MARINI NON CE LA FA, SI VA VERSO ELEZIONI

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    ROMA – L’esploratore Franco Marini non ce la fa e le elezioni si avvicinano a passo di carica. Il presidente del Senato sale al Colle nel tardo pomeriggio, dopo la chiusura ufficiale delle consultazioni, e rimette il mandato ricevuto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano mercoledì scorso. Che la partita sia persa lo si capisce definitivamente ascoltando in mattinata le parole di Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. An e Fi non si smuovono dalla posizione iniziale, chiedono il voto subito. Il dialogo? Rimandato a dopo il verdetto delle urne.

    A Veltroni dunque non resta che prepararsi alla campagna elettorale. “Un’occasione persa”, commenta intravedendo lo sbocco inevitabile della crisi. Il giorno della verità è arrivato ed è andato secondo le previsioni: la maggioranza per riformare la legge elettorale non c’é. Non quella politica, l’unica che avrebbe accettato Franco Marini. A governicchi era, ha sempre detto e ridetto, indisponibile. La convinzione che uno spiraglio per un’intesa, seppur a tempo, ci potesse essere è durata in realtà una manciata di ore, da venerdì sera a sabato mattina. A far tornare il barometro verso il nuvolo sono state le parole del leader di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo che, uscendo dallo studio del presidente di Palazzo Madama, ha inviato un messaggio chiaro: senza un accordo, non resta che andare al voto. Una presa di posizione che ha reso molto più complessa, se non impossibile, la delicata mediazione di Gianni Letta, il consigliere di Berlusconi da sempre propenso alla ricerca di un’intesa. I tentativi di convincere Berlusconi a siglare un armistizio istituzionale si sono così arenati definitivamente. Oggi è la cronaca dunque di una sconfitta annunciata.

     Il Capo dello Stato prende atto e ringrazia comunque il presidente del Senato per l’alto senso di responsabilità. Ora il testimone passa di nuovo nelle sue mani. Sono ore di riflessione per il presidente della Repubblica, ma è molto probabile che tra domani e dopodomani decida di sciogliere le Camere. Il che vorrebbe dire andare alle urne tra fine marzo e la metà del mese successivo. Le date però in pole position sono il 6 o il 13 aprile. Ed è immaginabile che proprio l’organizzazione della tornata elettorale sia stata al centro del colloquio del Capo dello Stato, che stamane ha ricevuto anche il governatore di Bankitalia Mario Draghi, con il ministro dell’interno Giuliano Amato. L’arrivo del Governatore al Quirinale ha anche fatto immaginare in ambienti parlamentari un estremo tentativo di formare un governo tecnico per le riforme, con l’appoggio di alcuni settori del centrodestra. Scenario che è durato una manciata di ore. Sul tavolo dell’inquilino del Colle c’é più di un dossier aperto. Altra partita delicata, e intrecciata con la crisi di governo, è quella del referendum elettorale. Il rischio che il nuovo governo, dopo neanche due mesi dal suo insediamento, si debba confrontare con la consultazione è stato però allontano.

    Domani il Consiglio dei ministri indirà la consultazione popolare e così, con il successivo scioglimento del Parlamento, il referendum slitterà al 2009. La campagna elettorale è ormai alle porte. E, per Berlusconi, non è il caso di farne una tragedia. Il Cavaliere va alle consultazioni di Marini nonostante il lutto che lo ha colpito (con la perdita di mamma Rosa) e quando esce nel salone degli Specchi assicura di non avere alcuna intenzione di stringere un patto con il Pd di Walter Veltroni. L’ipotesi avanzata sulla prima pagina del Giornale, in un’articolo a firma del direttore, non è valida per l’oggi: “E’ un’utopia”, scandisce il Cavaliere davanti ai taccuini.

    Avanti tutta verso il voto anticipato, ripete; il tempo del dialogo verrà semmai dopo. Berlusconi infatti non nasconde, a chi gli ha parlato in queste ore, la convinzione che l’unica strada per fare le riforme indispensabili sia quella di dare vita nella prossima legislatura ad un’ampia convergenza delle forze politiche. Quasi a intendere una sorta di “Grosse Koalition” all’italiana. Il progetto però di strutturare un dialogo tra i due schieramenti, molto caro all’Udc di Pier Ferdinando Casini, lascia ora freddo il Partito democratico. La proposta di scrivere insieme le regole andava colta subito, ora, e non rinviata ad un indeterminato domani. E non si parli di coalizioni trasversali, perché sui programmi e i valori, chiarisce Veltroni, il Pd e il centrodestra sono e restano alternativi.





























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