiare. Il patron Mellino, coadiuvato dalla moglie Rita, è un vulcano di idee in perenne eruzione La cucina Purea di fragole o pasta «alla Nerano»: qui novità e tradizione sono due facce della stessa medaglia >