Il popolo della tammorra

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    Il popolo della tammorra
    Alle radici delle espressioni rituali del popolo contadino




    All’interno di una società che vive, in gran parte, di turismo può accadere che si inneschi un meccanismo, più o meno consapevole, che tende ad inserire tutte le espressioni collettive tradizionali in una visione prettamente “turistica”, sacrificando spesso ai fini estetici-pittoreschi i veri contenuti delle stesse.
    Difficile immaginare come tradizionali manifestazioni inventate di sana pianta, in cui si richiama un labile collegamento con il passato attraverso l’uso di attrezzi o strumenti più o meno antichi: nelle parate non va cercata la tradizione quanto piuttosto, quando ben fatte, un richiamo storico.
    La parola tradizione, invece, deriva dal latino “consegnare” e va ad indicare proprio la consegna del sapere di una collettività da una generazione all’altra, con la consapevolezza che questo tramite si interromperà nel momento in cui le conoscenze trasmesse non saranno più essenziali alla vita della collettività stessa.
    Quindi la conservazione di una tradizione è legata al mantenimento di una struttura sociale simile (uguale non sarebbe possibile) a quella che l’ha creata e trasmessa, e all’interno della quale la tradizione mantiene un significato pratico.
    Non capita spesso che condizioni sociali si mantengano in parte immutate nel corso di lunghissimi periodi, il più delle volte questa staticità è propria di strati della popolazione legati ad una economia, come quella contadina, i cui ritmi cambiano in maniera più lenta di altre.
    L’esistenza a Maiori di una genuina manifestazione tradizionale, che è quella della tammurriata, legata al popolo “cafone”, contadino, indica che non è mai venuto meno il legame con l’antico tessuto popolare che l’ha generata.
    Le sette sorelle.
    Nella tradizione campana, l’esecuzione delle tammurriate si lega ai festeggiamenti dedicati alle sette più importanti Madonne della Campania, le cosiddette sette sorelle: Madonna di Montevergine (2 febbraio – Montevergine); Madonna dell’Arco (lunedì dopo Pasqua (in Albis) – S.Anastasia ); Madonna delle Galline (domenica dopo Pasqua – Pagani); Madonna di Castello (3 maggio – Somma Vesuviana); Madonna dei Bagni (domenica dell’Ascensione – Scafati); Madonna dell’Avvocata (lunedì dopo la Pentecoste – Maiori); Madonna di Mater domini (14 agosto – Nocera Superiore); (Madonna di Montevergine, 12 settembre).
    Il mondo agro-pastorale, i suoi ritmi, le sue credenze, costituiscono la matrice all’interno della quale si sviluppano queste particolari forme di culto: il ciclo di queste feste copre un arco temporale che ricalca i periodi di semina, crescita e mietitura del raccolto; molte di queste feste popolari sono mobili perché connesse al calendario lunare, infatti l’antica cultura contadina è lunare non solare; un’altra simbologia vede nelle sette sorelle, di cui sei bianche ed una nera (quella di Montevergine), rappresentati i mesi o le stagioni dell’anno: la sorella nera, che nasce come la più brutta per poi divenire la più bella, rappresenta l’inverno che sfuma nelle stagioni più propizie ed infatti la sua festa ricorre due volte quasi ad aprire e chiudere un ciclo che racchiude gli altri mesi dell’anno, rappresentati dalle sorelle bianche.
    In particolare le tradizioni legate al culto della Madonna dell’Avvocata, seppur derivate dagli strati popolari contadini, si arricchisce di elementi che richiamano il mare. Fattore inevitabile in una società in cui il mare, sia in campo economico (pescatori) che religioso (si ricordi S.Maria a Mare), copre un ruolo fondamentale: lo storico F. Cerasuoli riporta un dato probabilmente non reale ma significativo, infatti, per officiare il culto, all’antico quadro rappresentante la Madonna, venne sostituita una statua lignea in origine “destinata alla poppa di una galea”.
    La tammurriata
    Con “tammurriata” si intende, in senso generale, la musica ottenuta dal suono della tammorra (o tamburo a mano) e da altri strumenti secondari, che accompagna particolari tipi di canti e danze basati in parte su schemi fissi ed in parte sull’improvvisazione: musica, canto e danza che all’interno del rito nel quale si collocano vanno a svolgere una funzione comunicativa, diventano arte e linguaggio, in quanto capaci di realizzare il rapporto con il mondo divino.
    Relazione con il mondo divino non significa necessariamente con la sfera cristiana: infatti, anche se la religiosità cristiana è la condizione preliminare al gesto artistico in questione, questo non si esaurisce in essa facendo trasparire fortemente il legame con concezioni e riti pre-cristiani e con il mondo magico-rituale.
    La funzione principale di questi canti, che il popolo utilizza in particolari momenti collettivi, è, infatti, quella di esorcizzare, esponendoli in maniera libera, le angosce, le paure e le inibizioni che potevano opprimere il popolo contadino. Infatti appaiono ossessivamente ricorrenti alcuni temi: quello della madre, intesa come madre-terra, elemento legato alla fertilità e a fondamento della vita stessa; il sesso e la morte, richiamati sia in quanto tabù sociali da infrangere durante la festa religiosa, che come simboli del ciclo vegetale stagionale, sesso = nascita = primavera, morte = inverno ( a tal proposito ascoltate le parole del canto Funesta ca lucive e mmò nu’ lluce); non solo il canto ma la stessa danza è intrisa di elementi simbolici legati a momenti della vita pratica, dal corteggiamento al duello.
    La tammurriata maiorese, come detto, è solo uno dei momenti connessi alla festa dedicata alla Madonna Avvocata, ma è quello che meglio esprime l’arcaicità e la complessità dell’intero rito: caratterizzata dall’alto numero di tammorre utilizzate, si svolge sia nei pressi del santuario, sul monte, sia, alla fine del pellegrinaggio, nel paese, dal punto dove è partito il pellegrinaggio.
    Si è conservata nel corso degli anni senza connotarsi come espressione di bieco folklore, senza allontanarsi dalla tradizione per diventare spettacolo (e speriamo che non lo diventi mai), forse perché esiste ancora un parte della società profondamente legata alla montagna, al sistema contadino, e che riesce proprio in virtù di questo a rinnovare, caricandole di nuovi significati, vecchie tradizioni, che risultano vive perché ancora fondamentali per la vita della comunità.

    Luca Di Bianco

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