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DICIAMO BASTA ALLA VIOLENZA

22/11/19

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ILDE TERRACCIANO SPOSA BAMBINA. VENERDI 22 NOV 2019 ORE 17.30 SALA CONSILIARE COMUNE DI PIANO.

Sisa Iaccarino e Ambrogio Coppola, del laboratorio teatrale, leggeranno brani dal libro SCAPPA A PIEDI NUDI, dialogheranno con l’autrice Luisa Bevilacqua e Marialuisa Menna .

Ilde è una sposa-madre-bambina-napoletana di tredici anni alla quale è stato strappato tutto (a partire dal suo vestitino verde), venduta dalla madre, violentata, torturata; le è stata sottratta la fanciullezza, la gioia, la spensieratezza. La vita di Ilde non è mai stata banale. Ad ogni caduta una rinascita. Ma quanto dolore. Eppure tutto oggi è più chiaro, più definito. La cornice e il quadro sono ben distinti. Il tema della violenza tra le mura domestiche è stata la colonna sonora, il suo amore per la vita e i figli la trama del film. La vita scorre, tutto accade a volte sembra implacabile. Ti travolge, ti sconvolge, ti forgia. Le frustate in faccia ti scuotono, ti fanno male, ma ti danno la scarica di adrenalina giusta per farti reagire. La forza interiore si apre e ti dà la visione di quello che è davvero la vita nella sua pienezza. La donna Vera, Unica ed Irripetibile si fa largo in una società sempre più alla deriva. Il suo vissuto è un monito per coloro i quali vivono per “uccidere” le donne. Il suo presente è l’esempio di come si possa uscire. Uscire da vincenti. Vivere da donna, moglie, mamma, amica, compagna. Il libro non è una mera raccolta di ricordi più o meno assemblati. E’ sangue che scorre nelle vene, nelle sue ed in quelle di chi lo legge. Sangue del tipo zero universale, da donare a tutti.

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Ilde Terracciano

Scappa a piedi nudi

Indice

Introduzione 

1. Pietre Preziose 

2. Il mio faro non c’è più. Sono orfana. 

3. The other side of the moon 

4. Sverginata 

5. Il matrimonio “sa da fare” 

6. In manicomio 

7. La pistola scarica 

8. Carcere 

9. Arancini siciliani 

10. Le ferite dell‟indifferenza 

11. Ipocrisia amorosa 

12. Truffata e condannata 

13. Fabio Dean 

14. L‟alchimista 

15. La salute 

16. 1999, Doctor Jekyll e Mister Hide 

17. Il perdono 

18. Voce di chi grida nel deserto 

19. A te 

20. Ad ogni battito di cuore un battito di vita 

Documenti e allegati

                                                                                                                                                                                                     Introduzione

La Chiesa mi ha tolto Dio mi ha donato. La vita mi ha segnato ma mi ha anche insegnato.

Un giorno partì. Nessuno sa dove sia andata. La via della virtù e il significato della vita è la scia che si lascia dietro. 
Capire come si possa cambiare nella vita è come comprendere il senso dell’universo. Quando tutto sembra perduto, senza via d’uscita qualcosa di meraviglioso accade. E niente è più come prima. Ed è così ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo, ogni istante dalla notte dei tempi.
Oggi mi accingo a raccontarmi. Non è facile… Il tempo non ha ancora rimarginato tutte le ferite aperte. Le cicatrici che segnano il mio corpo e la mia anima fanno male. Testimoniano il mio dolore, la mia rabbia, il mio orgoglio, la mia dignità. Oltre il male.
Raccontarsi serve solo a ricucire quel vestitino verde prematuramente e violentemente strappato dall’egoismo di un uomo e dalla vanità di una madre cattiva.
Tutti scrivono e nessuno legge. Tutti informano e nessuno si informa e/o verifica. Fotografiamo, facciamo video e neanche li guardiamo. Ci emozioniamo per il canto di un merlo e ignoriamo un cadavere steso accanto a noi sulla spiaggia. Tutto accade e niente si vive.
La bambina dal vestitino verde ama la vita, adora sua padre. Da grande vuole essere come lui. Un medico. Aiutare gli altri la sua missione. Dare per non avere. La sua filosofia di vita.
Come Ulisse ostacolato nel suo rientro in patria, alla sua Itaca, Ilde percorre la sua strada, il suo viaggio tra mille insidie, trappole…
Oggi dopo un vissuto intenso e a volte tragico tutto sembra più chiaro. Ma quanto dolore dietro le spalle. Quanti sacrifici. Quanta ingiustizia.
La nebbia si dissipa davanti agli occhi di Ilde. Il viaggio è stato faticoso. Quanti i sogni spezzati e spazzati via. Troppi incubi e orrori. Tanto buio e poca luce.
La sua è una ricerca continua e irrefrenabile dell’amore, della vita. La vita. Quella vera. Dolce, serena, tranquilla. Felice. C’è chi ha cercato di piegarla utilizzando la violenza fisica, quella psicologica per metterla in ginocchio per farla ritornare sui suoi passi. Ilde è la madre più giovane d’Europa con i suoi dodici anni e otto mesi.
L’invidia, la violenza del maschio e il senso di vendetta che cresce quando si perde il potere, la risorsa e la donna fa crescere la forza interiore di Ilde.
La macchina giudiziaria ha tentato di stritolarla. La condanna è solo una conseguenza del non smentire le accuse.
I parenti, le persone più care, sangue dello stesso sangue si sono allontanati per poi tornare sui loro passi. Lasciata sola ha lottato. Li ha riportati a sè umiliati.
La sua originalità spinge le persone a essere generose con lei e con gli altri. In molti hanno tentato di copiarla, di imitarla ma inutilmente.
Ilde guarda dentro le finestre per cogliere e vivere l’affetto e il calore della famiglia. Per strada la solitudine ha accompagnato i suoi passi. Lungo il suo “passeggiare” tanti gli incontri sbagliati. Ilde voleva e vuole solo l’affetto, l’amore quello vero.
La Fede le ha dato forza. In chiesa Ilde ci va da sola a parlare con Dio

Pietre Preziose

Pietre Preziose. Le parole sono pietre. Pietre che ti colpiscono in piena faccia. Ti lasciano il segno. Il dolore è insopportabile, solo il pianto sembra attenuarlo. Pietre che non luccicano più lungo il sentiero che porta alla felicità. Pietre che mi riempivano le tasche, la mente, il cuore. Pietre che animavano i sogni di una bambina dagli occhi tristi. Pietre preziose che oggi cerco con l’ansia di chi non è più sicuro di trovarle. Poi corro, il fiatone, la vista offuscata. Un luccichio, sono loro, sono ancora lì, le pietre dei miei sogni da bambina, mi aspettano, come sempre. Ed io “grande” le raccolgo con la certezza di tornare bambina. Una bambina napoletana, che aspetta il suo papà, piangendo e con il cuore gonfio di tristezza. Niente è più come prima, solo i sogni non sono cambiati.

Ti accorgi che la vita si accorcia ogni giorno di più e quello che è il tuo passato vale sempre meno. Ami il presente e pensi a un futuro sereno.
Non c’è spazio per i perditempo. Mai più violenza, cattiveria. Solo, bene, amore, tranquillità. La strada ancora una volta è tutta in salita. Niente è scontato (come sempre).

Il vestitino verde strappato con violenza urla il suo dolore dentro e fuori di Ilde.

Raccontarsi è un po’ come ricucirlo. Ricucire una vita che le ha tolto molto e molto le ha dato. Oggi Ilde continua la sua corsa con il vento alle spalle. I suoi piedi nudi quasi non toccano terra. La sua è una corsa verso la gioia, verso l’amore.

Scappa a piedi nudi… senti dentro di te l’entusiasmo. La paura e l’ansia sono solo un racconto, un racconto di vita da non rivivere più. Mai più.

Le persone che le hanno fatto del male sono svanite, si sono dissolte nel nulla. Lei, Ilde, ha ancora sangue caldo nelle vene, la scugnizza napoletana è viva.

Ilde è una sposa-madre-bambina-napoletana di 11 anni alla quale è stato strappato tutto (a partire dal suo vestitino verde), venduta dalla madre, violentata, torturata; le è stata sottratta la fanciullezza, la gioia, la spensieratezza.
La vita di Ilde non è mai stata banale. A ogni caduta una rinascita. Ma quanto dolore. Eppure tutto oggi è più chiaro, più definito. La cornice e il quadro sono ben distinti.
Il tema della violenza tra le mura domestiche è stata la colonna sonora, il suo amore per la vita e i figli la trama del film.
La vita scorre, tutto accade e a volte sembra implacabile. Ti travolge, ti sconvolge, ti forgia. Le frustate in faccia ti scuotono, ti fanno male, ma ti danno la scarica di adrenalina giusta per farti reagire. La forza interiore si apre e ti dà la visione di quello che è davvero la vita nella sua pienezza.
La donna VERA, UNICA e IRRIPETIBILE si fa largo in una società sempre più alla deriva. Il suo vissuto è un monito per coloro i quali vivono per “uccidere” le donne. Il suo presente è l’esempio di come si possa uscire. Uscire da vincenti. Vivere da donna, moglie, mamma, amica, compagna.
Il libro non è una mera raccolta di ricordi più o meno assemblati. È sangue che scorre nelle vene, nelle sue e in quelle di chi lo legge. Sangue del tipo zero universale, da donare a tutti. Ti scuote. Ti turba. Ti fa riflettere sul significato stesso della nostra esistenza.

È ossigeno per coloro i quali sentono che la vita non ha più significato, è lezione di vita per chi crede già di averlo trovato, il significato.

Il tocco della sua esistenza terrena non è mai passato indifferente. Ha segnato la vita di tutti coloro che le si sono avvicinati. Ha dato speranza, Amore. Ha lasciato nella disperazione chi ha solo anche tentato di farle del male. Un monito per chi crede di farla franca sempre e comunque.
Ilde Terracciano

Nasco in una famiglia borghese, distinta e rispettabile. Sono la più piccola di tre figli, mio padre è la colonna portante della nostra famiglia. Ha vissuto una vita straordinaria, ogni suo aneddoto è una storia da ascoltare e assaporare, come quella volta che partì per la Campagna di Russia, vicenda che lo vide premiato con la medaglia d‟oro e il cavalierato.
Eccolo il mio papà, un uomo di scienza, di rigore morale, amante della cultura e dell‟arte.
Mi sembra di vederlo, nel suo studio, mentre legge e ascolta musica classica.
Quello studio che è anche biblioteca, con libri e dischi in vinile di Donizetti, Puccini, Mozart, Bach… E poi i libri di medicina, insieme a tanti altri…
Poco oltre, verso la cornice a cassonetto della finestra sono affastellati i tomi di medicina dove amo sfogliare i volumi di Anatomia Umana solo per osservare i complicati disegni a china che contiene. Nei ripiani a vetri alle spalle della scrivania, sono raccolti libri di storia, di saggistica, di poesia. Un separé di seta con dipinti cinesi lascia intravedere il lettino d‟ambulatorio medico con lo stetoscopio appeso, due sedie Luigi Filippo e il tavolino con l‟immancabile valigino compresso, di cuoio, per le visite a domicilio, contenente ogni strumento medicale riposto con cura. C‟è la scatola di acciaio scintillante per bollire e sterilizzare bisturi e siringhe di vetro. Papà è molto conosciuto sia per la vasta necessità della sua professione e sia per la generosa sollecitudine nel rispondere a chiunque abbia bisogno. Alle volte si alza a qualsiasi ora della notte quando suona il campanello di casa, e ricordo visite di persone che portano polli, uova, caciocavalli, frutta, non potendo pagare la parcella. Non si sottrae mai di fronte alla necessità e si premura di curare tutti, indistintamente. Mio padre è un uomo di valore, severo, che tiene molto al decoro e alla rispettabilità; lui per primo è sempre ben vestito, distinto e composto; non ho memoria di averlo mai visto disordinato, sciatto, svestito. È un uomo all‟antica: interviene sull‟abbigliamento di mia sorella adolescente, sul comportamento di tutta la famiglia in società; e noi accettiamo la sua autorità, che sentiamo essere naturale autorevolezza. Mia madre si comporta da moglie borghese, obbediente, brava in tante faccende: la vedo ricamare, cucinare, occuparsi di una bella casa. Elegante e sempre ineccepibile nel suo aspetto pubblico. La nostra casa si apre spesso e si riempie durante i ricevimenti, nelle feste comandate e tradizionali, oppure nelle feste mascherate, per divertirsi. Diventa un punto di ritrovo per partire insieme verso il mare. Per godere dell‟estate ci si riunisce lungo le giornate festive con amici e con la nostra vasta parentela, famiglie legate a doppio filo perché mio padre e mia madre, prima che sposi, sono cugini.
Frequento le scuole elementari presso un istituto privato di suore, in collegio ma in regime di convitto, tornando a casa la sera, spesso dopo cena. La mia vita è serena, e sono trattata con affetto dalle suorine. Arrivata a casa attendo il rientro dal lavoro di mio padre, seduta sulla scala dai gradini di granito, perché si occupa molto di me, con attenzione e amore esclusivi. Lo sento arrivare, conosco bene il rombo della sua moto Guzzi rossa con le cromature luccicanti, e riconosco anche il rumore della sua Fiat 850 verde scuro. Gli siedo sulle ginocchia, è affettuoso, lui è tutto per me in quelle serate, e il nostro rapporto mi riempie di sicurezza, calore e gioia. Gli sottopongo i compiti, lui mi aiuta a farli, tanto che a scuola mi chiedono “Ma è farina del tuo sacco?” Per me lui è un faro, la luce che mi indica il cammino, è il mio modello, tanto che penso che da grande farò il medico come lui; voglio essere come lui in tutto. Ricordo la serenità di questi momenti meravigliosi, di cui il più importante della giornata è quell‟ora con mio padre.
3. Il rapporto con mia madre è completamente diverso; non è il momento di vivere questo come allarme, sono ancora una bambina; eppure oggi, ripensando quegli anni, vi ritrovo le radici e le avvisaglie di futuri comportamenti, tanto che è stata mia sorella maggiore a occuparsi di me fin da quando sono nata. Qualcosa nel rapporto con mia madre evidentemente non ha funzionato da subito, ho rifiutato il suo latte, e il mio papà ha dovuto prendere una balia, una signora francese; e mia madre fin da quel momento si è disinteressata di me: come se fosse avvenuto un rifiuto reciproco, un non-amore a prima vista, o come se io da neonata avessi compreso che lei mi rifiutava. Non è affettuosa con me, Ma non lo è nemmeno con i miei fratelli; anzi, tutti e tre conosciamo bene le sue frequenti reazioni rabbiose, gli schiaffi, gli improvvisi colpi in testa con quello che le capita di avere tra le mani, per motivi futili, stoppando normali comportamenti nella vivacità dei bambini. A me ordina di fare pulizie, bucati, cose che una bambina non sa fare, e poi mi colpisce forte perché scontenta dei risultati. Mi urla spesso delle frasi che allora non comprendo:
 “Al primo bastardo che passa, vedrai quanto ci metto a liberarmi di te”.

Il mio faro non c’è più. Sono orfana.

Quello che mi rimane è solo una luce dentro un buio profondo.

Quando si rimane orfani rimpiangiamo i momenti trascorsi.
Ogni momento condiviso è sempre poco. Mi torna in mente quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto. Il tempo sprecato e non dedicato. Chi mi ha dato la vita non c’è più e adesso vorrei poter dare la vita per riaverlo ancora accanto. Per stare anche solo cinque minuti insieme al mio papà. Abbracciarlo ancora. Tu unico e solo: papà.
La vita continua e con l’avanzare degli anni sento sempre più la sua mancanza-presenza. Mio padre che tornava dal lavoro con la sua 850 color verde. Attendevo il suono del clacson per corrergli incontro e abbracciarlo. Lui sempre elegante e austero con il suo immancabile cappello nero in testa… Mia mamma dietro la finestra ad aspettare.
Mio padre è morto. E un velo di tristezza è calato nel cuore, ma ancora era troppo presto per capire. Lì tutto è cambiato. Sono orfana in un mondo e in una terra dove niente è più come prima e mai più lo sarà. Spesso mi viene in mente lui, il mio papà, sedut a tavola accanto a me. A volte ci parlo anche. Lui che mi prepara le bruschette, mi imbocca, mi vizia, mi sorride e mi tiene nelle sue ginocchia. Lui che mi stringe forte tra le sue braccia. Mi bacia sulla fronte e mi accarezza. Con lui se ne sono andati tutti i momenti più belli, la gioia, la luce, la via, …
“Dio quanto somigli a tuo padre.” “Sei uguale a tuo padre.” E allora ti senti viva. Lui è in te e niente e nessuno potrà mai portartelo via. È la tua forza. La tua sicurezza. Il mio faro. E lì diventi invincibile e niente ti può fermare.
Rivedo mio padre, la sua camminata, simile alla sua anche la mia. Quel suo incedere elegante e imperioso. Quel suo sguardo fiero. Quel suo guardarmi con orgoglio. Il suo cappello inseparabile. Quel suo dire sempre sicuro e deciso. Mai inopportuno.
Il mio papà un uomo d’altri tempi. La giornata per lui iniziava prestissimo e finiva con l’ultima chiamata a volte anche nel cuore della notte.
Lui che per i figli aveva pensato anche al futuro. Lui che mai si è negato. Lui che mi porto nel cuore e nell’anima.
Lui … solo lui … semplicemente il mio papà. Sai papà piango anche adesso, il dolore è di quelli che ti stravolgono la mente e il cuore. Insopportabile. Eppure tu sei qui davanti a me. Io seduta sui gradini di marmo ad aspettarti come sempre. A sorriderti. A osservarti. Ad aspettarti.
La tua vita è tutta lì. La tua giovinezza, le tue passioni, i tuoi sacrifici, il tuo amore. Per te papà la vita non è stata generosa. Hai raccolto niente rispetto a quanto hai seminato.
Eppure mai scorderò i tuoi occhi, il tuo sguardo. Profondo e penetrante. Dolce e fiero.
Mi fanno tenerezza ogni gesto mai colto prima e adesso così chiari.
Il tuo non esserci più ha portato via tantissime altre persone.
È morto l’eroe a cui è stata conferita la medaglia d’oro al valor civile.
È morto l’uomo che è andato in guerra per la Patria.
È morto l’uomo che si è sempre donato interamente ai propri figli.
È morto l’uomo che al lavoro era intransigente con se stesso e mai con gli altri.
È morto l’uomo che mi ha dato l’orgoglio di portare il suo cognome.
Papà con te se ne sono andate le persone che a tutto hanno rinunciato, bruciando gli anni più belli pur di dare un futuro alla propria famiglia, ai propri figli.
A te che mi hai donato il primo sorriso e l’ultimo pianto … tutto è dedicato.
È stato bello vederti sorridere.

Oggi che sono orfana quello che mi rimane di te papà è solo la tua luce dentro il buio profondo della mia vita.

È il 25 febbraio del 1969, ho dieci anni e mezzo. Sono a scuola quando mia zia mi viene a prendere prima della fine delle lezioni per darmi la brutta notizia: la morte del mio nonno. Da tempo era molto malato, soffriva gravemente di diabete: papà doveva andare a visitarlo proprio quella mattina, raggiungendo mia madre che già era là, nella casa dei suoceri.
Ma quello che era successo realmente non è come l‟ha detto zia. Il suo è stato un pretesto per portarmi a casa con urgenza, non sentendosela di dirmi brutalmente la verità; ha preferito ripiegare su una notizia che in fondo era prevedibile e attesa, che non poteva sconvolgermi troppo. Di fatto è successo tutt‟altro. È così che il mio mondo è crollato e niente sarebbe più stato come prima.
Un ictus ha colpito mio padre uccidendolo istantaneamente, là a casa di mio nonno. Quando arrivo anch‟io in quella casa sono passate appena un paio d‟ore: il corpo di mio padre è già stato composto, nel letto, nella stanza drappeggiata a tende rosse e nere, dalla migliore impresa funebre rapidamente intervenuta, e mia madre si sta occupando della salma mentre io arrivo con la zia. Sono completamente frastornata, triste, sconcertata. Intorno a me una febbrile confusione. Rimango sulla soglia, come se tutto mi riguardasse solo marginalmente. C‟è un corpo disteso sul letto, attorno al quale tutti si danno da fare. Ma che strano, in quella salma nemmeno riconosco il nonno; attorno a lui molte persone e mia madre che intravedo soltanto. Sono immobile, in piedi sulla soglia della stanza, smarrita e confusa. Mi avvicino a mamma e le chiedo:
– Dov’è il mio papà?
Cerco subito di lui, perché, entrando, ho visto la sua auto nel cortile; quindi papà c‟è… ma dov‟è?
Avvicinandomi a mamma disperata, piangendo, urla:
– questo è papà tuo, papà tuo è morto. Non lo vedi è lì!!
2. A me sembra tutto irreale, incomprensibile: guardo quel corpo morto ma non è il mio papà, non lo riconosco, non gli somiglia, e non m‟importa molto sapere di chi è. Sono separata da quel corpo da una sorta di muraglia umana, tutta questa gente che piange. Mia madre insiste:
– Non vieni a vedere a papà?
– Papà? Papà quello? Non è quello….
Non può essere lui, la mia mente rifiuta di pensare a mio padre morto e che mi permetta di riconoscerlo così, in quel modo. Quel corpo non ha nulla di lui: non ha i suoi gesti, il suo sorriso, il suo abbraccio ad accogliere la sua bambina, nulla di quello!
Attorno pianti e caos, uno scenario che mi stordisce, i suoni rimbombano nella mia testa, le mie orecchie ronzano. Mi avvicino, per accontentare mia madre che mi indica il corpo: è perfettamente vestito, composto, l‟espressione serena. Sento angoscia, papà mi manca, dov‟è? Ho desiderio della sua presenza, cerco lui in mezzo alla folla e all’agitazione collettiva mentre nel mio animo sale un tam-tam angosciante che corrisponde alle pulsazioni del mio cuore impazzito. Chiedo nuovamente a mia madre “Dov’è il mio papà che non lo vedo?”
La mia inopportuna persistenza già risulta irritante: mia madre insiste sul fatto che devo guardare la salma; solo allora mi sfiora il dubbio, poi mi piomba addosso l‟angoscia di quella metamorfosi.
La mia reazione è prima d‟incredulità, poi, quando in qualche modo mi convincono, mentre sto già ansimando senza respiro, monta dentro di me un senso di ribellione: voglio proteggerlo da tutta quella gente, difenderlo… Lo stringo, lo scuoto. Gli urlo: papà andiamo via! Apri gli occhi! Svegliati. Andiamo via! Ti prego papà! Lo stringo, lo scuoto. Gli urlo: papà andiamo via! Svegliati! Apri gli occhi. Svegliati. Andiamo via! Lo voglio ancora per me, non permetto a nessuno di toccarlo, mi dispero, mi infurio, cerco di impedire a chiunque di avvicinarlo, fino a una vera e propria lotta con i becchini che vogliono prenderlo per deporlo nella bara. Devono immobilizzarmi per procedere alle operazioni necessarie, irrevocabili.
Mio fratello arriva in tempo per il funerale, ma anche lui è frastornato e angosciato. Sta facendo il servizio militare quando riceve un telegramma inquietante: “Papà gravemente ammalato, vieni” e al suo arrivo in paese lungo la stradina che porta a casa legge i manifesti funebri: così apprende la notizia. Vinto dal dolore sviene. Il suo sostegno viene a mancare.
La solennità del funerale colpisce la mia immaginazione, tanto che ricordo vividamente le scene ancora adesso: esequie imponenti, nella migliore tradizione partenopea, ricche, con il carro funebre trainato da sei pariglie di alti cavalli neri e tante corone di fiori, tanta gente proveniente da più di una provincia, vengono contate oltre 200 auto al seguito, in corteo.
Ho così la misura della stima e rispetto che circondava mio padre, dall‟imponenza di quel funerale. L‟ictus che l‟ha colpito è certamente da mettere in relazione con la sua generosità nell‟accorrere a tutti i problemi dei suoi pazienti, trascurando se stesso e abusando delle sue forze. Mio padre si è completamente dedicato alla sua missione, più che una professione- la sua era una vera e propria vocazione e, i suoi pazienti ne sono coscienti! Una folla è lì, muta e rispettosa, per rendere l’ultimo omaggio alla dedizione e generosità del dottor Giuseppe Terracciano; a quell‟impegno personale che metteva prima di sé, della sua salute e del suo riposo, quello che probabilmente l‟ha ucciso.
3. I sassi di Matera. Sono in un mare di lacrime e desolazione, mi sento alla deriva in un oceano di dolore, ma sono incredula e come in trance: mi sforzo di pensare ma tutto mi è incomprensibile. Non può essere che mio papà, mio papà tornerà ancora da me…non può essere diversamente, mi manca tanto e lui torna sempre. Non cesso di attenderlo i giorni seguenti sui gradini della scala, sono gli istanti dedicati a me e ai miei compiti. Non posso credere di avere perduto il mio universo, quel mondo che comprende solo me e il mio papà. Per favorire l‟accettazione del cambiamento e la rassegnazione, mia madre decide di mandarmi a Matera, dalla zia Maria, sorella di mio padre. Due mesi di cui non ricordo assolutamente nulla, neanche un minimo dettaglio mi ha impressionato. Al mio ritorno, i gradini di granito, freddi, di un freddo che prima percepivo come elettrizzante e piacevole, che aumentava il mio senso di attesa, adesso sono di un freddo mortale. La porta dell‟appartamento non si riapre, i rumori non annunciano più il ritorno di mio padre alla solita ora, il mondo ha una specie di frattura, di ferita, di voragine oscura. Mi siedo ancora sulla scala, è stata per tanto tempo il mio angolo di attesa e di gioia. Sento il dolore dei luoghi svuotati della loro anima; sento che nulla è più come prima…. e cosa sarà adesso, non sono in grado di immaginarlo.

The other side of the moon

Creare il vuoto intorno agli altri per riempire il tuo spazio ti fa solo sopravvivere. Mai vivere.

1. L‟ombra. Sono passati pochi mesi. Io mi alzo anche di notte e senza farmi sentire da mia madre, mi metto sui gradini ad aspettare un ritorno… che non ci sarà. Una notte sembra diversa dalle altre: si sente la televisione di qualcuno del vicinato nonostante l‟ora tarda. È il giornalista Tito Stagno che annuncia euforico: “Ha toccato il suolo!” E poi c‟è il collegamento in diretta con Ruggero Orlando: “L‟uomo ha posato il piede per la prima volta sulla Luna”. Persone si affacciano alle finestre, osservano la Luna e commentano. Una nuova fase dell‟umanità sta nascendo. Non è chiaro cosa cambierà d‟ora in poi. Qualcuno dice che scopriremo cosa c‟è nell‟altra faccia nascosta della Luna.
Anch‟io farò presto la mia scoperta dell‟altra faccia nascosta, misteriosa, di mia madre. E non posso certo immaginare adesso quanto sarà nera. Dopo qualche mese, mia madre decide di farsi una nuova vita. La vedo frenetica nella ricerca di un nuovo compagno. Una curiosa psicologia quella di mia madre che non so spiegarmi: comincerò a pensarci quando i fatti saranno già lontani e contrariamente alle mie aspettative ancora più difficilmente concepibili. Durante tutta la sua esistenza, io sarò sempre costretta a preservarmi da lei e dalla sua ombra malvagia, a contrastare il male che mi fa costantemente attraverso il suo egoismo e indifferenza, non mostrando alcuna coscienza degli effetti delle sue azioni.
Io devo risparmiarmi innanzitutto, raccogliere tutte le mie energie per resistere, ma alla domanda “perché tua madre si comporta così?” davvero non so rispondere. Alla morte di mio papà la sua condotta precedente e successiva svela i suoi effetti distruttivi. È una lotta quotidiana per sopravvivere e salvaguardarmi, una lotta contro il dolore fisico, la disperazione, o stato di schiavitù, l‟orrore del supplizio fisico e morale, la fuga. Temo che lei e il suo amante mi raggiungano per rimettermi le catene.
Mia madre, figlia di un commerciante vedovo, un violento che si era risposato con una donna più giovane della figlia stessa, è una bella donna. Ha incontrato un Console americano in Italia. Qualche breve frequentazione e soprattutto l‟invidiabile posizione sociale ed economica del diplomatico, sono state sufficienti a indurre mia madre a programmare e organizzare il matrimonio. Ma prima dell‟evento il cugino, cioè colui che diventerà il mio papà, che evidentemente l‟amava e voleva distoglierla dall‟imminente matrimonio, per levarla dalla miseria e dalla schiavitù cui era sottoposta e succube. Appartandosi con lei, cosa non facile per l‟epoca dato il controllo a vista di tutti gli anziani della famiglia, l‟aveva conquistata e facilmente sedotta, mandando a monte tutti i precedenti progetti. L‟ignaro promesso sposo americano forse non subì mai uno scorno peggiore quando, presentandosi nel luogo e data convenuti, la trovò incinta e già sposata con un altro. Se ne andò dignitosamente giurando a se stesso che mai più sarebbe stato ingannato da un‟italiana.
In che modo questo fatto, nel tempo, sarà rivissuto e interiorizzato da mia madre come un errore? un rimpianto, un amaro pentimento? Mi chiedo se sia stata quella vicenda a determinare la sua tendenza alla rivalsa e poi alla vendetta?! Io non sono in grado di dirlo, né ho avuto la sua confidenza per affermarlo. Ho vagamente saputo dalla parentela di una relazione di mio padre durante il matrimonio, che mia madre ha scoperto. Ricordo un‟espressione di dubbio di mio padre, una volta, come se dovesse controllare la moglie: si aspettava una sua ripicca? Non si fidano più l‟uno dell‟altra? Mia madre considera da allora il matrimonio un errore? Sono cosciente che qualcosa nella mente di mia madre c‟è, oppure c‟è stata, tanto da scatenare un evidente rifiuto e fastidio verso noi figli. Forse la personalità di mio padre e la sua autorità impedivano tensioni e conflitti, determinando un ménage irreprensibile e rispettabile. Io arrivo dopo, per ultima. Sono la più piccola e indifesa, sacrificata e sola con lei perché ha già esiliato gli altri due (mettendo in opera una scelta frettolosa e insindacabile per accasarli prematuramente, sistemarli e allontanarli). Ha mano libera su di me appena undicenne! Scatena un egoismo patologico, una recita di apparente perbenismo sociale, ma in realtà dominata da una spietata aridità, da una totale indifferenza delle conseguenze fisiche e morali delle sue azioni su di me.
…Forse io idealizzo mio padre, che probabilmente ha avuto difetti o colpe verso la moglie. Ma solo alla sua morte, nella fretta di dimenticarlo, in mia madre qualcosa emerge. Oppure quella di mia madre è una vera e propria, incontestabile, vena o condizione di follia. Ma io con i miei nove anni non posso fare queste considerazioni, sono soltanto nelle sue mani.
2. Un fidanzato. Mia madre tratta come capricci il mio dolore e la mia chiusura, il rifiuto a rassegnarmi alla mancanza di papà. Mi punisce. La vedovanza la fa rifiorire come se si fosse liberata di qualcosa. Non nasconde la sua ricerca di un compagno. Tutti i giorni mi ripete: – Mi sbarazzerò di te, alla prima occasione! Ti consegno al primo bastardo che passa! Esce più volte alla settimana e mi porta con sé, in lunghe camminate su via Nazionale, il corso alberato che conduce in centro città, poi attraverso vicoli sassosi o sterrati inseguendo il profumo del pane caldo fino dal fornaio, quello del pane cafone buono e soprattutto delle sfogliatelle! Presto capisco che lo scopo di mamma è quello di ostentare normalità, di mostrare alla gente una propria regolarità di vita. Cosicché gli incontri con certi personaggi non sono proprio casuali e gli strani dialoghi che ascolto, che mi sanno di finto e irreale, evidentemente sono stati concordati. Queste cose le percepisco perfettamente forse perché sono sempre stata vivace, intuitiva, poi il dolore che è ancora ben presente in me, contribuisce a chiudermi e a irrigidirmi, rifiutando a priori ogni presenza maschile diversa da mio padre. È nota nella parentela una particolare predilezione verso di me da parte dello zio materno, Aldo, un rapporto di naturale affetto parentale e amichevole. Mi conforta la sua presenza in questo momento di profondo lutto per la perdita del papà, è un sostegno e una speranza di vivere e di ricominciare a trovare l‟equilibrio. Facendo leva su questi sentimenti la mamma si inserisce e tenta di provocare il fidanzamento! Ma lo zio è un adulto e io nemmeno undicenne. La parentela trova inopportuna e bislacca l‟idea, in particolare mia nonna, che si oppone decisamente, costringendo mamma a ritirarsi in buon ordine! Contrariata, diventa vendicativa dicendomi con il gusto della cattiveria che presto la smetterò di aspettare il ritorno di mio padre; ripetendomi più volte il solito mantra del “primo bastardo che passa, vedrai… mi libererò di te”. Questa la sua primaria esigenza, liberarsi di me. Che faccia pure, ma io non collaboro!
3. Venduta. La mia casa è al secondo piano di un antico palazzo della Napoli di fine Ottocento, ben restaurato. L‟appartamento è ampio e arredato con gusto. Nel piano sottostante abitano mio fratello Francesco e consorte. Invece mia sorella Ines con suo marito stanno a pochi chilometri.
Francesco ha avuto una meningite, da ragazzo, ed è stato curato da papà, ma la malattia gli ha lasciato i segni di uno sviluppo incompiuto, e il ragazzo non è maturo quanto la sua età determinerebbe; trovare un‟occupazione giusta e una sistemazione di vita per lui non sarebbe mai stato facile, così mamma ha organizzato un matrimonio con una ragazza semplice, più attratta dalla sistemazione in una famiglia di condizione sociale superiore, che dal marito. La coppia rimarrà sempre sotto una specie di tutela asservita alla volontà e all‟aiuto economico di mamma, che vede e provvede, e soprattutto conta sulla loro sottomissione.
È una giornata come tante. La luce calda filtra sulle scale interne, fino allo studio, per attenuarsi nel salotto con le sue tende di velluto pesante, dove anche la penombra è rassicurante. Oggi è venuto a casa nostra un signore di Mondragone, una piccola città sul mare, a nord di Napoli. Mamma va ad aprirgli la porta e dapprima si sofferma con lui nella bella ed elegante cornice borghese dell‟ingresso, affastellato di dipinti a olio e stucchi dorati, poi lo guida lungo la veranda di vetrate, oggi particolarmente luminosa e ricca dei colori delle numerose piante fiorite. Conversando e camminando sulla morbida striscia di tappeto persiano giungono al salotto. Si tratta di un altro basso tentativo di mia madre per appiopparmi a qualcuno. Questa insistenza mi esaspera: costretta a preparare il caffè nel servizio buono, per dispetto rovescio il vassoio e le tazzine addosso al signore!! Le rovino la giornata: raramente l‟ho vista così felice per una visita…. Ma io non voglio fidanzarmi e non voglio conoscere nessun uomo, mi ribello e basta.
Un paio di settimane dopo sono le 10 del mattino, la mamma e io dobbiamo andare a fare delle commissioni. Sono nella cameretta a giocare con le mie bambole. Dal cortile sale insistente un suono sgradevole di clacson, mi affaccio alla finestra del bagno, disturbata, e vedo un signore, molto elegante, scendere da un‟auto lussuosa, color grigia metallizzata, con gli interni in pelle rossa.

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