CAMPANIA, PER IL PESCE PREZZI IMPAZZITI

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Pesce, ancora proteste per caro gasolio: prezzi impazziti. Sulle tavole è diventato introvabile Pescatori fermi mentre una cassa di alici costa già sei euro in più. Ristoratori napoletani in difficoltà: piatti troppo cari

Napoli, Campania- Metti che salga il prezzo delle alici e Pozzuoli fa la rivoluzione. Metti, in aggiunta, la mazzata del caro gasolio e il risultato è ancora più tragico: i banchi dei pescivendoli sono vuoti – anche se qualcuno pervicacemente espone il «congelato» al posto del «fresco» – i ristoranti battono cassa e i prezzi s’impennano ad altezze irraggiungibili per i comuni mortali. È proprio quello che sta accadendo anche a Napoli in questi giorni con conseguenze drammatiche sul paniere della spesa e perfino sui riti domenicali della gastronomia popolare che impongono un «secondo » di pesce per non appesantire la digestione già compromessa dall’affondo del ragù. Con queste premesse è facile intuire come sia stata vissuta la giornata – ieri, martedì 10 – più pesante dello sciopero dei pescatori. Qualche pescheria non ha aperto per mancanza di merce. Nel porto di Pozzuoli le «paranze» in sciopero, giunte da tutte le marinerie flegree ma anche da Torre Annunziata, Sorrento e Castelvolturno per rinforzare la protesta, hanno «invitato» i grossisti a tenere i banchi vuoti, ma non fidandosi hanno presidiato l’area del mercato per tutta la notte, dalle tre alle sette e mezzo, bloccando tutte le contrattazioni.
I grossisti hanno obbedito salva qualche sortita di sprovveduti che nel mercatino, accanto all’area grande, hanno tentato di smerciare partite di pesce congelato. Sono stati prontamente bloccati e per qualcuno la cura è stata più indigesta perchè sono stati costretti a darsela a gambe abbandonando i camion frigo trasformati in banchi di vendita. Alle otto le cianciole si sono spostate verso il molo Caligoliano e lì è stata tenuta un’assemblea: le partenze dei traghetti non hanno subito ritardi o intralci e tutti i traffici portuali si sono svolti nella più assoluta normalità. La vigilanza spietata si è resa necessaria per il fatto che i pescatori lamentano che, nonostante loro non lavorino, il pesce fresco ancora si trova.
«Non accettiamo che si speculi sulla nostra fame, tuonano, e poi ‘sta storia degli armatori che ci rubano il mestiere, è inaccettabile». Ma il fenomeno esiste e più sotto sveleremo anche da dove arriva l’insidia. La cronaca di questa vicenda si arricchisce di altri dettagli molto significativi legati allo sballo dei prezzi. Per rendere uniforme il discorso come unità di misura abbiamo scelto le quotazioni all’orgine, quando, cioè, il pescato «passa dalla cianciola al grossista. Negli anni Sessanta e Settanta in questa fase scattava il balzello illegale, la cosiddetta «croce» che il commandatario pretendeva ad ogni pesata; oggi questa imposizione è scomparsa, almeno ufficialmente, ma i passaggi di mano non si sono ridotti. L’aumento dei prezzi ha subito oscillazioni molto variegate: qualcuno, con un eccesso di disinvoltura, ha parlato di una impennata del 30% ma le cose stanno in maniera diversa perchè le oscillazioni variano da quartiere a quartiere, da menù a menù. Per capirne di più, allora, soffermiamoci su tre voci fondamentali del mercato ittico: una cassetta di alici del peso di 7-9 kg oggi costa 30 euro, mentre fino al 29 maggio – primo giorno del caro gasolio – costava all’incirca cinque-sei euro in meno. Il prezzo del «purpetiello» verace, che non pesa più di settanta grammi ed è il condimento fondamentale di un sugo di straordinaria fragranza si è raddoppiato: un chilo costa 5 euro, prima oscillava sui 2,5-3.
La spigola di mare, infine, ha subito un altro contraccolpo e manca poco che sia quotata in borsa: un chilo di quella «verace » costa circa 45 euro, sette in più rispetto all’inizio della protesta. Come si esce da questo tunnel? Lino Stendardo, uno dei tre proprietari di «Ciro» a Santa Brigida, mette il dito nella piaga: «Qui parlate di prodotto fresco, ma il problema vero è trovarlo un po’ di pesce davvero presentabile. Il ristorante che tiene al marchio si danna l’anima e riesce a procurarselo, ma gli altri cosa fanno»? La risposta è scontata: vendono il congelato per fresco, aumentano i prezzi e allontanano la clientela. E questa è storia di tutti i giorni. Resta da soddisfare una curiosità: come fanno i buoni ristoranti a non farsi mancare il gamberetto di Crapolla, le triglie di scoglio e una «spasella» di pesce di taglio? «Ognuno di noi – dice il proprietario di Ciro a Mergellina – dispone di una paranzella che pesca per loro e di fidati cercatori che girano nei vari mercati e riescono a comprare un po’ qui un po’ lì. Ma c’è un altro fenomeno che si sta imponendo – dice ancora Stendardo – molti figli di papà appassionati della pesca subacquea vi si dedicano professionalmente, vanno a mare di notte e ci riforniscono di spigole, orate, dentice e ora che è stagione di gamberetti che si possono mangiare anche crudi. Se li fanno pagare un occhio della fronte ma noi non obiettiamo, quella è la nostra riserva aurea».
Gli amatori sono figli di professionisti che si dedicano alla pesca durante le vacanze e ogni qualvolta è possibile: sono bravi e rifiutano qualsiasi forma di pubblicità: «Il nostro fornitore è un ragazzo dei Quartieri Spagnoli». Può dirci come si chiama. «Mai, altrimenti ce lo rubano ».
Carlo Franco (Corriere del Mezzogiorno)

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