LETTERA APERTA ALL’UNICO E PIU’ GRANDE AMORE DELLA MIA VITA.

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    LETTERA APERTA ALL’UNICO E PIU’ GRANDE AMORE DELLA MIA VITA.

    LA SEGUENTE LETTERA, APPARE ESPRESSIONE DI UN INTENSO AMORE DI TEMPI ORMAI ANDATI, E’ FANTASIA O REALTA’ VISSUTA?  CHISSA’!!!

    Cara A,

    questo mio scritto rappresenta un ricordo che si perde in una cronaca del mio vissuto, tra amore, delusioni ed amarezze rimasti scolpiti nel cuore e nella  memoria.

    Ci siamo conosciuti in età molto verde e quando a causa della guerra ti trasferisti fuori Napoli con la famiglia, il mio grande amore non era ancora sbocciato, eravamo ancora bambini ambedue.

    Vivemmo la guerra, i bombardamenti, le privazioni, le paure,  tu con la tua famiglia in un paese nei pressi di Napoli ed io in questa martoriata Città con i miei. Noi ci spostammo  in tre dimore diverse, ma sempre a Napoli e  prima di quel disonorevole armistizio, che fu più una resa senza condizioni, fummo costretti dai tedeschi a tornare  nella nostra abitazione primaria,  mentre tu con la tua famiglia e il cane tornaste a Napoli a guerra finita. Quando ti vidi ritornare nella tua dimora, ricordo perfettamente la tua immagine, avevi il cane al guinzaglio; mi si riscaldò il cuore, che restò colpito profondamente. Mi ero innamorato, era la prima volta che mi accadeva. Ricordo i tuoi occhi azzurri come il mare e i biondi capelli che ti cadevano sugli acerbi  seni, che rendevano la tua immagine bellissima e adorabile come una Madonna.

    La tua casa era stata requisita da una famiglia di sfrattati di guerra e voi foste costretti dalla legge che vigeva, a dividerla con quella famiglia tra i tanti problemi che genera una coabitazione forzata. In quel nucleo familiare c’era una figlia molto più grande di te, che divenne tua amica e confidente, che successivamente si  rivelò a mio danno, per suggerimenti sbagliati che credo ti propinava.

    A quell’epoca io ero nessuno, ero figlio di una mamma stupenda che divenne la conduttrice del più grande e rinomato “Atelier” napoletano. Ai primi anni delle medie, non mi piaceva studiare, non ne avevo ancora capito l’importanza. Mi chiedesti che avvenire potevo darti. La domanda era giusta, non avrei potuto offrirti un futuro sicuro, per lo sviluppo di una famiglia. Dio mi perdoni, se sbaglio, ma credo che questo fu il suggerimento che ricevesti della figlia dei tuoi coabitanti. Noi eravamo una famiglia modesta ma onesta, molto onesta! Mia madre, donna di grandi virtù si sacrificava al massimo per non far mancare a me e mia sorella il necessario, si arrangiava nel suo lavoro. Mio padre, dopo il ritorno dalla guerra, ritornò a lavorare come spedizioniere.    

    In quel periodo che riflette il dopoguerra, quando circolavano le amlire, (la moneta di occupazione alleata), di soldi non ne avevamo abbastanza, la vita risentiva ancora dei problemi, dei danni e delle privazioni vissute nel pauroso  disumano e sciagurato conflitto. Gli sciacalli che si erano arricchiti con il contrabbando durante la guerra alle spalle della povera gente, (vedi Napoli milionaria), continuavano con il contrabbando di generi alimentari americani che acquistavano dai militari alleati.

    Fu in quel triste periodo che fu scritta la canzone “Tammurriata nera che”  descrive le famose segnorine, ragazze di buone famiglie e mogli di soldati non ancora tornati dalla prigionia o morti nel disastroso conflitto. Fu l’inizio della caduta morale della nostra società.

    Mi resta invece cara la canzone dello stesso periodo: “Io t’ho incontrata a Napoli” nei cui versi è descritta una bimba dagli occhioni blu.  

     Durante cicli estivi nel dopoguerra, i lidi balneari non erano ancora stati reinstallati e con te, i tuoi fratelli e la mia sorellina, andavamo al bagno sugli scogli di via Caracciolo, al lido “mappatella”. Portavamo con noi un ombrellone che piazzavamo tra gli scogli e lì trascorrevamo con altre famiglie, molte ore dal mattino al pomeriggio, con una colazione che le nostre mamme ci preparavano. Tra una immersione e l’altra, quando prendevamo il sole, sedevo su uno scoglio di fronte a te, il mondo che ci circondava scompariva dai miei occhi e dalla mia mente per far posto solo alla tua immagine, guardavo i tuoi azzurri occhi, i capelli biondi che incorniciavano il viso di Madonnina e cadevo in estasi di te. Quella frequentazione  balneare contribuì in modo rilevante ad accrescere la mia ammirazione, il mio amore  e il mio bisogno di te, ma tu sembravi fredda e se non capivi  la forza del mio amore, forse la colpa era solo mia.  Ambedue eravamo ingenui ed io non avevo il coraggio di dichiararti quanto era grande e puro il mio sentimento per te. Il fuoco che  mi bruciava dentro, non riusciva a vincere la mia timidezza. 

    Nello stesso periodo, ero in età puberale, attraversavo il classico sbandamento dei sensi,  ebbi anche un fugace pensiero per una ragazza che frequentava lo stesso “lido”., ma tu non mostravi gelosia.

    Il pomeriggio, tornavamo alle nostre dimore ed un flash della mia memoria mi riporta a quando imperava ancora una certa fame, di soldi le nostre famiglie ne avevano pochi e ci nutrivano  alla giornata con ciò che riuscivano a reperire.

    Fu in quel periodo che  ti imponesti  con inconsapevole prepotenza nel profondo del mio cuore. Il desiderio di te, del sapore della tua bocca, di  carezzare il tuo viso, di stringerti forte al mio petto e respirare la tua aria, si accresceva sempre più.  Ogni periodo che trascorrevo in tua compagnia, era per me di  grande felicità.

    Quando prendesti la Prima Comunione, mi mostrasti una foto dell’evento, vestivi un candido vestito bianco, eri bellissima, sembravi una sposina, ti chiesi una copia di quella immagine, me la donasti, la custodii gelosamente nel mio cassetto, non potevo porla sotto al mio cuscino, ma mi alzavo di notte per guardarla e baciarla. Purtroppo dopo qualche giorno,  me ne chiedesti la restituzione, dicendomi che tua madre si era accorta che dalle copie, ne mancava una.

    Poiché volevo una tua immagine e la mia passione per la fotografia già si manifestava, escogitai un trucco per “rubare” una tua immagine, nascondevo una macchina fotografica a soffietto, tra le foglie di una pianta, rivolta verso la finestra dove ti affacciavi ed a tua insaputa,  scattavo  foto senza che te ne accorgessi. Purtroppo i successi erano scarsi a causa della macchina fotografica  e della tua lontananza dall’apparecchio.   

    Iniziasti poi a frequentare una scuola privata condotta da suore e la domenica andavi a messa nella loro cappella; imparai a servire la messa per tenerti il piattino sotto al mento quando prendevi la comunione

    Un giorno qualcuno che non ricordo, mi suggerì: “prendi un tuo ed un suo capello,  legali assieme e mandali via con il vento, più nulla ti staccherà da lei per sempre”, e così è stato!. Ti chiesi un capello, me lo donasti, lo annodai ad uno mio e li feci volare al vento, nella speranza che quella unione si realizzasse  anche nella realtà. (Chissà in quale parte dell’universo si trovano attualmente i nostri capelli uniti)!

    Avevo forse 14 o 15 anni, ero eccitato come era normale alla mia età,  il desiderio di baciarti divenne impellente, era un pomeriggio di un qualsiasi giorno, eravamo soli in una camera in casa mia, ti abbracciai e incollai le mie labbra alle tue; restammo fermi qualche attimo senza muoverci,  era la prima volta che baciavo e forse anche per te, non sapevamo farlo! Poi mi pentii per aver osato tanto, ma la mia felicità ebbe il sopravvento. 

    In quel periodo, a scuola ero un fannullone, persi anche un anno a causa di tanti filoni. Forse quella fu un’altra delle ragioni che contribuirono ad allontanarti da me. Ero ancora nessuno! Appena lo capii, ripresi a studiare alacremente, decisi di voler fare il giornalista e il fotoreporter ed aprii un progetto nella mia mente che mi ha consentito poi, di ricoprire importanti incarichi tra Italia ed estero.

    Ciò però, si realizzò troppo tardi per concretizzare quanto avevo desiderato con tutte le mie forze; sposarti, amarti per tutta la vita, creare con te  una famiglia e dei figli da crescere, nell’esempio del mio amore.

     La mia adolescenza è stata molto dura per il carattere di mio padre che, come ricorderai, era un galantuomo ma burbero e autoritario, mi imponeva limiti di orari, non mi permetteva di svolgere la vita che svolgevano i ragazzi della mia età, ero costretto a rincasare massimo alle 20:30.  Ciò riporta ancora alla mia memoria, alcuni flash dell’immediato dopoguerra, quando tu, io, il nostro comune amico (ora nel mondo dei più), e un’altra ragazza, qualche  pomeriggio andavamo al cinema nella nostra zona. Il nostro amico e la ragazza sedevano nella fila davanti, tu ed io nella fila subito dietro. Su quelle sedie di duro legno, voi ragazze prendevate posto a filo di corridoio e noi accanto a voi. Quando  nell’oscuro della sala cinematografica, illuminata solo dalle luci rosse sulle porte di ingresso, con il cuore che mi martellava nel petto e il sangue che mi pulsava alle tempie, un brivido di emozione e di piacere percorreva il mio essere. Allungavo il braccio destro dietro alle tue spalle e dolcemente ti spingevo verso di me, sino a farti poggiare il capo accanto al mio collo, mentre  i tuoi biondi capelli pendevano tra il mio torace ed i tuoi acerbi seni. Sentivo il tuo respiro che si fondeva con il mio, mentre  l’impulso puberale che mi eccitava, non riusciva ad avere la prevalenza sulla purezza del mio amore, avevo un profondo rispetto di te, e il  pensiero di metterti le mani addosso,  costituiva nel mio credo,  un sacrilegio. Ti vedevo e ti amavo come una Madonna e le Madonne non si toccano con scopi sacrileghi; si venerano! Ed io ti ho venerata e ti venero ancora come tale! Ho provato una felicità che è restata scolpita indelebilmente nel mio cuore e che non ho mai più provato nella mia vita. Quando nel cinema, prendevo la tua mano nella mia, cresceva la mia gioia e con essa, quell’ ansia che mi procurava il correre delle lancette  verso le 20:30, ora del mio forzato rientro, che mi deprimeva. Allo scoccare di quella fatidica ora, di colpo mi sentivo infelice, perché ero costretto a lasciarti nel cinema in compagnia del mio amico  con la ragazza. Ciò psicologicamente, mi poneva in una condizione di inferiorità, perché lui non aveva problemi di orario per il rientro, era libero di rientrare più tardi, il padre era sempre fuori per lavoro e forse neanche voi ragazze ne avevate. Provavo invidia per la vostra differente posizione di libertà rispetto alla mia.  Alcune sere, lui restava a casa tua a giocare e tenerti compagnia e ciò fu causa di una breve lite con lui, perché ti corteggiava e la gelosia mi rodeva.

    La cronistoria non segue un ordine di date certe, perché sono flash della mia memoria, catalogati senza  date e  ordine preciso. Ricordo che spesso con  quel  mio caro amico di infanzia con una ragazza che abitava accanto a noi e mia sorella, il pomeriggio eravamo in casa tua a giocare a canasta. Nello stesso periodo, tu avevi iniziato a frequentare l’ambiente di via dei Mille e ti fidanzasti con  “O.D ”un ragazzo di famiglia benestante, successivamente, passasti nelle braccia di “G.S”. Quanto dolore  mi provocasti e quanto ho invidiato quei ragazzi che godevano del privilegio del tuo amore.

    Seguì il tuo fidanzamento con l’uomo che doveva divenire tuo marito e non ricordo l’anno, ma ti vedevo con lui durante l’estate su un lido balneare a Posillipo.

    Fece seguito il tuo matrimonio, avvenimento che concluse la mia disfatta sentimentale con te. Il giorno che andasti sposa, andai a pescare e sugli scogli, ebbi un dirotto pianto, ma non fu liberatorio. Quella sconfitta mi fece star male e masticai amaro per molto  tempo. 

    Successivamente, durante il liceo, frequentai una ragazza, compagna di classe della fidanzata  del mio caro amico, ma  il nostro rapporto non si concluse positivamente per molteplici ragioni. Seguì la ma partenza per l’America, ottenni due “bachelor” universitari che fecero di me anche un “photojournalist”. Venni assunto nel Dipartimento di Stato Americano ed a questo punto, per motivi di mia riservatezza, devo fare  ammenda del periodo che ne seguì. Venivo spesso a Napoli ed anche io mi sposai e, a questo punto, faccio ancora ammenda del mio vissuto di diversi anni.

    Quando iniziai a lavorare a Napoli ed ero in questa città,  avevo un’ora di spacco, andavo a casa dei miei genitori per pranzo e quasi ogni giorno ci incontravamo, tu andavi da tua madre che era ammalata.  Ci fermavamo qualche minuto per salutarci sempre nel massimo reciproco rispetto, ma non nell’assenza dal mio cuore di quella fiamma che non ha mai smesso di ardere dentro di me.

    Poi la morte di tua mamma, causò il termine dei nostri incontri. 

    Successivamente un giorno di un certo anno, ci siamo incontrati a casa di mia madre, che per te ci teneva tanto. A sua richiesta, eri andata a giocare a carte con lei. Durante una sua breve assenza dalla camera, ti accennai del nostro vissuto pregresso e con molta emozione, mi accorsi che una furtiva lacrima  bagnava i tuoi ancora bellissimi  occhi; mi chiedesti: “ma perché non me lo dicesti?”  Risposi: non lo so; l’ amaro destino così ha voluto!

    Ci siamo poi  persi di vista per diverso tempo, ci rivedemmo anni fa, quando venni a casa tua a prendere delle foto dei tuoi genitori per elaborarle al computer che ti riportai a lavoro ultimato. Non ti ho sentita o incontrata sino a quando morì mia madre; mi chiamasti mentre ero al cimitero per il suo interro, la comunicazione non era chiara e mi dicesti che ci saremmo risentiti; ma non  fu così! Ti rividi un giorno nell’autobus, ma non ricordo quanto tempo è trascorso.

    L’ultima volta che ti ho vista, fu davanti alla Galleria Vanvitelli, io scendevo dall’autobus e tu salivi; ci salutammo di sfuggita. So che stai attraversando un periodo poco sereno e di ciò, credimi, mi dispiace profondamente!

    Tre anni fa ho subito un difficile intervento alle coronarie ed ho creduto di morire, ma il cardiochirurgo non ha cancellata dal mio cuore la tua immagine.

    Se leggerai questo mio scritto forse ti chiederai…  ma perchè lo ha fatto? Perché desidero che tu possa ricordare, che il primo amore non si scorda mai, tu sei stata il mio primo amore e… che Dio mi perdoni, resti il mio unico e più grande amore della mia vita per l’unicità di quei sentimenti che mi hai fatto provare.

    Per me il sole si è alzato con te e tramonterà con te!

    Nel “credo” di quanto mi fu detto ed io realizzai, i nostri capelli legati stanno volando nel cosmo e così resteranno nell’eternità!

    Ti bacio la mano, conservando simbolicamente sulle mie labbra il sapore della tua pelle.

    Alberto 

     

    (in calce a questo scritto allego un significativo audiovideo della celebre canzone “Quanno tramonta ‘o sole”, parte di uno dei miei spettacoli musicali)

     

     

     

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