Alberto Bevilacqua. Il giallo della morte in clinica, autorizzata l’autopsia

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    Michela Macaluso, compagna da dieci anni dello scrittore Alberto Bevilacqua, ricoverato dall’ottobre scorso nella casa di cura Villa Mafalda, a Roma, dove è morto ieri, non aveva titolo per chiedere e ottenere il trasferimento del suo compagno da una clinica privata ad una struttura pubblica, ma era titolata per ricevere la parcella della degenza in clinica: 640mila euro per tre mesi. La Mancuso combatteva da gennaio scorso per far trasferire il romanziere al San Filippo Neri o allo Spallanzani, strutture ospedaliere attrezzate per affrontare l’infezione alle vie respiratorie contratta durante la degenza a Villa Mafalda. Una sua denuncia alla magistratura romana («È ostaggio della clinica») a gennaio, aveva fatto aprire un’inchiesta per lesioni colpose. L’inchiesta, a oggi, non è stata ancora archiviata. A seguito del decesso dello scrittore i magistrati romani ne hanno ora disposto l’autopsia. E ieri non sono mancate nuove polemiche. E parole pesanti. «Vogliamo fare chiarezza su questa morte – ha detto infatti l’avvocato Giuseppe Zaccaria, legale di Michela Macaluso – potrebbero emergere gli estremi per l’accusa di omicidio colposo». E proprio ieri gli avvocati della Macaluso – protagonista di numerosi film della commedia erotica all’italiana con il nome di Michela Miti – avevano ottenuto dal pm Elena Neri, del pool delle colpe professionali, l’autorizzazione per una perizia di parte. La controversia tra Michela Macaluso e la sorella dello scrittore, Anna, fermamente contraria al trasferimento del fratello in ospedale, andava avanti dall’inizio dell’anno. «Questa casa di cura era diventata come una famiglia per lui – ha dichiarato Anna Bevilacqua – Vorrei celebrare qui i funerali e poi portarlo nella tomba di famiglia, a Parma». Una famiglia costosa, se è vero che la media della retta per la degenza, come è stato scritto, era di circa tremila euro giornalieri. Intanto, occorrerà attenderei tempi dell’autorità giudiziaria e l’autopsia per stabilire la data dei funerali. Nell’inchiesta della Procura non appaiono per ora indagati. La casa di cura si difende sostenendo che lo scrittore «era costantemente monitorato da una équipe medica. Già nell’aprile scorso una perizia sullo stato di salute dello scrittore accertava che il paziente era vivo grazie alle nostre cure». Lucido e cosciente, secondo il direttore e presidente della clinica, Paolo Barillari; altalenante secondo Michela Macaluso. Violazione dei protocolli scientifici, che prevedono il trasferimento del paziente in strutture pubbliche meglio attrezzate, secondo l’esposto di quest’ultima. Nessuna violazione del protocollo, secondo Villa Mafalda. Il problema è che, non essendo regolarmente sposata con lo scrittore, Michela non ha mai avuto l’autorità per ottenere il trasferimento del compagno in altra struttura. Non è stata mai la sua famiglia, insomma. In questo senso, le dichiarazioni della clinica secondo cui «il paziente si trova ricoverato per espresso desiderio della famiglia», ossia la sorella Anna, trovano conferma nella legge italiana, che non riconosce diritti alle cosiddette«coppie di fatto». C’è da aggiungere che il «caso Bevilacqua» non è l’unica inchiesta che la Procura di Roma ha aperto recentemente sulla clinica Villa Mafalda: settemila cartelle, tra il 2009 e il 2013, sono state sequestrate nello scorso marzo per verificare l’eventuale falsificazione delle diagnosi. (Maria Tiziana Lemme – Il Mattino)

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