Inizia la II° edizione di Ravello LAB

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“L’economia della cultura nell’Europa a 27”


II edizione di Ravello LAB


 


Da domani e fino al 26 nella cittadina costiera il laboratorio


permanente su cultura e sviluppo

 

Apparteniamo ad una cultura europea condivisa: lo dice, secondo Eurobarometro, il 77% dei cittadini della Ue. La cultura rivendica un ruolo da protagonista nello sviluppo dell’Europa

 

 

Quale ruolo per la cultura nell’Europa dei 27? Quali le politiche attive per far sì che la cultura divenga il vero motore trainante della crescita del “vecchio continente”?

Direttori di musei e di teatri, esponenti del mondo della cultura, delle università, politici e amministratori, italiani ed europei si riuniscono da mercoledì 24 ottobre per la seconda edizione di Ravello Lab – Colloqui Internazionali. L’orientamento è unanime: occorre potenziare gli interventi, sia pubblici che privati, per far sì che la cultura conquisti nuovi e maggiori spazi, divenendo così uno dei fattori trainanti dello sviluppo, sociale ed economico, in Europa.

Ravello Lab, laboratorio internazionale permanente su cultura e sviluppo, presentato stamane presso il Ministero per i Beni e le Attività culturali, intende proporsi come un interlocutore rappresentativo degli operatori e della società civile in grado di sollecitare l’attenzione di cittadini e istituzioni e avviare un dialogo operativo con governi nazionali e organismi europei su politiche e strategie per la cultura. Il tema di quest’anno è appunto “L’economia della cultura nell’Europa a 27”. Il progetto è promosso da Federculture, Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali e Formez, con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Ministero degli Affari Esteri e si svolge sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio del Segretario Generale del Consiglio d’Europa, del Commissario europeo alla Cultura, Jàn Figel e dell’UNESCO.

Ma quale posto occupa la cultura in Europa? Se la grande maggioranza (77%) dei cittadini europei dichiara che la cultura riveste un ruolo importante nella loro vita, con in testa la Polonia (92%), Cipro (91%), e l’Italia al 4° posto (88%), sono senz’altro gli svedesi i più creativi e coinvolti in attività culturali o artistiche. Battono infatti di gran lunga tutti gli altri europei nella pratica del canto, della danza, delle arti figurative, della musica.

E’ il quadro che emerge da una recente indagine dell’Eurobarometro. Così apprendiamo che nell’Europa a 27 la cultura viene identificata con le arti (pittura, architettura, arte figurativa) dal 39% dei cittadini, con l’insieme di tradizioni, lingue e costumi dal 24%, con letteratura e poesia da un altro 24%. Seguono educazione (20%), ricerca e scienza (18%); storia e musei sono invece in fondo alla classifica rispettivamente con il 13% e l’11% delle risposte. In particolare la cultura viene identificata genericamente con le arti dai paesi scandinavi, Svezia, Finlandia, Danimarca, nei quali tale risposta viene scelta dal 75% dei cittadini. Colpisce invece il dato italiano: tra i nostri connazionali la cultura è innanzitutto educazione e famiglia (39%), e in secondo luogo scienza e ricerca (35%).

Al di là delle affermazioni, gli europei quanto sono coinvolti in prima persona nelle attività culturali?

Riguardo la fruizione, nei paesi dell’Europa a 27 emerge che il 78% dei cittadini almeno una volta nell’ultimo anno ha seguito programmi culturali in TV o alla radio, mentre il 71% ha letto un libro. Poco più della metà (54%) dichiara di aver visitato monumenti o di essere andato al cinema (51%). Ma quello che sembra un discreto impegno culturale scende abbastanza drasticamente nel momento in cui si chiede se si sono svolte le stesse attività culturali più di cinque volte in un anno. In questo secondo caso le percentuali di “consumo culturale” diventano il 46% per i programmi culturali in TV o alla radio, il 36% per la lettura, 17% per il cinema e il 12% per le visite a monumenti. Altrettanto netta la diminuzione del dato sulle visite a musei e gallerie che sono praticate per il 41% degli intervistati almeno una volta l’anno ma solo per il 7% più di cinque volte l’anno. Si evidenzia, quindi, un ampio divario tra i consumatori di cultura occasionali e quelli assidui.

Ma, nell’era della globalizzazione e della società multiculturale ha ancora senso per i cittadini del vecchio continente identificarsi nella “cultura europea”?

Sembrerebbe di sì. Disposti a conoscersi l’un l’altro gli europei si sentono comunque accomunati da un’identità che proviene da un passato condiviso. L’indagine di Eurobarometro segnala che tra i cittadini della Ue viene pressoché universalmente riconosciuta l’importanza dei contatti e della reciproca conoscenza fra culture diverse e gli europei dichiarano che possono essere azioni utili ad incrementarla: lo sviluppo dell’insegnamento delle lingue straniere nelle scuole (56%), il sostegno economico alla conservazione del patrimonio artistico-culturale europeo (27%), la scelta annuale di una Capitale europea della Cultura (18%) o il sostegno alla distribuzione di film europei (7%).

Allo stesso tempo, la ricchezza culturale dell’Europa deriva dalla lunga storia condivisa dalle nazioni del continente per ben il 77% dei cittadini. Si riconosce, quindi, un’identità culturale comune, che può essere però minacciata dalla globalizzazione rispetto alla quale secondo la maggioranza degli europei (53%) bisognerebbe prendere delle misure di “difesa”.

Altrettanto interessante è il ruolo che viene attribuito alle istituzioni, nazionali e sopranazionali. Gli attori preposti alle attività di sviluppo delle politiche culturali sono, infatti, per i cittadini della UE i soggetti istituzionali, a cominciare dai governi nazionali (50%) e dalle istituzioni europee (44%).

 

Da questo contesto emerge che la sfida per l’Europa sarà, quindi, quella di far diventare la creatività e la cultura temi prioritari nell’agenda dei Paesi membri. Se l’Europa non saprà cogliere questa sfida non solo rischia di perdere la partita dal punto di vista economico, ma finirà anche per rinunciare alla qualità del proprio sviluppo, con gravi ripercussioni sia sul fronte della coesione interna che delle relazioni esterne.

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