Un Don Giovanni senza morale finale

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Il Rotary centra l’obbiettivo benefico con Hopera riempiendo il massimo cittadino attratto dalla bacchetta di Oren alla testa di un cast incolore

 

 

 

Di Olga Chieffi

 

Il Don Giovanni benefico di Hopera  evocato dal Rotary Club di Salerno, presieduto dal Matteo De Roberto, ha raggiunto un doppio scopo, quello di aiutare i ragazzi dell’Honduras e i bambini disagiati di Mariconda e quello di far rispolverare il capolavoro mozartiano al  M° Daniel Oren, che sarà bacchetta protagonista proprio schizzando il suo dissoluto punito, in occasione dell’apertura della stagione dell’Arena di Verona, che saluterà una nuova regia di Franco Zeffirelli. Il nostro direttore, non proprio in forma per un malanno di stagione, alla testa dell’Orchestra Filarmonica Salernitana “G.Verdi”, che ha ottenuto i soliti egregi rincalzi, con su tutti il primo clarinetto dal suono sempre in linea con il credo mozartiano, non si è fatto assolutamente in quattro per farci avvertire in ogni battuta l’ala della morte, il crepitio delle fiamme d’inferno e quant’altro di simile. Ha cercato unicamente di portare a termine il compito senza azzardare alcuna originalità. Don Giovanni mangia, beve e mira alle donne senza sosta: non bada ad altro né altro capisce. Si schianta sopra se stesso senza alcuna premonizione – e tutto questo è commedia e tragedia insieme, secondo un’intuizione crudelmente popolare: ti ci devi tuffare, e per toccare la battigia, devi saper nuotare, prendendo aria tra fragranza e vitalità senza sottrarre gli enigmi mozartiani alla loro cifra fulgente. Di  appena sufficiente potenzialità i sette del cast:  qualche voce buona, come quella di Anna Skibinski, una donna Anna di nome e di fatto, siderale, come ha da essere, mentre  Donna Elvira, Pia-Marie Nilsson non è risultata all’altezza del ruolo non avendo più la freschezza di voce nel registro acuto. Sergio Vitale, si è rivelato un Don Giovanni poco disinvolto, misurato, senza particolari ombre di difficoltà vocali, forse giustamente, poco personale: infatti, Don Giovanni non è un “carattere”, come lo sono gli altri personaggi umani della vicenda: è una specie di punto astratto, di centro geometrico intorno a cui ruotano tutti. Scialbo il Leporello di Enrico Marrucci, il quale avrebbe dovuto offrire giusto sostegno al suo signore. Il tenore Pablo Karaman ha cercato di adattarsi al meglio, senza riuscirci,  alla figura delusiva del Conte Ottavio. Forse la coppia meglio assortita è stata quella composta dalla Zerlina di Elena Memoli e dal Masetto di Valdis Jansons, con lei incantevole figura femminile che riassume in sé le maliziose tentazioni all’indirizzo del gran signore e le doti di fedeltà  a quel Masetto che la routine interpretativa vorrebbe un po’ tonto, e che, invece, a Salerno è risultato assai più fiero del nobile, lagnoso don Ottavio. Da dimenticare l’interpretazione del Commendatore da parte di Carlo Striuli, nonostante i suoi inumani sforzi  nell’intonare, l’aria finale “Don Giovanni a cenar teco”. Sorpresa per il taglio del finale da parte di Daniel Oren che, dopo la fumata sulfurea della precipitazione di Don Giovanni negli Inferi, chiude la rappresentazione, eliminando la morale, secondo i dettami della scuola viennese di Mahler e Adorno, “Questo è il fin di chi fa mal e dei perfidi la morte alla vita è sempre ugual, eliminando così per sempre quel punto interrogativo alla domanda di queste sei grandi statue cantanti che non sanno di essere partecipi di un’azione tragica o di un gran ballo dell’esistenza.

 


 

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