Diario di un secolo

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    Carlo racconta di sé, forse chissà, sapendo anche di raccontare a me di me stessa, in un gioco di specchi che si rivela nel tempo incrociando i nostri destini. Piace a lui, di narrare di un suo fratellino che morì presto e che lui pone nel presepe al posto del Bambin Gesù. E nel sogno del suo presepe, ricorda a me, il Natale della mia infanzia, quanto mio fratello, il più piccolo della famiglia, guidava, compunto e assorto la notte della vigilia, la processione dei grandi per porre il Bambin Gesù nella grotta. Quanta dolcezza…

    Allora trentenne, frequentavo la casa di Carlo L. Bragaglia ai Parioli e i più lo consideravano uno spreco di tempo che non produceva denaro. Si prefigurava, invece, la preziosa rivelazione di qualcosa di ben più profondo, di eventi tra loro connessi: il passato, il presente ed il futuro.

    Raccolsi allora il diario di un suo ricordo, immaginate dunque, il narrare di un ‘antico’ uomo ad una giovane donna. Siamo seduti, io nell’angolo del divano e lui, sprofondato nella sua poltrona. Luccica, in una campana di vetro, l’artistico e modernissimo presepe della sua casa romana.  

    Roma è tutta pervasa dall’atmosfera natalizia.

    Carlo stringe il mio polso, assorbendo energia e trasmettendomi esperienza e sapere…

     

     

    ‘Stanotte ho fatto un sogno. Cominciava con la lontana e flebile emissione di una voce. Una nenia struggente che viene dai monti, il suono inconfondibile delle cornamuse, l’arrivo, giù nella valle, degli zampognari. “Ma allora è Natale!” Mi sono detto, aprendo la finestra della mia camera da letto di Frosinone.

    Accanto a me c’è mio fratello Arturo, balzato dal letto a piedi scalzi. Fa freddo fuori, i vetri sono appannati e nella strada s’intravedono gli zampognari. La loro musica invade nostro cuore, consegnandolo alla suggestione del Natale.

    Ho sognato la mamma, entra e ci stringe a sé, promettendo di condurci in visita al presepe allestito nella Cattedrale di Santa Maria. Ancora non ne avevamo visto uno. Ho sognato gli addobbi, a cui mio padre teneva molto. Gli adulti che si adoperano per adornare le immagini sacre con nastri colorati, carta argentata e fiori di carta. Ho sognato di entrare con la mamma ed Arturo nella Cattedrale e guardare estasiati il presepe. Le lucerne ad olio, sistemate ad arte, creano giochi di luce appena colorati che danno al paesaggio il senso del movimento. Che meraviglia, gli umili pastori. Che curiosità per le pecorelle. C’è anche un laghetto artificiale e la Natività ci commuove, rendendoci silenziosi e assorti. Allora la mamma ci spiega che il presepe rappresenta il sacro vincolo familiare. Io e Arturo siamo estasiati e vogliamo costruirne uno anche noi. Ho sognato di tornare a casa e raccogliere con i miei fratelli, la corteccia d’albero per formare la grotta e le montagne. Ed il muschio verde e odoroso da deporre intorno e alla base del presepe. Arturo sfoggia le sue straordinarie doti di artigiano ed io invento e collaboro con lui. Ho sognato le statuine di gesso custodite da mia madre in un armadio e sistemate da noi intorno alla mangiatoia. Arturo che raccoglie e spacca alcuni gusci di noci e le riempie accuratamente di olio e vi immerge un piccolo stoppino. Collocati nel presepe serviranno a dargli luce. Vorremmo accenderli subito, ma la mamma suggerisce di aspettare la notte della vigilia quando il bambino Gesù nascerà. Ho sognato il sopraggiungere della sera; il presepe è pronto e noi ne siamo molto fieri. C’è tutto l’essenziale: la grotta con l’asino e il bue, San Giuseppe e Maria, qualche angioletto sorridente e adorante, i pastori, le pecore, un ruscelletto fatto con la carta argentata, i Magi inginocchiati con i doni. Io e Arturo consumiamo una frugale cena, mentre i nostri occhi si chiudono da soli. Ed ho sognato, strana illusione, l’intenso e profumatissimo aroma delle mele rosa, le stesse, guarda caso, che ritrovavamo nella calza, il giorno della Befana. E i dolci che ci regalava lo zio abate Monsignore Albino, fatti dalle monache del convento di Mondragone: i diavoletti di cioccolata ed il pangiallo. Nostro padre li conservava nell’armadio della grande sala da pranzo. Nella nostra camera, io e Arturo, prima che Morfeo ci stringa nel suo abbraccio, siamo soddisfati e felici del lavoro e, chiusi gli occhi, io fantastico ancora un po’ sull’indomani. Così:

    “Nella notte mi sognai

    un Presepe uguale a quello

    che avevo visto con mammà

    ma per me ancor più bello

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