Rimedi antichi

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      Fino a qualche decennio fa, la medicina popolare era considerata una vera e propria “scienza dei poveri”. Quando i medici erano una rarità o venivano reputati dei “santoni”, e quando molti dei medicinali di cui noi oggi disponiamo non erano ancora stati brevettati, la gente cercava di districarsi come meglio poteva nel mondo della medicina, curando piccole e grandi malattie con rimedi rudimentali ma spesso efficaci. Le migliori terapie contro i malesseri le fornivano, innanzitutto, gli anziani, ma anche presunti maghi dotati, a loro dire, di poteri guaritori capaci di allontanare tutti i malanni della terra. Spesso ci si rivolgeva anche ai sacerdoti, ognuno dei quali era specializzato in qualcosa, chiedendo loro una benedizione che potesse debellare le affezioni.

     Gli antichi rimedi della medicina popolare erano tantissimi, alcuni efficaci, altri inutili e altri ancora addirittura nocivi per la salute. Ad essi, nell’era moderna, si sono sostituiti trattamenti e farmaci innovativi, tuttavia, qualcuno ancora se ne serve per curare i suoi mali e quelli degli altri. Vediamone alcuni.

     In passato, l’otite era curata versando nelle orecchie alcune gocce di latte materno. Il colostro di mucca serviva per medicare le scottature e si pensava che il lardo facilitasse la fuoriuscita di corpi estranei dalle ferite.

     Particolare dedizione il popolo la riservava ai trattamenti contro la malaria, morbo “misterioso” che si manifestava frequentemente ma del quale non si sapeva nulla. Per questa sua natura incomprensibile, la febbre malarica era curata facendo ricorso alle credenze popolari e alla medicina empirica. Era necessario trovare il “responsabile” di tale malanno e debellarlo. C’è chi dice di aver preso la malaria dopo aver mangiato delle more, chi dopo essere stato punto da un insetto, chi dopo essersi recato nei pressi di un laghetto di acqua stagnante e chi era convinto che fosse il frutto di un “malocchio” o dell’azione di spiriti malefici. In questi ultimi casi ci si rivolgeva ad una fattucchiera, la quale preparava vari intrugli o eseguiva qualche macabro rito che serviva ad allontanare la malattia. Altri metodi utilizzati a tal scopo erano presi in prestito da antichi riti terapeutici di carattere magico-religioso che agivano per suggestione. Tra questi basti ricordare l’usanza di bere il vino riscaldato, nella notte di San Lorenzo, sopra ai carboni ardenti, o di legare attorno all’ammalato lucertole, rospi e noci, o di mangiare teste di vipere fritte con l’assenzio.

    Non ci si schifava di niente, insomma, la cosa importante era ottenere la completa guarigione. Poco importava se bisognava sorseggiare infusi puzzolenti o lasciare che degli animalacci viscidi camminassero indisturbati sul proprio corpo.

     Decenni fa molto rilievo veniva dato alle piante e al loro potere curativo. Il bergamotto, la verbena e il lupino, ad esempio, servivano a lenire i sintomi della malaria, la scilla marittima e la parietaria curavano la cirrosi del fegato e l’idropisia. Alcune di queste soluzioni naturali vengono usate ancora oggi. Molti altri prodotti erboristici non avevano funzioni specifiche, non facevano né male né bene. Erano pressoché inutili.

     Per sanare ostruzioni ipertrofiche della milza era costumanza appendere un fico d’India sul soffitto nei pressi del caminetto e, secondo la dimensione che il frutto assumeva disseccandosi, così la milza del malato diminuiva.

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