L’era Silvio? Non avevamo capito nulla

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    ROMA – «L’inizio di tutto? Ho un ricordo netto, visivo, e quasi fisico: ero nel mio ufficio di presidente della commissione Antimafia, a Palazzo San Macuto, e stavo guardando i tigì di mezza sera. All’improvviso sentii dare questa notizia: “L’imprenditore Silvio Berlusconi ha deciso di appoggiare il leader dell’Msi Gianfranco Fini che, nella corsa a sindaco di Roma, è impegnato contro Francesco Rutelli, candidato del centrosinistra”… Beh: mai, prima di quel momento, c’era stato qualcuno così sfrontato nell’appoggiare un esponente di destra, e di una destra vera, autentica… che anno era?».

    Era il 23 novembre 1993.
    (Luciano Violante ha 68 anni ed è nato a Dire Daua: il padre, giornalista comunista, fu costretto dal regime fascista ad emigrare in Etiopia. Ma su questo non indugiamo: è pomeriggio tardi, dalle finestre del suo ufficio al terzo piano di via Uffici del Vicario si vede il sole venire giù su Roma. È un ufficio bello ed elegante come il rango di ex presidente della Camera impone. Naturalmente di Violante, ora nel Pd, occorre ricordare che fu anche magistrato di spicco e alto dirigente del Pci, e poi, ma questo è in molti libri di storia, uno dei pochi e sinceri amici di Giovanni Falcone).

    Berlusconi—all’epoca padrone di tv e strepitoso presidente del Milan — decide di mettersi a fare politica: voi del Pds cosa pensaste?
    «Pensammo ciò che pensò buona parte della classe politica italiana sopravvissuta a Tangentopoli: ma chi è questo? Cosa vuole? Come si permette di irrompere nella nostra politica in modo così sgrammaticato?».

    Tutti sorpresi.
    «No… forse non tutti. Ugo Pecchioli, che era presidente della commissione per i Servizi, qualcosa intuì».

    Tipo?
    «Lui era un politico assai rigido, rigoroso. Di pura cultura comunista. Ma ricordo che un giorno mi disse: “Attenti, le cose nuove, in politica, nascono così”…».

    E i diccì? E i socialisti?
    «Erano provati dalle vicende di Tangentopoli… Ma tipi come Martinazzoli e Cabras… e anche come Gargani…».

    Cosa dicevano?
    «Mah, è probabile che loro qualcosa, delle potenzialità di Berlusconi, intuissero. In fondo loro avevano frequentato Bettino Craxi, erano stati suoi alleati e perciò lo avevano incontrato in privato, con lui avevano trattato…».

    E quindi?
    «Beh, credo che una certa sua capacità di rompere gli schemi, in fondo, la ritrovassero anche in Berlusconi».

    Voi, invece, rigidi.
    «Non capimmo che cominciava una nuova era».

    Perché?
    «Aneddoto. Pranzo di Pasqua, a casa mia, in montagna, a Cogne: tra gli ospiti una signora che era funzionaria di Publitalia. La quale, ad un certo punto, fa: “Io ve lo dico… guardate che quello sta fondando un partito”…».

    E voi?
    «Scettici. Pensando: e che un partito si fonda così?».

    Ingenui.
    «Ci credevamo poco. Mentre lui tesseva alleanze, stringeva patti con la Lega, con la destra… noi ironizzavamo».

    Per esempio, quando?
    «Quando si seppe che ai suoi adepti forniva un kit di ordini: lasciare i bagni puliti, essere sempre sbarbati…».

    E quando, il 26 gennaio del 1994, Berlusconi registrò il suo primo messaggio televisivo, mettendo una calza da donna davanti all’obiettivo della telecamera per garantirsi così un effetto visivo più fascinoso?
    «Pensammo fosse una roba poco seria. E sbagliammo. Perché lui, invece, aveva già intuito come la nuova società italiana stesse cambiando e, alla verità del merito, tipica della nostra storia comunista, si stesse sovrapponendo la verità della forma».

    Achille Occhetto, avversario designato.
    «All’ultimo match televisivo si presentò con un abito marrone in stoffa “occhio di pernice” piuttosto triste… Berlusconi, di fronte, come un manichino lucente…».

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