Napoli. Giuseppe Panariello. foto

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    L’attuale momento grafico-pittorico di Giuseppe Panariello, validissimo artista, si presenta estremamente significativo, perché, al di là del colore, imbeve corde e/o altri supporti di grafite e di oro.

    La sua bravura pittorica è stata nel tempo riconosciuta da diversi critici di valore, tra cui Vitaliano Corbi e Massimo Bignardi, che hanno scritto per suoi cataloghi monografici e su vari giornali; ma, inaspettatamente, è dimenticato su alcuni loro libri di carattere storico.

    Molte volte si opera e si pensa di suggerire sentieri e di lasciare una traccia, ma, poi, talvolta, altre considerazioni segnano ed optano per un’immotivata omissione.

    Giuseppe Panariello è un nome, comunque, apprezzato dai tempi di Raffaele Formisano, mitico gallerista della “Galleria d’Arte di San Carlo”, di Via Chiatamone a Napoli, e l’impressionante elenco delle testimonianze critiche suffraga il nostro pensiero e rilievo.

    Le elaborazioni determinate di Giuseppe Panariello contengono sensi e segmenti di una declinazione che ci fa pensare a Mark Rothko.

    I supporti, poveri, e la materia grafico-pittorica, scelta con acuta cognizione per una disamina dei labirinti dell’anima, sommano composizioni senza compiacimenti, ma d’impatto.

    Ma, oltre alla materia plasmata e/o stesa sui supporti adottati, anche applicazioni calibrate dalla sua mano felice definiscono una “cifra artistica”, ormai certa e classificabile.

    Distretti, profili, venature di ipotetiche quinte teatrali stringono prospettive ed affiorano raffronti e rimandi inattesi ed il gioco ludico delle coloriture fa scattare aperture di campiture astratte.

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