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Rimborsi ai dipendenti in trasferta

In campo lavorativo può spesso succedere che per esigenze aziendali ci si trovi a dover modificare, per un periodo più o meno breve, la sua sede di lavoro abituale e ad anticipare le spese del trasferimento per conto dell’azienda. In questi casi si può creare spesso confusione su quali siano i costi che il dipendente deve affrontare, che diano diritto al rimborso in busta paga e in che forma tale rimborso avvenga.

Spese ammissibili.

Ovviamente il primo parametro che una spesa deve avere, per risultare ammissibile al rimborso, è quello della qualità: la persona non può chiedere all’azienda di rientrare di una somma spesa per suo proprio piacere, viceversa, se l’importo è stato utilizzato in qualità di dipendente, allora può essere ammesso.

Generalmente, poi, i costi che il lavoratore può richiedere all’azienda sono quelli legati al trasporto, al viaggio, al vitto e all’alloggio. Nello specifico, le prime riguardano tutte quelle spese legate al trasporto di beni (che siano venduti o acquistati) e le seconde sono legate allo spostamento che il dipendente o libero professionista fa per raggiungere il nuovo luogo di lavoro.

Attenzione ad una novità per quanto riguarda proprio le spese di viaggio: qualora la persona effettui un rifornimento di carburante, sempre nell’esercizio del suo lavoro e non per motivi personali, potrà ottenere il rimborso delle spese solo se utilizzerà un metodo di pagamento tracciabile (carte di credito, prepagate o bancomat ad esempio) e richiederà contestualmente il rilascio della fattura elettronica intestata all’azienda. Se questi pagherà in contanti, o non si farà rilasciare la bolla, non potrà ottenere il rimborso della spesa dall’azienda. Questa novità è stata introdotta dalla Legge di Bilancio 2018 (n. 205/2017) ed è diventata pienamente efficace dal 1 gennaio 2019.

In molti casi, oltre queste quattro spese, generalmente sempre ammissibili, ce ne possono essere altre più o meno rimborsabili. Per questa ragione si consiglia anche di andare a vedere i Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro relativi alla propria categoria, alle quali ogni azienda è tenuta ad uniformarsi.

Tipologie di rimborso.

 I rimborsi spese per le trasferte lavorative, specialmente al di fuori del comune abituale, possono essere di tre tipi: forfettario (che sarebbe poi la diaria), a piè di lista o misto.

 

Il rimborso forfettario, o diaria, è una somma prestabilita che spetta al lavoratore in base ai giorni effettivi in cui si trova ad operare in una sede diversa da quella abituale. Normalmente partiamo dai 46,48 euro in Italia e 77,47 euro all’estero (nel caso sia riconosciuta solo la diaria) per arrivare ai 15,49 euro in Italia e 25,82 euro all’estero (se oltre all’indennità di trasferta viene riconosciuto anche un rimborso a piè di lista).

Questa seconda tipologia di rimborso, la più completa, prevede che il lavoratore sottoponga all’azienda una nota spese precisa, correlata da fatture, che riguarda tutte le somme da lui pagate anticipatamente. Ovviamente nel conto non devono rientrare acquisti di beni o servizi privati, pena l’inammissibilità della spesa.

Può capitare che l’azienda decida di rimborsare oltre all’indennità di trasferta anche ad esempio le spese di vitto e alloggio o in generale tutte le somme utilizzate durante il soggiorno. Questa unione di due diverse tipologie di rimborso rappresenta proprio il rimborso misto, o ibrido, ed è la causa della frequente oscillazione che possiamo avere sugli importi della diaria.

Qualunque sia il tipo di rimborso che l’azienda mette a disposizione, è fondamentale che il lavoratore conservi sia gli scontrini che le fatture (ormai quasi sempre tutte elettroniche), altrimenti non gli potrà essere riconosciuta la spesa affrontata.

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