Il rinascimento vocale dell´Ensemble "Principe di San severino"

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Giovedì 21 maggio nella Chiesa dell’Addolorata alle ore 21,30, la formazione universitaria diretta da Antonello Mercurio, ospite del cartellone di Arti di Maggio

Padroni di casa protagonisti della sesta giornata della seconda edizione di Arti di maggio, una rassegna che si rivela quale incrocio sonoro di linguaggi espressivi, promossi dall’Associazione Seventh Degree, di Liberato Marzullo e Antonello Mercurio, fortemente voluta dagli assessori Vincenzo Maraio e Gaetano Arenare, ospite della kermesse Salerno Porte Aperte allestita dal Comune di Salerno.

Giovedì 21 maggio, alle ore 21,30, nella Chiesa dell’Addolorata, la ribalta sarà per intero dei 18 cantori dell’ Ensemble vocale dell’Università di Salerno “Principe San Severino”, diretto da Antonello Mercurio. Sotto le volte di una cattedrale risuonano i passi di un uomo. Un uomo contemporaneo attende al suo paziente riflettere allo studio della musica antica. La storia dell’umana cultura può trovare degno simbolo in questo echeggiare di passi, già quasi solenne, che rimbalza dai metalli dell’organo ai legni della cantoria, evocando secoli di musica. La musica antica va letta proprio così, come un legame assolutamente vitale tra ciò che di più antico si conosce e ciò che di più moderno si può creare in ambito musicale. Antonello Mercurio e il suo ensemble hanno scelto per il pubblico di Arti di Maggio un programma finemente comunicativo che principierà con due brani tratti dal Festino nella sera del giovedì grasso di Adriano Banchieri, la Capricciata a tre voci e il celeberrimo contrappunto bestiale alla mente, improvvisato da un cane, un gatto, un cucco e un chiù, ovvero un assiolo sulla base di un severo basso d’armonia, su di un testo in latino maccheronico che recita “non fidarti dei gobbi, né degli zoppi, se un guercio è buono, questa è una cosa da scrivere negli annali”. Due i brani di Giovanni Pierluigi da Palestrina, il kyrie dalla Missa brevis e Sicut Cervus. Le caratteristiche del maturo stile palestriniano sono la quasi immateriale morbidezza del contrappunto, la netta preferenza per le parti procedenti per gradi congiunti, il loro carattere essenzialmente melodico e la loro sovrana semplicità, tanto più evidente se si confronta con l’assai fiorita tendenza stilistica seguita da Palestrina stesso in gioventù e dai suoi predecessori in campo liturgico. Padrone assoluto di una tecnica perfettamente funzionale, usò tutte le risorse del contrappunto (quali canone e fuga) con consumata abilità e insieme, con naturalezza inclinando però negli ultimi anni alla libera imitazione melodica. Il congegno ritmico consiste essenzialmente nel rapporto di durata di una nota con l’altra (punto contro punto contrappunto) nel rapporto di equilibri di una frase contro l’altra, il che produce una tensione ritmica costantemente varia, contrazioni o allentamenti che corrispondono ad esigenze musicali o estetiche del momento. Tale delicata e armoniosa disposizione di accenti ritmici suscita un’impressione di ordine e di compostezza, un senso di riposo più che di movimento, e imprime al tessuto sonoro una levità che è il segno di una finezza unica nel suo tempo. “Già cantai allegramente” di Filippo Azzaiolo, dalla fresca inventiva, prima di passare al tatto rappresentato dalla composizione di Orlando di Lasso, uno dei grandi maestri della polifonia, vissuto a Napoli fra il 1549 e il ’52 con “Matona mia cara”; in cui un lanzichenecco ubriaco esprime, in un italiano deturpato (“Matona mia cara mi follere canzon”), il suo audace corteggiamento verso la donna amata. Si passerà, poi, all’Ave verum di Andrea Basevi, prima di ascoltare di Orazio Vecchi, “Con voce dai sospiri interrotta” caratterizzata da una scrittura trasparente, senza arditezze.  E siamo a “Le chant des oyseaux” di Clément Janequin,, in cui spicca la felice vena lirica, la spontanea adesione della musica al testo e la sciolta eleganza e varietà ritmica. Un balzo nella musica contemporanea con il lituano Vytautas Miskinis, del quale verrà eseguito “Diffusa est gratia”, prima di concludere con Adriano Willaert, e la sua canzon villesca forse più amata “Vecchie letrose”, in cui il magistero fiammingo risulta mitigato dalla cantabilità melodica e dalla chiarezza armonica del nostro meridione.

Olga Chieffi 

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