L´ex pci col foulard e l´ultima festa con la «sua» Napoli

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DA UNO DEI NOSTRI INVIATI NAPOLI — Qualcuno era comunista, e non approvava l’abbigliamento decisamente controcorrente del ragazzo venuto dalla provincia. Negli anni Settanta, Alfredo Romeo entrava nella sezione Chiaia-Posillipo del Pci addobbato di cravatta, foulard e pochette infilata nella giacca principe di Galles. Le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani, ma anche digressioni che ai tempi venivano considerate bizzarre, come la medicina alternativa, affidarsi all’iridologo anche per un mal di pancia. Ne derivò un soprannome che ancora gira tra i vecchi compagni, l’equivalente dialettale di «fighetto».

La passione per il lusso, stella cometa della sua vita, ha trovato sfogo definitivo in un immobile. «Un cuore trafitto ed è Romeo». Il manifesto è ancora appeso alla parete di cristallo azzurro. Nel grande atrio risuonano i passi di Hans Rudolf Fritz, il manager tedesco dell’avveniristico hotel a 5 stelle sorto sui ruderi di palazzo Lauro. La personalizzazione dell’opera che ora illumina a giorno il paesaggio caotico del porto turistico è il primo riconoscimento ufficiale che Romeo si è concesso in più di trent’anni a fari spenti. Fritz, tedesco di Brema innamorato di Napoli, si aggira spaesato nella hall vuota. Diceva di voler «catturare la città». È andata diversamente. C’erano tutti, la sera dell’inaugurazione. Appena una settimana fa. Qualche imbarazzo e molte defezioni importanti per un evento annunciato da tempo lasciavano presagire che a quello Zenith stava per seguire un Nadir giudiziario. Il paesaggio umano invece faceva intendere la vastità di una rete di relazioni fatta a sua immagine e somiglianza. Trasversale, colta e kitsch al tempo stesso. Alto e basso mischiati in una lista invitati che raggiungeva le 400 unità. Con gli assessori regionali Ennio Cascetta e Claudio Velardi accanto al presidente degli industriali Gianni Lettieri, le assessore al Turismo di Provincia e Comune Giovanna Martano e Valeria Valente, banchieri, nobili, fotografi e grafici, la scrittrice Januaria Piromallo, accademici mischiati al cantante Mario Biondi e all’attore Patrizio Rispo, il centrocampista del Napoli Michele Pazienza, il sociologo Domenico De Masi e il comandante Giovanni Cafiero, ex playboy e parente di Lauro. Diversi e uguali tra loro, con una flute in mano e l’assoluta certezza di rendere omaggio ad un uomo che conoscono poco o nulla.

«Non è napoletano, non ne ha i tratti caratteristici» dice ora Eduardo Cicelyn, direttore del «Madre», il museo di arte moderna. «L’hotel è una gran cosa» aggiunge il preside di Architettura Benedetto Gravagnuolo, reduce della festa. «Ma finirà nel gorgo della rimozione. Questa città dimentica in fretta». Il giorno dopo l’arresto sembra davvero che sia così. Alfredo chi? Eppure, il figlio di un cameriere e di una casalinga, nato 55 anni fa a Cesa, provincia di Caserta, paese di braccianti e contadini, si è preso Napoli. Arriva che ha 15 anni. Si iscrive alla Fgci, la federazione dei giovani comunisti. Serve ai tavoli del ristorante Mattozzi per pagarsi gli studi. Si laurea. Molla la politica, master in management. Sposa Maria Vittoria Parisio Perrotti, donna di nobili origini dalla quale avrà tre figli. Lavora con ritmi da minatore, questo glielo riconoscono ancora tutti. Sudore della fronte e ricerca dello status sociale. Vacanze invernali a Sankt Moritz, al Badrutt’s Palace frequentato da Gianni Agnelli, estate a Sorrento, cene a base di pesce da don Alfonso. Nel 1983 apre la sua prima agenzia immobiliare. Ai suoi cinque impiegati infligge un testo autografo sul «culto del management», nel quale si legge: «Altro che Milano da bere, occorre perseguire la ricerca del modello milanese».

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