VERSO IL CERVATI: TAPPA A MONTEFORTE CILENTO, LONGOBARDA E RIVOLUZIONARIA

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    Nel viaggio verso il Cervati, la bella e mitica montagna più alta della Campania, oggi facciamo tappa a Monteforte Cilento, che rievoca storia di Longobardi, ossificata nella struttura urbanbistica del borgo fortificato cilentano, ma anche pagine di rivoluzione cilentana del 1828, di cui furono protagonisti i Fratelli Capozzoli, nati proprio a Monteforte. Siamo nel cuore verde del Parco Nazionale del Cilento con la ricchezza della vegetazione esaltata dalle montagne, che fanno da cornice al paese a scivolo dalle pendici del Chianiello alla diga sell’Alento, il fiume sacro del territorio.

     

     

     

     

     

     

    La macchina  avanza tra comodi tornanti nel diluvio della vegetazione. Siamo nel cuore verde del Parco del Cilento, che si veste a festa nello sfarzo della primavera. Lecci, carpini, cerri e roverelle scivolano fino a margine di fossato, dove troneggia di vanità l’oro effimero di qualche ginestra in anticipo di fioritura, il viola dei cardi, il rosso dei papaveri e la neve sporca del rosmarino. Giù nella vallata le povere campagne di uliveti e vigneti con le minuscole case coloniche per riparo dalle intemperie e a custodia degli attrezzi da lavoro. La cupola a minareto del campanile di un santuario di campagna ritma, nella memoria, le litanie dei contadini a propiziare grazia di raccolti abbondanti. Qui fu passaggio e sosta di monaci basiliani  e di eremiti a veglia di madonna nera.

     

    La contrada Cavallazzo rievoca anche nel toponimo postazione e sosta dei mercanti pestani a penetrazione di commerci verso l’interno. Sui monti della Ferracchiosa Corbella, di cui restano scheletri di insediamenti, testimonia un “castrum” potente dei Lucani a sospirato sbocco verso il mare. Più in là Cicerale e Monte si stendono pigramente sui crinali delle colline con il loro carico di storia scritta nelle chiese, nei castelli e nei palazzi gentilizi.

     

    Ad una svolta Monteforte ci si para dinanzi con il grappolo di case a dirupo di vallata, dove l’Alento feconda le vigne generose di aglianico  robusto e di barbera frizzante. A margine di fiume una chiesetta conserva la statua di San Donato protettore, che veglia su campagne ed acque e d’agosto, in una processione punteggiata all’imbrunire dalla serpentina delle fiaccole, è accolta nella parrocchiale al ritmo festoso della banda, nel fuoco delle luminarie e con l’esplosione delle granate a trafittura-perforazione di cielo.

     

    Nel 1828 sulle fiancate del Chianiello divampò e crepitò minaccioso un altro fuoco fatto appiccare dal Maresciallo del Carretto con l’intento di disboscare i Fratelli Capozzoli, nati briganti e morti eroi della rivoluzione cilentana. Gabbarono,almeno allora, il truce “alter ego” del re Borbone e presero il largo nel mare di Agropoli prima di riparare all’estero.

     

    Fu una fortezza longobarda Monteforte e ne conserva ancora le tracce nell’insediamento ardito tra monti e fiume. Giù, in lontananza, l’Alento si allarga nell’invaso della diga, che la gente ha pomposamente battezzato “lago” e che, comunque, è un’opera di ingegneria moderna, un pezzo d’Europa là dove fino a qualche decennio fa prosperava la macchia di rovi e ginestre ed impazzava, d’estate,  il concerto a gara di grilli e cicale. Un utilizzo razionale, intelligente e, soprattutto, all’insegna dell’efficienze dell’opera potrebbe assicurare un avvenire di agricoltura di qualità e di turismo di nicchia nelle zone interne. Bartolo Scandizzo ed io ci confidiamo le amarezze per le occasioni mancate e, forse, perdute del Cilento interno. C’è da augurarsi che non capiti la stessa sorte alla strada di penetrazione della montagna verso Vesole e, successivamente, verso Roccadaspide e che, invece, meriterebbe ben altra valorizzazione a scoperta di itinerari d’ambiente di rara suggestione e di straordinaria bellezza.

     

    A poche centinaia di metri dall’abitato il minuscolo cimitero luce di sole al bianco delle tombe, dove dormono il sonno dei giusti i contadini che ritmarono una vita di stenti e di sudori giù giù per le campagne non sempre generose, che caracollano in pendio verso la valle, dove il fiume riduce alveo e portata man mano che s’inciela verso la sorgente di Gorga, all’ombra di cerri e castagni.

     

    Ancora qualche strappo e ad una svolta ecco Capizzo, a margine di strada. Siamo in territorio di Magliano. Ma qui comincia un’altra storia, con tanto di Stato autonomo e passaggio-dominazione di Goti.

     

    Giuseppe Liuccio   

    g.liuccio@alice.it

     

     

     

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