Fausto sfrecciò sul lungomare davanti a tutti e battè Bartali

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Fausto sfrecciò sul lungomare davanti a tutti e battè Bartali



GIAN PAOLO PORRECA Cominciava quando non c’era forse nessuno di noi, la lunga storia d’amore fra il Giro d’Italia e Salerno, che oggi si rinnova. Correva l’anno 1913, la corsa rosa compiva solo 5 anni e presentava ancora, per l’ultima volta, una classifica finale a punti e non a tempi. Si arrivava, allora, a Salerno per la prima volta, in una Roma-Capua-Salerno, vinta da Giuseppe Azzini, davanti a Carlo Oriani, che poi il Giro avrebbe vinto, ed a Giuseppe Santhià: 341 chilometri, di strade sconnesse, rifornimenti impropri, fatiche virtuose, e non ditelo ai ciclisti di oggi. E Salerno avrebbe successivamente onorato, una decina di anni dopo, lo strapotere di Alfredo Binda, primo nella Cosenza-Salerno del ’29, e maglia rosa in quello che sarebbe stato il suo quarto Giro vinto…Mentre l’anno dopo, ad affermarsi in una analoga tappa, fu Allegro Grandi, davanti a Di Paco e Gremo: forse solo perchè in quel Giro del ’30 a Binda, colpevole di riconosciuta superiorità, non fu concesso il diritto di partecipare. L’anno eccellente di una Salerno in chiave ciclistica fu però di certo il 1949, quando a vincere sul lungomare fu Fausto Coppi, in volata davanti ad Adolfo Leoni, Gino Bartali e Renzo Soldani: un Coppi, con la maglia Bianchi, che si accingeva a conquistare non solo il suo quarto Giro d’ Italia, ma a diventare nel corso della stagione il primo atleta della storia a vincere in uno stesso anno Giro e Tour. Traguardo di grande suggestione, Salerno avrebbe poi meritato due firme straniere di rilievo assoluto: nel 1956, lo spagnolo Miguel Poblet, ancora con la divisa Girardengo e prima di diventare il leader della Ignis del commendator Borghi, quello esplosivo velocista iberico di cui l’odierno Oscar Freire è un intrigante epigono, e nel 1967 il tedesco Rudy Altig, il potente passista tedesco compagno di squadra, nella Salvarani, di Felice Gimondi. Salerno e la sua provincia avrebbero poi conosciuto, negli anni a venire, sedi di arrivo e di partenza diverse: come Sapri, nel ’74, con Roger De Vlaeminck primo, davanti a Bruno Vicino ed a Pierino Gavazzi o Padula, l’anno dopo, con la semitappa che registrava la vittoria di uno spagnolo di ritorno, Domingo Perurena, su Chinetti e Bellini. Ma un momento da incorniciare, nella saga generosa del Giro d’Italia visto dalla nostra parziale prospettiva, sarebbe certo stato il successo di Giuseppe Saronni, a Ravello, nel 1978. Su quei tornanti da AMALFI a Ravello, disegnati sui pedali con il tratto rotondo di un Giotto, Saronni, a solo 21 anni, dominava il plotoncino dei migliori – da Baronchelli a Vandi, da De Muynck a Moser – con la serenità radiosa di un predestinato: ed il suo arrivo sembrava annunciato, a voce, dai tifosi, da una curva all’altra, dal basso in alto. Nel 1983, per ribadire la sintonia del campione lombardo – oggi team manager della Lampre di Cunego – con il litorale salernitano, Saronni avrebbe conquistato la maglia rosa proprio al termine di quella Campitello Matese-Salerno vinta da un altro campione del nostro ciclismo, Moreno Argentin, davanti ad Emanuele Bombini: una maglia rosa, quella, che Saronni avrebbe portato fino al traguardo finale di Udine. E così, sui saliscendi della geografia locale e della memoria, lì dove le certezze non sono vulnerabili, sfrecciano ancora Giovanni Mantovani, primo a Palinuro nell ’80, Urs Freuler ed Erik Pedersen, rispettivamente vincitori ad Agropoli e Cava dei Tirreni, nello stesso ’84. O Stefano Allocchio, un velocista che veniva dalla pista, che a Salerno nel Giro ’85 avrebbe superato Saronni e Freuler. E quel Giovanni Fidanza, che vinse a Sala Consilina, nel Giro ’90, prima del Vesuvio, dinanzi ad una rosa di stranieri: Fignon, Mottet, Ugrumov, Moreda. A Salerno, infine, il Giro si sarebbe fermato un’ultima volta, prima della partenza di domani, nel ’95: con l’applauso dovuto ad uno straniero che parlava già allora italiano, il danese di casa nel Chianti Rolf Sorensen, primo davanti a Frattini e Simon. Ma ancora nella provincia di Salerno, con l’arrivo del Giro a Cava dei Tirreni del ’97, la corsa rosa vi avrebbe impresso una sua estrema immagine di emozione particolare. Allora, vinse Mario Manzoni, dopo una fortunata fuga del mattino, su Giraldi e Molinari. Ma l’epopea del dolore, così naturalmente intricata con quella della gloria, in specie per il ciclismo, ci ridesta ancora il batticuore della caduta rovinosa di Marco Pantani, nella discesa del Chiunzi, ed il suo calvario, con la processione dei suoi gregari a fianco, Conti, Siboni Podenzana, fino al traguardo. Fu l’ultima caduta, il 24 maggio ’97, ma questo Marco non poteva saperlo ancora, da cui si sarebbe un giorno di fatto rialzato.

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