In Italia rischia di essere ucciso" così l´avvocato ha convinto il ministro

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    LO SCACCO matto è stata la scelta dell’avvocato. Luis Eduardo Greenhalgh, l’uomo che ha convinto il ministro della Giustizia brasiliano, Tarso Genro, a concedere l’asilo politico a Cesare Battisti, era negli anni Ottanta l’avvocato del “Soccorso rosso”, colui che – spesso gratis – si occupava dei sindacalisti arrestati negli scioperi contro la dittatura militare. E’ amico del presidente Lula e di tutti i maggiori dirigenti del Pt, il partito al governo. Greenhalgh è stato anche deputato per il partito di Lula e Genro.

    Nessuno si aspettava che la decisione di concedere l’estradizione ormai maturata all’interno del Tribunale Supremo e confermata dal rifiuto della Conare di accettare la domanda di asilo politico potesse essere ribaltata. Invece Genro, esaminando il ricorso, ha creduto fondati i timori che Battisti ha manifestato nell’unica intervista concessa in Brasile, qualche giorno fa al settimanale Epoca: “Se torno in Italia mi ammazzano”, diceva l’ex terrorista.

    Per l’avvocato Greenhalgh, secondo Battisti e, a questo punto, anche per il ministro, in Italia sarebbero ancora attivi “apparati di repressione illegali” e a Battisti viene dato l’asilo “perché potrebbe essere perseguitato per le sue opinioni politiche”. Una lettura tutta da discutere visto che paragona l’Italia ad uno staterello dittatoriale ma che, in mancanza di novità, è l’ultima parola sul caso. La decisione del ministro annulla e archivia infatti qualsiasi scelta del Tribunale supremo che può ora solo controfirmare la concessione dello status di rifugiato politico. Teoricamente Battisti è già libero e può decidere di restare in Brasile come di andarsene dove gli pare.

    Greenhalgh, insieme agli altri avvocati che difendono Battisti, elenca le ragioni che a suo giudizio giustificano la decisione di Genro. E tra queste una lettera in cui “l’ex presidente Francesco Cossiga ammette che le azioni del governo italiano per prendere l’ex terrorista hanno una motivazione unicamente politica”. Poi, si augura che presto “Battisti possa tornare alla sua attività di scrittore”.
    Non è detto però che il ministro della Giustizia brasiliano abbia valutato bene tutte le conseguenze della sua azione. In Brasile, dove l’opposizione protesta e accusa Genro di aver agito spinto “da motivazioni ideologiche o emotive”, e dove anche il presidente del Parlamento ha parlato di “decisione affrettata”; e in Italia dove già si chiede al governo di “richiamare per consultazioni l’ambasciatore”.

    Quando fuggì dalla Francia che stava per concedere l’estradizione per darsi di nuovo alla latitanza nel 2004, Battisti scelse il Brasile proprio perché in questo paese c’erano dei precedenti che lo facevano ben sperare in caso di cattura. Il più famoso è quello di Achille Lollo, l’ex di Potere Operaio coinvolto nella strage di Primavalle. Ma ce ne sono anche altri, meno noti, che hanno fatto nascere a Rio de Janeiro una piccola ma influente lobby di rifugiati italiani, più o meno coinvolti con gli Anni di Piombo.

    Ogni storia è diversa e si pensava che quella di Battisti fosse sufficientemente differente dalle altre (quattro omicidi, le condanne all’ergastolo) per spingere il Supremo tribunale brasiliano a rivedere la consuetudine dei precedenti processi d’estradizione. E, in effetti, così era fino all’intervento del ministro Genro.

    Dopo la sua cattura da parte di agenti dell’Interpol, coadiuvati dalle polizie francese e italiana, nel marzo di due anni fa, quasi nessuno si era speso pubblicamente in suo favore. Neppure Fernando Gabeira, il deputato verde brasiliano, che aveva molto probabilmente svolto il ruolo di contatto con gli amici francesi (il comitato parigino che si era costituito contro l’estradizione dalla Francia) e aiutato il latitante al suo arrivo in Brasile.

    Preso atto dell’arresto in molti avevano dato per perso il caso, vista la gravità delle accuse e delle sentenze italiane contro Battisti. Solo il filosofo francese Bernard Henry Levy aveva alzato la voce e si era recato a Brasilia per incontrare Battisti e promettergli tutto il suo appoggio anche presso il governo francese. Gli altri hanno preferito lavorare nell’ombra, individuando dopo numerose incertezze e ripensamenti, l’uomo giusto nell’avvocato Greenhalgh che alla fine accettò di occuparsene e, ieri, ha vinto, nella sorpresa generale, la sua scommessa legale.

    Nato nel 1954 a Sermoneta, in provincia di Latina, militante dei “Proletari armati per il comunismo” alla fine degli anni Settanta, Cesare Battisti è stato condannato all’ergastolo in contumacia in Italia per quattro omicidi. Sono quelli del maresciallo di polizia penitenziaria Antonio Santoro, ucciso a Udine nel 1978; del macellaio di Mestre Lino Sabbadin, ammazzato nel 1979; dell’agente della Digos Andrea Campagna, ucciso a Milano, sempre nel ’79; e del gioielliere milanese Pierluigi Torregiani. In tre delitti Battisti è stato condannato come concorrente nell’esecuzione, mentre quello di Andrea Campagna lo ha commesso personalmente.

    Battisti, arrestato in Italia nel ’79, riuscì a fuggire dal carcere di Frosinone nel 1981. Da quella data iniziò un lungo periodo di latitanza che lo portò prima in Messico e poi a Parigi dove inizia a scrivere e a pubblicare libri gialli di un certo successo. Fino al 2004 quando, nonostante il comitato in suo favore animato dalla giallista Fred Vargas, le autorità francesi concessero l’estradizione. Ma, prima della sentenza, Battisti aveva già lasciato la Francia.

    larepubblica.it                     inserito da Michele De Lucia

     

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