Quando si rimane orfani rimpiangiamo i momenti trascorsi.
Ogni momento condiviso è sempre poco. Mi torna in mente quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto. Il tempo sprecato e non dedicato. Chi mi ha dato la vita non c’è più e adesso vorrei poter dare la vita per riaverlo ancora accanto. Per stare anche solo cinque minuti insieme al mio papà. Abbracciarlo ancora. Tu unico e solo: papà.
La vita continua e con l’avanzare degli anni sento sempre più la sua mancanza-presenza. Mio padre che tornava dal lavoro con la sua 850 color verde. Attendevo il suono del clacson per corrergli incontro e abbracciarlo. Lui sempre elegante e austero con il suo immancabile cappello nero in testa… Mia mamma dietro la finestra ad aspettare.
Mio padre è morto. E un velo di tristezza è calato nel cuore, ma ancora era troppo presto per capire. Lì tutto è cambiato. Sono orfana in un mondo e in una terra dove niente è più come prima e mai più lo sarà. Spesso mi viene in mente lui, il mio papà, sedut a tavola accanto a me. A volte ci parlo anche. Lui che mi prepara le bruschette, mi imbocca, mi vizia, mi sorride e mi tiene nelle sue ginocchia. Lui che mi stringe forte tra le sue braccia. Mi bacia sulla fronte e mi accarezza. Con lui se ne sono andati tutti i momenti più belli, la gioia, la luce, la via, …
“Dio quanto somigli a tuo padre.” “Sei uguale a tuo padre.” E allora ti senti viva. Lui è in te e niente e nessuno potrà mai portartelo via. È la tua forza. La tua sicurezza. Il mio faro. E lì diventi invincibile e niente ti può fermare.
Rivedo mio padre, la sua camminata, simile alla sua anche la mia. Quel suo incedere elegante e imperioso. Quel suo sguardo fiero. Quel suo guardarmi con orgoglio. Il suo cappello inseparabile. Quel suo dire sempre sicuro e deciso. Mai inopportuno.
Il mio papà un uomo d’altri tempi. La giornata per lui iniziava prestissimo e finiva con l’ultima chiamata a volte anche nel cuore della notte.
Lui che per i figli aveva pensato anche al futuro. Lui che mai si è negato. Lui che mi porto nel cuore e nell’anima.
Lui … solo lui … semplicemente il mio papà. Sai papà piango anche adesso, il dolore è di quelli che ti stravolgono la mente e il cuore. Insopportabile. Eppure tu sei qui davanti a me. Io seduta sui gradini di marmo ad aspettarti come sempre. A sorriderti. A osservarti. Ad aspettarti.
La tua vita è tutta lì. La tua giovinezza, le tue passioni, i tuoi sacrifici, il tuo amore. Per te papà la vita non è stata generosa. Hai raccolto niente rispetto a quanto hai seminato.
Eppure mai scorderò i tuoi occhi, il tuo sguardo. Profondo e penetrante. Dolce e fiero.
Mi fanno tenerezza ogni gesto mai colto prima e adesso così chiari.
Il tuo non esserci più ha portato via tantissime altre persone.
È morto l’eroe a cui è stata conferita la medaglia d’oro al valor civile.
È morto l’uomo che è andato in guerra per la Patria.
È morto l’uomo che si è sempre donato interamente ai propri figli.
È morto l’uomo che al lavoro era intransigente con se stesso e mai con gli altri.
È morto l’uomo che mi ha dato l’orgoglio di portare il suo cognome.
Papà con te se ne sono andate le persone che a tutto hanno rinunciato, bruciando gli anni più belli pur di dare un futuro alla propria famiglia, ai propri figli.
A te che mi hai donato il primo sorriso e l’ultimo pianto … tutto è dedicato.
È stato bello vederti sorridere.
Oggi che sono orfana quello che mi rimane di te papà è solo la tua luce dentro il buio profondo della mia vita.
È il 25 febbraio del 1969, ho dieci anni e mezzo. Sono a scuola quando mia zia mi viene a prendere prima della fine delle lezioni per darmi la brutta notizia: la morte del mio nonno. Da tempo era molto malato, soffriva gravemente di diabete: papà doveva andare a visitarlo proprio quella mattina, raggiungendo mia madre che già era là, nella casa dei suoceri.
Ma quello che era successo realmente non è come l‟ha detto zia. Il suo è stato un pretesto per portarmi a casa con urgenza, non sentendosela di dirmi brutalmente la verità; ha preferito ripiegare su una notizia che in fondo era prevedibile e attesa, che non poteva sconvolgermi troppo. Di fatto è successo tutt‟altro. È così che il mio mondo è crollato e niente sarebbe più stato come prima.
Un ictus ha colpito mio padre uccidendolo istantaneamente, là a casa di mio nonno. Quando arrivo anch‟io in quella casa sono passate appena un paio d‟ore: il corpo di mio padre è già stato composto, nel letto, nella stanza drappeggiata a tende rosse e nere, dalla migliore impresa funebre rapidamente intervenuta, e mia madre si sta occupando della salma mentre io arrivo con la zia. Sono completamente frastornata, triste, sconcertata. Intorno a me una febbrile confusione. Rimango sulla soglia, come se tutto mi riguardasse solo marginalmente. C‟è un corpo disteso sul letto, attorno al quale tutti si danno da fare. Ma che strano, in quella salma nemmeno riconosco il nonno; attorno a lui molte persone e mia madre che intravedo soltanto. Sono immobile, in piedi sulla soglia della stanza, smarrita e confusa. Mi avvicino a mamma e le chiedo:
– Dov’è il mio papà?
Cerco subito di lui, perché, entrando, ho visto la sua auto nel cortile; quindi papà c‟è… ma dov‟è?
Avvicinandomi a mamma disperata, piangendo, urla:
– questo è papà tuo, papà tuo è morto. Non lo vedi è lì!!
2. A me sembra tutto irreale, incomprensibile: guardo quel corpo morto ma non è il mio papà, non lo riconosco, non gli somiglia, e non m‟importa molto sapere di chi è. Sono separata da quel corpo da una sorta di muraglia umana, tutta questa gente che piange. Mia madre insiste:
– Non vieni a vedere a papà?
– Papà? Papà quello? Non è quello….
Non può essere lui, la mia mente rifiuta di pensare a mio padre morto e che mi permetta di riconoscerlo così, in quel modo. Quel corpo non ha nulla di lui: non ha i suoi gesti, il suo sorriso, il suo abbraccio ad accogliere la sua bambina, nulla di quello!
Attorno pianti e caos, uno scenario che mi stordisce, i suoni rimbombano nella mia testa, le mie orecchie ronzano. Mi avvicino, per accontentare mia madre che mi indica il corpo: è perfettamente vestito, composto, l‟espressione serena. Sento angoscia, papà mi manca, dov‟è? Ho desiderio della sua presenza, cerco lui in mezzo alla folla e all’agitazione collettiva mentre nel mio animo sale un tam-tam angosciante che corrisponde alle pulsazioni del mio cuore impazzito. Chiedo nuovamente a mia madre “Dov’è il mio papà che non lo vedo?”
La mia inopportuna persistenza già risulta irritante: mia madre insiste sul fatto che devo guardare la salma; solo allora mi sfiora il dubbio, poi mi piomba addosso l‟angoscia di quella metamorfosi.
La mia reazione è prima d‟incredulità, poi, quando in qualche modo mi convincono, mentre sto già ansimando senza respiro, monta dentro di me un senso di ribellione: voglio proteggerlo da tutta quella gente, difenderlo… Lo stringo, lo scuoto. Gli urlo: papà andiamo via! Apri gli occhi! Svegliati. Andiamo via! Ti prego papà! Lo stringo, lo scuoto. Gli urlo: papà andiamo via! Svegliati! Apri gli occhi. Svegliati. Andiamo via! Lo voglio ancora per me, non permetto a nessuno di toccarlo, mi dispero, mi infurio, cerco di impedire a chiunque di avvicinarlo, fino a una vera e propria lotta con i becchini che vogliono prenderlo per deporlo nella bara. Devono immobilizzarmi per procedere alle operazioni necessarie, irrevocabili.
Mio fratello arriva in tempo per il funerale, ma anche lui è frastornato e angosciato. Sta facendo il servizio militare quando riceve un telegramma inquietante: “Papà gravemente ammalato, vieni” e al suo arrivo in paese lungo la stradina che porta a casa legge i manifesti funebri: così apprende la notizia. Vinto dal dolore sviene. Il suo sostegno viene a mancare.
La solennità del funerale colpisce la mia immaginazione, tanto che ricordo vividamente le scene ancora adesso: esequie imponenti, nella migliore tradizione partenopea, ricche, con il carro funebre trainato da sei pariglie di alti cavalli neri e tante corone di fiori, tanta gente proveniente da più di una provincia, vengono contate oltre 200 auto al seguito, in corteo.
Ho così la misura della stima e rispetto che circondava mio padre, dall‟imponenza di quel funerale. L‟ictus che l‟ha colpito è certamente da mettere in relazione con la sua generosità nell‟accorrere a tutti i problemi dei suoi pazienti, trascurando se stesso e abusando delle sue forze. Mio padre si è completamente dedicato alla sua missione, più che una professione- la sua era una vera e propria vocazione e, i suoi pazienti ne sono coscienti! Una folla è lì, muta e rispettosa, per rendere l’ultimo omaggio alla dedizione e generosità del dottor Giuseppe Terracciano; a quell‟impegno personale che metteva prima di sé, della sua salute e del suo riposo, quello che probabilmente l‟ha ucciso.
3. I sassi di Matera. Sono in un mare di lacrime e desolazione, mi sento alla deriva in un oceano di dolore, ma sono incredula e come in trance: mi sforzo di pensare ma tutto mi è incomprensibile. Non può essere che mio papà, mio papà tornerà ancora da me…non può essere diversamente, mi manca tanto e lui torna sempre. Non cesso di attenderlo i giorni seguenti sui gradini della scala, sono gli istanti dedicati a me e ai miei compiti. Non posso credere di avere perduto il mio universo, quel mondo che comprende solo me e il mio papà. Per favorire l‟accettazione del cambiamento e la rassegnazione, mia madre decide di mandarmi a Matera, dalla zia Maria, sorella di mio padre. Due mesi di cui non ricordo assolutamente nulla, neanche un minimo dettaglio mi ha impressionato. Al mio ritorno, i gradini di granito, freddi, di un freddo che prima percepivo come elettrizzante e piacevole, che aumentava il mio senso di attesa, adesso sono di un freddo mortale. La porta dell‟appartamento non si riapre, i rumori non annunciano più il ritorno di mio padre alla solita ora, il mondo ha una specie di frattura, di ferita, di voragine oscura. Mi siedo ancora sulla scala, è stata per tanto tempo il mio angolo di attesa e di gioia. Sento il dolore dei luoghi svuotati della loro anima; sento che nulla è più come prima…. e cosa sarà adesso, non sono in grado di immaginarlo.