La nuova stagione lirica dedicata a Verdi e Mozart

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S’inizia con il ritorno di Don Giovanni, per poi ospitare ben due regie di Franco Zeffirelli per Rigoletto e Aida e a completare il cartellone Lucia di Lammermoor e Nabucco, con la regia di Gigi Proietti.  I preziosismi di Renato Bruson, Leo Nucci e Nino Machaidze,  sulle tavole del nostro massimo, mentre le repliche delle ultime tre opere passano da tre a cinque

Ieri mattina Daniel Oren, Antonio Marzullo e Rosalba Lo Iudice hanno illustrato, ospiti del Sindaco Vincenzo De Luca e della Dr.ssa Annamaria Barbato il nuovo e ogni anno sempre più prestigioso cartellone lirico-sinfonico del teatro Verdi. Apertura il 15 aprile con uno dei capolavori di Wolfgang Amadeus Mozart  il Don Giovanni, affidato al direttore di scuola francese Frédéric Chaslin, mentre per il ruolo del dissoluto è stato scelto l’eccelso baritono Markus Werba, per la regia di Hugo de Hana. Schiere di intellettuali si sono interessate al Don Giovanni di Mozart, non solo per la sublime qualità di quella musica, che pure Kierkegaard ritiene indispensabile per qualificare “il seduttore sensuale” ben più di quanto possa fare la prosa di Molière o di Byron; i “seduttori in prosa” , servendosi della parola, negano quell’ identità ideale di sensualità che conquista attraverso l’ incarnazione del desiderio stesso e, in quanto tale, non ha obblighi né estetici né etici. La seduzione per Don Giovanni è un processo immediato come solo la musica, tra le arti, può essere, per dirla con l’ossimoro del filosofo danese: “la musica è il medio dell’immediato”e ancora “il Don Giovanni non deve essere visto, ma ascoltato”.

Se lo scorso anno abbiamo applaudito il canto etereo di Amina, in bilico sul precipizio, risoltosi con il lieto fine, il 13 maggio farà la sua apparizione Lucia di Lammermoor, che, diretta da Daniel Oren, per la regia di Renzo Giacchieri, avanzerà con i suoi ben 154 anni, tanti per una fanciulla debole di nervi, dai lunghi capelli biondi, forse abbastanza incanutiti dallo stress di un uxoricidio. Il pianto della più alta creatura donizettiana ha qualcosa di così sconsolato, ingenuo e assurdo a un tempo, che anche lo spettatore di oggi sente di esserne quasi colpevole, e non trova parole per riscattarsi. Celebre ruolo per soprano d’agilità, o leggero o di coloratura, che avrà l’incantevole voce di Nino Machaidze, fornisce una lezione di virtuosismo acrobatico, ma non trascura la scansione del testo, la malinconia e l’insistente abbandono sugli accenti, che forniscono la biografia, i dati anagrafici di una vocalità altrimenti incorporea. Esaurita la prima parte della stagione, in autunno, il 23 settembre, ospiteremo un allestimento del Rigoletto che Franco Zeffirelli regalerà in esclusiva al nostro teatro, che ha acquistato le sceneinaugurando una ferace collaborazione con il teatro dell’opera di Washington, di Valencia e de La Fenice di Venezia, una regia che saluterà quale protagonista indiscusso la voce del più grande buffone gobbo di tutti i tempi, Renato Bruson, affiancato da Laura Claycomb, quale secondo tassello della trilogia popolare, iniziata con Traviata. Anno verdiano questo con altri due titoli per la chiusura della stagione, opere appartenenti al filone esotico del cigno di Busseto, Nabucco e Aida, entrambi diretti da Daniel Oren e con ben cinque repliche. Nabucco, in scena dall’8 al 19 dicembre, che vedrà la regia di Gigi Proietti e la voce di Leo Nucci, che farà coppia con la rivelazione Dimitra Theodossiu, la cui fortuna è strettamente legata al successo di una delle pagine più celebri, il coro “Va’ pensiero” che costituisce il fulcro ideale di un’opera che, se contempla naturalmente passioni individuali (l’amore tra Fenena e Ismaele, il conflitto tra Abigaille e Nabucco, l’amore paterno di Nabucco per Fenena), è fortemente connotata come dramma corale che si articola attraverso una serie di ampi pannelli. Con Aida, la cui prima è stata fissata per il 25 dicembre, che vedrà la promessa regia di Franco Zeffirelli, Busseto style, il quale ha voluto una fascinosa Venere nera per il ruolo della protagonista, Cristina Lewis, con cover Hui He, con la partecipazione di Carla Fracci quale coreografe delle danze e speriamo sacerdotessa in palcoscenico, Verdi dopo vari generi, giunge al paese delle fiabe. Un paese dalla luce nitida, concreta, nella quale, tuttavia, non sono improbabili i miraggi, una fiaba che spunta in un’epoca di realismo, una fiaba, perciò, incompleta, tragica, senza il necessario lieto fine, discesa dall’incantesimo dentro una vicenda umana. L’Egitto civile, progredito e leale, immobile roccia contro il tempo, nasconde in seno una meschina casta sacerdotale e la strana forse sterile principessa Amneris; l’Etiopia, arretrata e violenta ha prodotto, invece l’essere più puro e gentile della vicenda, Aida: tra i due popoli Verdi distribuisce in parti eguali la sua bella e fresca vena melodica, l’ultima del genere nella sua enorme carriera.

 

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