Il ruolo della donna nel trasmettere le culture con poche risorse
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Mi è stato chiesto la partecipazione ad un evento a Napoli che vuole
sottolineare il ruolo della donna napoletana leggendo una poesia.
Personalmente ritengo che non posso trasmettere la rilevanza che la
donna effettivamente ha mediante la lettura di una poesia se non in
combinazione con un discorso che sottolinea la rilevanza della donna
nel trasmettere i valori culturali per culture con poche risorse.
Sembra che un discorso aggiuntivo non rientri nel programma visto che
non ho avuto né conferma, né disdetta in merito. Ritengo quindi come
chiusa la questione dell’invito, ma vorrei a questo punto comunque
trasmettere due pensieri.
Vox Humanitatis, la nostra associazione senza scopo di lucro,
nell’ambito delle culture con poche risorse, tra i quali anche il
napoletano, svolge un ruolo assolutamente apolitico in quanto la
cultura per se è un bene comune e va tenuto nettamente separato da
qualsiasi discorso di parte.
Andiamo al dunque: nella maggioranza dei casi sono le donne che si
occupano maggiormente dei bambini nei loro primi anni della vita, cioè
in quel periodo quando al bambino viene dato l’imprinting per tutta la
sua vita. È quello il momento quando il bambino impara la lingua madre
con tutta la cultura connessa. Sta quindi alle mamme, ma ovviamente
anche ai papà, di assicurare che in quel periodo il bambino impari che
ci sono diversi livelli di communicazione. Un livello di cultura locale
e vari livelli su livello nazionale e internazionale. Che l’inibire
dell’apprendimento della lingua madre comporti danni psichici e fisici
lo si può evincere chiaramente da vari studi internazionali fatti in
materia. Vorrei in particolare citare un documento pubblicato da
esperti del Consiglio per il Sociale e l’Economia delle Nazioni Uniti
pubblicato in data 8 febbraio 2008 che si occupa della sottrazione
dell’educazione nelle lingue indigene, cioè locali. Emerge in maniera
molto chiara quanto possa essere dannoso il non permettere la lingua
madre nell’educazione.
Vorrei a questo punto chiedervi di richiamare in mente alcune
situazioni: quante volte avete detto ad un bambino o è stato detto a
voi quando eravate bambini di “parlare bene” nel senso di usare
l’italiano invece del napoletano? Quante volte viene usata questa
espressione a casa e nelle scuole per far sì “che il bambino abbia più
possibilità nella vita”. Invece di aiutare il bambino quest’espressione
però ha un lato molto negativo. Significa che qualunque cosa abbia
detto in napoletano “era male”. Chiedete pure ad uno psichiatra
qualunque che effetto ha dire non una, ma tante volte, ad un bambino
che una cosa “è male” anche e soprattutto attraverso affermazioni che
sembrano positive. Può causare una perdita netta di autostima, e molto
spesso questo avviene. Il che in fine porterà a depressioni ed altre
“piccolezze”. Il che può causare ulteriori problemi.
Molte ragioni del basso valore di autostima che riscontro in queste
zone, dove la gente sempre pensa che l’erba sia più verde altrove senza
rendersi neanche conto di quel che hanno davanti agli occhi, provengono
propio dalla perdità dell’identità propria.
Il ragionamento che un bambino non sia in grado di digerire più che
una lingua non tiene: è confermato attraverso vari studi che i bambini
che crescono con più lingue sviluppano molto più creatività e
conoscenze di quelli che crescono con solo una lingua. Esempi di
famiglie mutliculturali e con ciò multilingue ce ne sono tanti. E si fa
di tutto per insegnare l’inglese dalla prima elementare accanto
all’italiano – e allora mi chiedo: perché il napoletano no? Perché
viene deriso dai napoletani stessi e trattato come non abbastanza
valido per essere insegnato nelle scuole?
“Una lingua è una piattaforma di communicazione che si sceglie a
seconda dell’occasione.” Qui cito me stessa. È una frase di un discorso
tenuto un anno fà circa durante la Festa dël Piemont a Cherasco. La
frase tuttora è valida, per tutte le culture, incluse le loro lingue.
Quindi, visto che questo discorso doveva andare alle donne e mamme
napoletane: ricordatevi di spiegare ai vostri figli che esistono tante
culture e lingue nel mondo, che quella napoletana ha esattamente lo
stesso valore di tutte le altre, che va curata e utilizzata nella
communicazione secondo l’occasione. Ricordatevi di insegnare a parenti,
insegnanti, tutti quelli che utilizzano il “parla bene” che invece
devono dire “nelle lezioni a scuola per piacere utilizzate l’italiano
in quanto i libri scolastici sono scritti in italiano” e non proibite
mai al bambino di esprimersi nella propria lingua madre quando è fuori
da un ambito “dove si parla l’italiano”. Che poi, a ben guadare,
l’italiano ormai è diventato un “italese” considerando di tutto quel
miscuglio che viene fatto in un discorso.
Per quelli che ritengono che occorra proteggere l’italiano: la
protezione della lingua italiana funzionerà soltanto se proteggete
anche le lingue regionali. Vedo faccie sorprese ora, giusto? Be’ è
semplice: solo chi sa distinguere tra le varie piattaforme di
communicazione sa che cosa siano e si può proteggere e amare solo quel
che si conosce bene. Solo quando viene tenuto puro il napoletano in
questo caso verrà tenuto puro anche l’italiano e anche l’inglese. E se
tuttora vi meravigliate: esistono anche studi su questo.
Comunque: la storia del “parlar bene” ha lunghe radici – troviamo
nozioni simili anche dai vecchi romani che consideravano come colto
solo chi sapeva “parlar bene”, cioè chi sapeva parlare il latino
volgare. Sarà difficile far sradicare questo concetto di superiorità di
una lingua, ma già il solo esserne alla conoscenza aiuta a non cadere
in tante trappole che abbiamo creato noi stessi.
Grazie a tutti per l’ascolto virtuale.
Sabine Emmy Eller
CCO – Vox Humanitatis