SE AD AMALFI RITORNASSE IL MECENATISMO DI DOGI E MERCANTI…

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    Nel corso del weekend Amalfi riscopre, esalta e spettacolarizza nel fasto di un Corteo Storico,  una delle più belle pagine della sua storia prestigiosa: IL CAPODANNO BIZANTINO. L’evento si concluderà, domenica pomeriggio/sera, con la presentazione al popolo, dal sagrato del Duomo, del Magister Civitatis Amalfie. L’insignito del prestigioso riconoscimento sarà quest’anno il prof. Domenico DE MASI, sociologo noto ed apprezzato, che ha speso intelligenza e professionalità nella e per la Costa d’Amalfi. Prendo spunto dall’avvenimento per riproporre alcune riflessioni che scrissi per questo giornale nella lontana primavera del 2010. Credo che abbiano ancora una loro validità ed attualità e si attaglino al presente anche se i soggetti istituzionali ed imprenditoriali sono in parte cambiati.

     

     

     

    Gaio Clinio Mecenate fu uomo di grande potere e di profonda cultura. Ed è passato alla storia come autorevole ed influente consigliere di Ottaviano Augusto, ma anche e, forse, sopratutto come munifico protettore di artisti e poeti,Virgilio, Orazio e Properzio, tra gli altri. Ed è diventato,così, capostipite e simbolo della faccia colta del potere che da lui ha preso il nome di mecenatismo, appunto.

     

    L’Italia dei Comuni e delle Signorie ne fu uno splendido esempio con i Medici a Firenze, i Gonzaga a Ferrara, i Montefeltro ad Urbino, tanto per citare i più autorevoli e rappresentativi. Ed oggi quelle città vantano ed espongono monumenti che testimoniano lo splendore del passato e ne fanno le fortune turistiche, e non solo, del presente.

     

    L’Italia Meridionale non ha vissuto quella straordinaria stagione e questa è una delle cause dell’assenza di una borghesia del lavoro, dotata di spirito di intraprendenza e con la voglia del rischio di competere sui mercati. Qui da noi il periodo coevo fu caratterizzato dal feudalesimo e dal baronaggio, con rari esempi di governo illuminato e tanti di strapotere all’insegna dell’arroganza e dello sfruttamento rapace con una schiera di cortigiani incolti, quasi sempre, famelici e truffaldini, spesso.

     

    Eppure intorno al Mille ci fu una eccezione, tanto rara quanto straordinaria: La Repubblica Marinara di Amalfi. Dal suo minuscolo porto partirono alla conquista dell’una e dell’altra sponda del Mediterraneo schiere di mercanti animosi ed intraprendenti ed attivarono traffici e commerci, crearono fondaci ed istituzioni di solidarietà, si proposero come ponte di raccordo tra l’Occidente e l’Oriente, creando un ricco e fecondo meticciato di cultura, all’insegna della reciproca tolleranza. E la città crebbe nello splendore di monumenti, chiese e palazzi gentilizi e fu meta di viaggiatori incantati dal fasto e dalla bellezza come l’arabo Ibn Havqal che già nel 972 la definì “la più prospera città della Longobardia”.

     

    Poi vennero i dogi e i duchi, Augustaricchio,i Mansone, i Piccolomini, i cardinali e i diplomatici, i monaci ed i conventi, le famiglie gentilizie e i palazzi storici, i mercanti danarosi ed il tarì, le crociate ed il dominio sui mari, la resa sul mare e gli investimenti su terra: cartiere, ferriere e tutta la ricca e varia attività della protoindustria. E poi i viaggiatori del Grand Tour e la grande pittura, il fascino della storia e del paesaggio e la grande letteratura. E la città gonfiò di desiderio l’immaginario collettivo nazionale ed internazionale ed esplose il turismo dell’eleganza e del buongusto, della cultura, dell’arte e dei paesaggi di un lembo di paradiso dove c’è una straordinaria reciproca metamorfosi tra acqua e terra, tra mare che carezza gli scogli e qualche volta ingravida le grotte e lambisce le case, e le case che sagomano colline, e le colline che cercano il cielo con le cupole delle chiese ed il filo di croce dei campanili. Tutto frutto della intraprendenza dei padri, che si lasciarono guidare dal mecenatismo e lavorarono di sicuro per accrescere ricchezza e prestigio personale ma con un occhio attento all’interesse pubblico, esaltando l’etica della responsabilità, nella consapevolezza che una città cresce e conquista spazi di grande visibilità e di conseguente attrazione se si ha cura del bene pubblico prima ancora che del privato.

     

    Ed ancora oggi chiese conventi, palazzi gentilizi e piazze, slarghi silenziosi e vicoli urmbratili, ferite ardite nel costrutto compatto delle case in fuga a cercare sole nei giardini ariosi dei limoneti, trasudano storia e testimoniano la memoria antica della città e ne fanno ancora le fortune turistiche. Nonostante tutto. Nonostante l’improvvisazione ed il pressapochismo, la vocazione malcelata del guadagno a tutti i costi a scapito,spesso, dell’offerta di qualità, il che offende l’arte, la bellezza e la storia e sfregia la millenaria tradizione dell’accoglienza all’insegna del garbo, della signorilità e della bellezza.

     

    Molti ignorano storia e passato ed arraffano tutto quello che possono incuranti delle ferite vistose che infliggono al buon nome della loro città, che è stata ed in parte resta una città/mondo, una delle cartoline più prestigiose dell’Italia turistica. Ce n’è abbastanza per invertire la tendenza con uno scatto di orgoglio e riappropriandosi del mecenatismo dei padri e facendone uno stile di vita. E’ un dovere ineludibile e non più rinviabile degli amministratori pubblici ma anche degli imprenditori privati.

     

    Io mi auguro fortemente e spero con tutto il cuore che Amalfi possa contare, a breve, su di  un sindaco che abbia autorevolezza, più che autorità, che gli derivi dalla cultura, dall’orgoglio di conoscere quale grande città amministra e ne conosca le ricchezze e relative potenzialità di arte, di tradizioni nobili e di paesaggi unici ed irripetibili altrove, da far valere con forza nella contrattazione con gli Enti sovracomunali, provincia, regione, governo nazionale ed UE per gli investimenti che rendano moderni ed efficienti i servizi a livello di comprensorio, prima e più che di città e che, quindi, abbia una visione territoriale dei problemi e l’autorevolezza per imporli agli amministratori delle altre comunità della Costa. Non è impresa da poco, me ne rendo conto. Ma mi convinco ogni giorno di più che non esistono alternative.

     

    In un Paese ed in una Regione, dove, come rivelano le cronache degli ultimi tempi, imperversa il complotto e la suburra, si avverte l’esigenza della Politica (la P è volutamente maiuscola) che esalti valori ed ideali, che rinasca e si rifondi dal basso. La Costa d’Amalfi ha in sè tutti i presupposti per essere un modello di efficienza ed un’oasi  serena di lavoro e di conseguente prosperità. Manca una leadership forte, autorevole, prestigiosa e credibile, in grado di dare una frustrata salutare ad un territorio assopito e piegato su se stesso, che vive alla giornata e non progetta il futuro. Questo ruolo spetta ad Amalfi, per storia, tradizione e posizione geografica strategica. E per questo il suo sindaco, dovrebbe tirar fuori la forza del carattere per far valere la forza delle idee, che non gli mancano. All’occorrenza metta da parte l’autosufficienza da arroganza e dia vita ad una squadra di intelligenze e professionalità che nel territorio non mancano.

     

    Agli imprenditori privati il consiglio di emulare il mecenatismo dei padri, di cui sono eredi, con grande spirito di munificenza verso l’interesse pubblico nella radicata consapevolezza che o insieme si cresce o insieme si perisce.

     

    Da parte mia, io continuo a sognare e a materializzare i mie sogni. Forse sono l’ultimo dei sognatori, ma non mi arrendo, anche a costo di restare inascoltato o, peggio ancora, ingiuriato ed insolentito, come capita qualche volta.

     

     

     

    Giuseppe Liuccio

     

    g.liuccio@alice.it 

     

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