MONNEZZOPOLI, IL LIBRO CHE SVELA LA GRANDE TRUFFA DEI RIFIUTI

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È impossibile prevedere quando finirà. È facile, invece, immaginare che la Campania resterà sommersa dalla spazzatura ancora per qualche mese, che Napoli condannerà l’Italia a pagare un prezzo altissimo per le gravi infrazioni alle norme comunitarie in materia di smaltimento criminale dei rifiuti ed insozzerà definitivamente l’immagine di un Belpaese già in declino nel mondo. Non sono le previsioni catastrofiche degli sviluppi futuri di una delle più drammatiche emergenze ambientali che hanno messo in ginocchio la Campania, ma semplicemente un pizzico di sano realismo che ancora riesce a fare breccia nella mente di chi da 15 anni segue da cronista l’inquietante quanto magmatico mondo della spazzatura partenopea.

È vero, il superprefetto Gianni De Gennaro, chiamato al capezzale di una regione sull’orlo del disastro igienico-sanitario, ha assicurato di liberare le strade dai rifiuti non raccolti da settimane, giurato che terrà fuori la porta i camorristi-imprenditori che frugano nella monnezza come gli avvoltoi svolazzano sulle carogne, ma nulla ha saputo o voluto dire su quanto accadrà dopo il 30 aprile, quando il suo mandato scadrà. L’ex capo della polizia, arrivato a Napoli per commissariare il Commissariato straordinario per l’emergenza rifiuti, non ha il tempo materiale e forse nemmeno un’idea precisa su come restituire agli enti locali la responsabilità di un ciclo virtuoso nel settore dei rifiuti. Per ora è impegnato ancora a cercare, sono sue parole, “un buco enorme che contenga un milione di tonnellate di rifiuti”. Questo buco, questa enorme pattumiera l’aveva trovata requisendo vecchie discariche che non potevano essere utilizzate (Ariano Irpino, Villaricca e Montesarchio) e tentando di aprire siti provvisori di stoccaggio in zone che andrebbero solo bonificate (il quartiere di Pianura a Napoli, Marigliano, Santa Maria La Fossa). L’operazione “San De Gennaro”, come qualcuno l’ha ironicamente definita, non è semplice e nemmeno indolore. L’uomo che ha sconfitto il terrorismo, che ha decapitato i vertici di Cosa Nostra rischia di affogare tra i sacchetti della monnezza di Napoli. Sapeva bene che avrebbe incontrato la strenua resistenza delle comunità locali mortificate dall’apertura di discariche e siti di stoccaggio. Sapeva che avrebbe trovato  sulla sua strada gente incazzata dalle mille promesse mai mantenute di bonificare i vecchi siti che hanno ingravidato la terra con tonnellate di rifiuti tossici e  nocivi. Sapeva che sarebbero scesi in piazza anche i professionisti delle proteste, quelli che dal Global Forum di Napoli al G8 di Genova ritengono di avere ancora conti aperti da regolare con l’ex capo della polizia e non vedono l’ora di gettare benzina sul fuoco delle contestazioni antidiscariche. Quello che De Gennaro non sapeva, purtroppo, era il fatto che molte di quelle discariche che aveva proclamato di riaprire, erano indisponibili perché tecnicamente impossibili da riutilizzare se non al prezzo di un altro disastro ambientale. Lui, però, non lo sapeva, perché i suoi collaboratori al Commissariato gli hanno fornito dati un po’ vecchiotti, che dipingevano una situazione diversa da quella reale. Non diciamo che erano dati falsi quelli che avevano portato De Gennaro a formulare quel piano solo perché, con ogni probabilità, sarà la magistratura ad occuparsene. Certo, se De Gennaro non si fosse rinchiuso dentro il palazzo ed avesse dialogato con i professionisti e gli scienziati napoletani, se avesse chiesto un parere agli animatori delle Assise di Palazzo Marigliano, forse oggi avrebbe le idee meno confuse sull’emergenza rifiuti. Anche il superprefetto, purtroppo, arrivato a Napoli si è fatto consigliare da cattivi maestri, probabilmente anche lui avrà pensato che quel manipolo di scienziati come il tossicologo Marfella, il geologo Ortolani e padre Alex Zanotelli altro non sono che dei sovversivi pazzi e criminali. E invece no! Questi signori sono diventati, forse anche loro malgrado, una sorta di ultimo baluardo contro quanti da anni oramai hanno deciso di risolvere l’emergenza rifiuti distruggendo l’ambiente e inquinando l’unica vera ricchezza che c’è: l’acqua, le falde acquifere.

Quello che è certo, però, è che le discariche che De Gennaro riaprirà (Savignano Irpino, forse Terzigno) si riempiranno e ne occorreranno altre, e poi altre ancora. La Campania non avrà mai un attimo di respiro fino a quando non riuscirà a realizzare quello che in altre regioni d’Italia si definisce ciclo virtuoso dei rifiuti, ovvero, una raccolta differenziata da paese civile (sopra il 40 per cento, non il 10 per cento attuale della Campania), impianti industriali per il trattamento della spazzatura (quei centri dove i rifiuti diventano ecoballe ovvero combustibile da rifiuti), impiandi di compostaggio all’avanguardia e sistemi di incenerimento finale (termovalorizzatori) che trasformano la monnezza in energia elettrica. È questo il ciclo dei rifiuti che la Campania scelse quando nel 1998 approvò il piano dell’allora governatore Antonio Rastrelli, poi portato avanti da Antonio Bassolino. Un ciclo che si chiude con la termovalorizzazione, che allo stato è impossibile perché l’unico termovalorizzatore in via di ultimazione, quello di Acerra, non potrà essere acceso prima dell’inizio del 2009. Una data che fa capire quanto sia difficile, accidentata e lunga la strada che porta la Campania fuori dal tunnel dell’emergenza rifiuti.

Per far sì che la Campania si dotasse di questo normale ciclo industriale, negli ultimi 14 anni lo Stato ha sperperato 2 miliardi di euro. Uno spreco, ovviamente, che non tiene conto dei danni incalcolabili, in termini economici, che l’effetto monnezza scaricherà sul turismo, sull’export di prodotti agricoli e caseari e su tutto quello che all’estero e in Italia è il made in Campania. L’effetto “monnezza”, purtroppo, non terrà al riparo nessuna zona della regione Campania dal disastro economico perchè le immagini che raffigurano un pezzo d’Italia sommerso dalla spazzatura, almeno all’estero, non fanno più distinguere tra la meravigliosa costiera amalfitano-sorrentina sempre e comunque pulita e i comuni del casertano sull’orlo del disastro ambientale, non fa comprendere la differenza tra le belle isole del golfo come Capri, Ischia e Procida sempre pulite e i comuni della provincia di Napoli seppelliti sotto centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti.

Purtroppo, ed è un’amara constatazione non un esercizio di pessimismo, il peggio deve ancora venire. Infatti, a guardare con un pizzico di lucidità tra le righe di questa prevedibile calamità che si è abbattuta sulla Campania, all’orizzonte si vede solo nero. È il colore di una montagna di spazzatura, circa 7 milioni di tonnellate di ecoballe non a norma di legge (si tratta di monnezza indifferenziata impacchettata), accantonate in siti inidonei e spesso non autorizzati. È questa l’emergenza futura della Campania, queste balle (senza eco) di cui nessuno sa che cosa farsene, come recuperarle e dove bruciarle. Messe una sopra l’altra tutte queste balle di rifiuti prodotte finora formerebbero una base grande almeno quanto l’intera aera di Ground Zero e in altezza supererebbero i 4000 metri del monte Rosa. Una montagna di rifiuti che rappresenta l’eredità più pesante che grava sul futuro della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti in Campania.

                                                                                              Paolo Chiariello*

 

 

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