29/8/13 CRONACA ROMANZATA DI UN REGISTA IN CERCA DI COSTUMI SCENICI.

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    29/8/13 CRONACA ROMANZATA DI UN REGISTA IN CERCA DI COSTUMI SCENICI.   

    Sono le 10:30 di un caldo mattino, coda della  torrida estate. Aspetto un autobus che mi porti a p.le Tecchio. Dopo 40 minuti di inutile attesa, mi chiedo se prendere un taxi: ma si! Prendo il taxi, giacca sulla spalla trattenuta dal pollice e vi a verso il parcheggio più vicino. Chi è primo? Chiedo, Un uomo mi stringe la mano, la stringo ma non lo conosco, mi indica la vettura da prendere. Chiedo all’autista di accompagnarmi alla stazione di Mergellina, ma lungo il tragitto, cambio la destinazione.  Mi accompagni nei pressi di P.zza Mercato. Percorrendo via Marina gli spiego che in quella zona c’erano i fondaci di Napoli, abbattuti dopo la più grande epidemie di colera del 1884 e che furono abbattuti nel 1888 e morirono 7000 persone. Non c’è tempo per raccontargli tutto, perché siamo giunti a destinazione. Pago e scendo in P. Mercato. Il sole che stamane sembrava giocare a nascondino è  diventato bollente, non c’è riparo. Mi fermo brevemente davanti alla chiesa del Carmine; l’ingresso è chiuso. Sotto al cancello, la  soglia di piperno levigata dal tempo, porta la mia memoria storica al pescivendolo Masaniello  (Tommaso Aniello D’Amalfi).

     

    (Ne sintetizzo la storia) Il 7 luglio 1647in piazza Mercato, la scintilla scoccò con l’istituzione di un nuovo balzello su frutta e verdura, perché il commercio al minuto era controllato e taglieggiato dalle gabelle. La sommossa fu organizzata dall’ottantenne Giulio Genoino, che, tramite un suo stretto seguace, aveva conosciuto Masaniello e deciso di farne il braccio operativo del suo piano rivoluzionario. L’umile pescatore di Amalfi, da un giorno all’altro si vide proiettato verso il governo della città, perse il senso della realtà, avviando una serie di epurazioni dei suoi avversari ed assunse comportamenti illiberali, stravaganti ed arroganti. Il 16 luglio 1647 – a soli 27 anni di età – Masaniello venne assassinato nel monastero del Carmine di Napoli, dove aveva tentato di rifugiarsi. La sua testa tagliata fu consegnata da un popolo esultante al viceré. Il giorno seguente un nuovo aumento del pane determinò una presa di coscienza da parte della gente che recuperò il corpo, lo rivestì con la divisa di capitano e gli diede sepoltura solenne.

     

    Il sole scotta, recito un requiem e mi infilo in quei vicoli che dividono piazza del Carmine da quelle stradine che furono parte dei fondaci dove non entra mai il sole e che non furono abbattute perché anche allora gli imbrogli erano di casa. Via Lavinaio, sono spaesato, indosso una camicia a mezze maniche  leggerissima fuori dai pantaloni, dono di un amico americano che la denominò  “svolazzina”.  un fresco venticello mi rinfresca. Uomini in tute gialle sono fermi davanti a una bottega di riparazioni gomme. Chiedo, scusate dov’è il vico Parrettieri. Con cortesia mi indica la prima traversa a sinistra, proseguite per 200 metri e poi chiedete. C’è ombra e procedo speditamente. Molti negozi sono ancora chiusi per le ferie. Entro in un negozio e chiedo, mi viene risposto garbatamente “E’ lì a 100 metri”, procedo ma sono incerto, non c’è targa indicativa. Alla mia sinistra un bar, chiedo ad una donna che si gode il fresco seduta all’esterno; con quel simpatico popolare lessico napoletano, mi risponde: “E’ chillu vico là”. All’angolo una targa indica vico Parrettieri, è stretto e triste, non vi arriva mai il sole. A centro, una scritta E…cappelli. Finalmente ci sono arrivato! L’ingresso è angusto ma all’interno è più ampio, ovunque cappelli di ogni genere. Un signore di mezza età, è seduto lateralmente; gli dico: “buongiorno, sono quella persona che ha telefonato stamane per il cappello a cilindro”. “Ah si, “buongiorno” risponde, si alza ed apre uno scatolone dal quale estrae due cappelli, uno lucido e l’altro matto. Scelgo quello matto. Gli spiego a cosa mi serve,  dialoghiamo a lungo cordialmente come solo alcuni napoletani sanno fare. Mi spiega che i suoi antenati commerciavano cappelli già nel 1800, ribatto, allora dai tempi dei fondaci? No mi risponde, iniziarono ad Avellino; divaghiamo su vari argomenti, infila il cappello in una busta e me lo porge: pago,  “grazie, ci vediamo”, mi porge la mano, la stringo, lo saluto ed esco. Infilo il vicolo di fronte, vado ramingo e penso: chissà in questo negozio cosa c’era e in quest’altro? Mi ritrovo nei pressi di piazza Mercato. Anche qui molti negozi sono ancora chiusi. Entro in uno aperto e chiedo: “scusate dove posso trovare dei fiori artificiali? “Subito dietro l’angolo” mi viene risposto.  Ci arrivo quasi subito, fiori finti parecchi, due signore parlano e ad un uomo, forse il proprietario, chiedo: “avete una gardenia?” “Si venga con me” Mi guida attraverso una scala di metallo a due rampe e mi conduce in uno spazio molto largo, mi sembra di essere in un campo fiorito, ma sono fiori che non profumano, sono fiori senza vita che sembrano veri. Mi viene mostrato un mazzetto di gardenie bianche. “Ma a me ne serve una” gli dico, la sfila e me la porge. Si, sono convinto di aver trovato quella che mi occorre. Mi illustra come può essere attaccata all’abito di scena. Molta cordialità anche qui! Pago, la metto nel fondo del  cappello a cilindro,  saluto e infilo l’uscio. Il sole di mezzogiorno batte ancora forte e mi sfilo la giacca, resto solo con la svolazzina. Mi fermo nella piazza Mercato e le memorie storiche mi riportano alle tante esecuzioni capitali avvenute in quella piazza:  Corradino di Svevia, Federico I di Baden Baden fino a quelle dei giacobini . Il luogo resta celebre anche perchè vi ebbe origine la rivoluzione di Masaniello.

     

    Guardo l’orologio, sono le 12:20, si è fatto tardi e mi incammino verso piazza Guglielmo Pepe sperando di trovare un mezzo di trasporto che mi conduca a piazza Municipio.  Passa un tram e lo prendo a volo. Sono le 12:35 come risulta dal biglietto Unico marcato. Scendo nei pressi  della piazza, è quasi ora di pranzo; a casa sono solo.  Che faccio? Mi chiedo. Ora vado a  colazione da Mc Donald e mi incammino verso il locale. Vi giungo sudato nonostante avevo solo la “svolazzina” e la giacca sul braccio. Il locale è traboccante di clienti, particolarmente giovani, le operatrici sono al lavoro e la cucina che si intravede è in piena attività. Quattro file di clienti avanzano lentamente verso le operatrici. Attendere, attendere. Mi piazzo pazientemente in fila.  Davanti a me 4 ragazzi in T-shirt e pantaloncini al ginocchio; subito dietro due coppie di ragazzi e ragazze. Due altri ragazzi, mi passano di fianco con i vassoi in mano, quello davanti è bello, alto, simpatico e solare, veste una camicia bianca su un pantalone corto beje, l’altro, leggermente più basso, ha capelli neri e un ciuffo gli cade sulla fronte;  indossa una t-shirt bianca con la scritta: “For ever”su  pantaloni corti rossi. Forse sono amici stretti,  molto stretti, si fermano alla mia altezza quello bruno gli chiede: “e il gelato”? “Dopo” risponde il biondo.  A circa 15 minuti, giunge il mio turno. Ordino due cheese burger, delle patatine fritte, una mezza minerale. Il tutto mi viene servito in un vassoio al costo di euro 4,60. Scendo nella sala inferiore abbastanza affollata e cerco un posto al riparo dall’aria condizionata.  E’ libero solo il tavolino di fianco a quei due ragazzi che mi erano apparsi amici stretti. Al tavolino alla mia sinistra, un ragazzo e una ragazza; parlottano e mangiano. Di fronte tre tavolini uniti ospitano sei ragazze sole. Un brusio nell’aria si propaga in sala.  Ho fame e inizio a scartocciare uno dei due panini, un sorso d’acqua e il cheese burger va giù velocemente, accompagnato da una manciata di patatine.  I due ragazzi  alla mia destra,  parlano ammiccandosi, il biondo in un italiano che non mi sembra di madre lingua domanda all’altro: Faccio io? E gli scartoccia il panino porgendoglielo.  Mentre ambedue mangiano, quello con il  ciuffo sulla fronte, si solleva dalla seduta e sussurra qualcosa all’orecchio del biondo. Odo solo la risposta: “Dopo”. Cerco nelle tasche una mezza pasticca medicinale ma stento a trovarla. Quando alzo lo sguardo, davanti a me in attesa, una ragazzina che  mi appare straniera  mi fa cenno se posso darle qualcosa. Le do la sola moneta che ho in tasca, circa un euro;  passa ad altri tavoli e fa lo stesso. Attacco il mio secondo Burger e divoro anche quello sorseggiando acqua.  La ragazza e il ragazzo alla mia sinistra, continuano a parlare tra loro; sembrano discutere fatti importanti. Il ragazzo bruno  alla mia destra, bisbiglia al biondo ancora qualcosa, sento rispondere “Dopo”.  Ho terminato la colazione, ho bisogno  di uscire, di aria.  Raccatto tutto e butto nel recipiente apposito carte e residui, un inserviente mi aiuta a smaltire. Risalgo le scale e con sorpresa, vedo che dall’ingresso al banco, vi sono ancora quattro file di clienti in attesa. Infilo l’uscio e attraverso i giardinetti prospicienti il palazzo del Comune. Un signore attempato con una giovane, su una panchina mangiano disinvolti un panino; mi è sembrato essere a New York nell’ora di colazione, quando dirigenti e impiegati di uffici in giacca e cravatta, mangiano all’aperto senza preoccuparsi affatto di cosa possa pensare la gente. Proseguo in via Verdi, all’incrocio di via Santa Brigida  mi fermo un attimo e guardo alla mia sinistra verso via San Carlo. Lì c’era Buoniscrontro, una specie di tavola calda –rosticceria come Ursini in Piazza  San Ferdinando. Era frequentata da artisti, subrettine e compositori che venivano dal Salone Margherita.  In quei locali oggi c’è una banca. Imbocco Via Santa Brigida, sul marciapiede,  una panchina di pietra alloggia  un clochard disteso che dorme al sole. Fa caldo, neanche la svolazzina mi ferma il sudore.  Giungo davanti al Bar Pippone,  sulle saracinesche abbassate c’è un cartello: “Si fitta”. Anche questo storico bar è scomparso. Subito dopo gli scalini che segnano l’ingresso alla Galleria Umberto. Un flash di ricordi mi riporta alla memoria il cinema Santa Brigida, divenuto poi cinema Colosseo. In Galleria, il cinema Umberto con due sale la A e la B, dove  con un gioco di specchi si proiettava lo stesso film. Ora c’è un bar. L’ingresso, alla  crociera inferiore che attraverso alcuni gradini, faceva accedere al celebre teatro Salone Margherita è chiuso.   Ricordi, ricordi, ricordi! Proseguo, la chiesa di Santa Brigida, data l’ora è chiusa,  giungo davanti al noto ristorante da Ciro a Santa Brigida,  mi fermo qualche attimo, mi sollecita ricordi perche’ qualche volta, dopo lo spettacolo, ci andavo a cenare con Eduardo De Filippo ed altri/e artisti della sua compagnia.  L’esterno del ristorante è stato ammodernato; l’interno non so. Più avanti cerco l’orologeria Wyss, mio padre vi comprò nel 1939 il mio primo orologio da polso, era un “Medana”, aveva le sfere e il quadrante fosforescenti. (Come mi sentivo importante quando avevo al polso quell’orologio).  Durante la guerra, si fermò molte volte e tante volte lo feci riparare. E’ un ricordo e lo conservo ancora gelosamente, ha una sola sfera fosforescente, l’altra è nera; forse durante la guerra, quella  di ricambio fosforescente non era reperibile. Attraverso via Roma e giungo a Piazzetta Augusteo. All’angolo, la tavola calda-rosticceria Luise; li c’era il negozio della “Voce del padrone” ; mio padre nel 1939 vi acquistò il nostro primo radiogrammofono. Davanti alla stazione della funicolare, durante l’ultima  guerra, c’era l’ingresso di un ricovero antiaereo, ora ci sono i tavolini di un bar. Una coppia di giovani si abbracciano e baciano incuranti della gente che è intorno. Arrivo nell’anti ingresso della stazione, sulla destra c’era un fioraio che nelle vetrine aveva uccellini vivi in libertà. Sparito anche quello.  La sala di attesa della funicolare è vuota, entro e mi siedo su una delle panche. Dopo poco arrivano le carrozze; sono semivuote; mi seggo;  meno male, è una corsa diretta, dopo pochi minuti, mi scarica a piazza Fuga. Fa meno caldo, di giu’ Napoli. Nella piazza, alcuni giovani e giovanissimi, schiamazzano, ridono, si danno pacche sulle mani e sulle spalle,  gesti in relazione ai loro anni verdi. Attraverso la Galleria e mi ritrovo in piazza Vanvitelli davanti  ai bar Bellavia  e  Dolce Vita. Mi fermo qualche minuto. Sono passati solo quattro mesi e mi sembra che siano trascorsi anni luce da quando  a un tavolino del bar,  con Aldo De Gioia, buttammo le basi per lo spettacolo “Quanno tramonta ‘o sole”. Nelle salette superiori dei due bar, mi sono incontrato più volte con protagonisti dei miei spettacoli. Alcuni incontri si ripeteranno, forse altri no! Sento il bisogno di docce, virtualmente e realmente purificanti.   Ho la sensazione di riprendermi da un terribile incubo, ma non torno coi piedi a terra, devo volerlo, non posso aggrapparmi al nulla, sarò o non sarò più lo stesso!

     

    (parti dallo scettico blues)

     

    Cosa m’importa se il mondo
    mi rese glacial
    se di ogni cosa nel fondo
    non trovo che il mal
    Cosa m’importa se il mondo
    spezzò l’illusion,
    guardo e sogghigno giocondo
    io scettico son,
    senza lusinghe pel mondo
    ramingo io vo
    e me ne rido beffando il destino
    così.

     

     Mi scuote la melodia del cellulare che annuncia  una telefonata in arrivo, mentre rispondo mi sposto in un posto ombreggiato. “nonno sono io, voglio rassicurarti, sto bene, sono in aeroporto. L’aereo è in ritardo. Ti chiamo da Londra, un bacio e attacca. Quella telefonata mi ha riportato di colpo ad un affetto mai venuto meno, mai calpestato. Mi chiedo,  allora il vero “ti voglio bene esiste ancora?”.  

     

    Mi incammino per via Scarlatti e giungo davanti al bar Alexander,  altro luogo testimone di incontri con protagonisti dei miei spettacoli. Ordino un Martini americano, mi viene servito con olive;  ricordo dei miei tempi in America. Lo sorseggio ed esco, diretto alla fermata degli autobus quasi di fronte. C’è posto, mi seggo in attesa, sono le 14 circa, nonostante l’ora di pranzo, diversi viandanti. Tra questi; “guagliune e guaglione”. Molti di loro seguono la moda di quest’estate; i ragazzi indossano pantaloni corti al ginocchio e le  ragazze mini pantaloncini , alcuni a taglio di slip che sembrano dire: “Eccomi sono qui, prendimi”. A me? No!  Ai tanti bei giovani  che vivono a Napoli.

     

    Finalmente arriva  l’autobus e in una manciata di minuti giungo nei pressi della mia residenza. A casa, non c’e’ alcuno, sono solo, mi accoglie il fresco delle mura; lascio la  busta con gli acquisti nell’ingresso e vado dritto nel bagno, mi sfilo la svolazzina e il resto, apro la doccia e un getto di acqua  mi avvolge. Ah, che bello!  La melodia del cellulare  mi annuncia una nuova chiamata, fermo la doccia e allungo il braccio sino al mobile,  E’una cara amica che conosce la mia solitudine, mi chiede se può venire a tenermi  compagnia; spontanea la risposta: “Si! Dopo!”

     

     Cosa accadrà in seguito? Non lo so! Alla prossima!

     

    Nota:  Questa mattina nello zona Mercato ho incontrato persone di grande cortesia e affabilità. E’ vero che a Napoli c’è una larga fascia di gentaccia e delinquenti, ma   per il mondo  ho conosciuto di peggio. Anche se tra i napoletani albergano molti delinquenti di ogni genere, esiste da sempre anche il napoletano cortese, che sa apprezzare, essere Amico ed amare. Il sangue napoletano ha dato alla cultura grandi artisti, dalla canzone, all’arte, abili artigiani  le cui opere sono richieste in tutto il mondo. Napoli   ha conosciuto ogni genere di sofferenze attraverso le diverse  dominazioni, le pestilenze,  i terremoti, le eruzioni, le rivoluzioni e spesso l’ignoranza  delle istituzioni. Quella generazione ultima testimone che è sopravvissuta  soffrendo  l’ultimo conflitto attraverso la fame, il contrabbando, le paure, i bombardamenti con tutte le connesse distruzioni e le battaglie in Città, cosa fece dopo? quello che ha sempre fatto! Fu pronto a ricominciare punto e daccapo.

    Pertanto non si dica, il napoletano così, il napoletano colì, si impari a conoscere, capire ed apprezzare il cuore del napoletano verace! Se si è sinceri con lui,  apre il cuore e la tasca,  dà tutto e più di quanto gli si da,  mai farsene un nemico, perché ti cancella dalla sua vita e può anche distruggerti!

     

    Le mie lunghe peregrinazioni estere, alla fine, mi hanno riportato  a Napoli, “pecchè luntano ‘a Napule nun se po’ stà!” 

     

    Alberto Del Grosso

    Giornalista Garante del Lettore

    del giornale Positanonews 

     

           

     

      

     

        

     

     

     

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