Io faccio la mia parte.

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    Non è una notizia nuovissima, ma è una buona notizia da ricordare e su cui magari fare anche mente locale. Rinunciare a fettina o bistecca una volta alla settimana aiuta a combattere il surriscaldamento globale e serve  per salvare l’ambiente. Tale è l’appello lanciato alcuni mesi orsono dall’ONU per bocca di Rajendra Pachauri, economista indiano che lo scorso anno (2007) ha ricevuto insieme ad Al Gore il premio Nobel per la pace. L’impatto di  una davvero modesta rinuncia appare notevole, più di ciò che i non-addetti ai lavori possono pensare. L’allevamento di bestiame infatti è responsabile del 18% delle emissioni complessive di gas serra, molto più del settore trasporti cui è attribuito il 13%. E se per molte persone rinunciare alla macchina può essere assai problematico, scegliere insalata, frutta e verdura almeno una volta ogni sette giorni è decisamente meno gravoso. E anche più conveniente per l’ambiente. I numeri parlano chiaro: la produzione di un chilogrammo di carne causa emissioni equivalenti a 36,4 Kg di anidride carbonica. L’allevamento ed il trasporto di animali, richiede, per ogni kilo di carne, la stessa energia necessaria per mantenere accesa una lampadina da 100 watt per quasi tre settimane. Il bestiame inoltre è una fonte diretta di metano, 23 volte più dannoso dell’anidride carbonica, prodotto naturalmente dai processi digestivi degli animali da allevamento. Pachauri ha già chiesto al governo di Londra di impegnarsi per ridurre il consumo di carne del 60% entro il 2020. E se l’industria della carne si sente nel mirino, la causa promossa dall’ONU ha già testimonial famosi come sir Paul McCartney e Umberto Veronesi. E acquista una urgenza particolare alla luce delle stime della FAO: secondo l’agenzia ONU per il cibo e l’agricoltura, il consumo di carne e destinato a raddoppiare nel 2050. Meditate gente, meditate…

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