Desirée, "On turquoise cloud"

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Trionfa “Les Pecheurs de perles” al teatro Verdi grazie all’eccelso quartetto di voci e alla direzione di Daniel Oren che ritrova una filarmonica da “Brilliant”. Elegante l’allestimento giocato interamente sui colori firmato da Riccardo Canessa

 

 

 

Di Olga Chieffi

 

Rubiamo il titolo ad un song che si pone ai vertici dell’opus di Duke Ellington, “On a turquoise cloud”, quel semplice tema lirico di otto battute per la voce di soprano, che apre quel rapporto dialettico nel suo sviluppo orchestrale tra innocenza e sofisticazione, per sintetizzare la pressoché perfetta realizzazione de’ “Les Pechurs de Perles”, di Georges Bizet. L’Oriente misterioso è stato motivo d’attrazione e fonte di ispirazione per i musicisti francesi dell’Ottocento. Prima però, tra le opere di ispirazione “esotica”, è “Les pêcheurs de perles”, che Georges Bizet, ventisettenne fresco vincitore del “Prix de Rome”, fece rappresentare al Théàtre Lyrique nel settembre del 1863. “Carmen” è di là da venire: se la musica composta per narrare gli amori, le passioni e la morte della sigaraia sivigliana sa di tabacco e di sangue, di polvere e di vino, quella dei “Pêcheurs” profuma di spezie, di fiori di magnolia, d’incenso, ma anche del vento che annuncia il tifone e di fuochi rituali. Bizet immerge i suoi personaggi, Nadir e Zurga, amici resi quasi nemici dall’amore di entrambi per Leila, intoccabile sacerdotessa, in un’atmosfera crepuscolare sotto un cielo che scolora nell’imbrunire; pressoché tutte le azioni si svolgono al tramonto o di notte, anche l’aurora dell’ultima scena è in realtà una notte rischiarata dall’incendio del villaggio dei pescatori, dato alle fiamme dal generoso Zurga, loro capo, per permettere ai due amanti, perdonati, di poter fuggire verso un avvenire felice. Dopo tanti anni d’attesa e di promesse dalla direzione artistica “Les pêcheurs de perles” sbarcano a Salerno in un allestimento molto raffinato firmato da Riccardo Canessa. L’isola di Ceylon del maestro napoletano ha i colori e gli aromi della musica di Bizet: l’ocra rossa, l’indaco, lo zafferano, la cannella, la noce moscata, il turchese del mare, tutti presenti nei costumi, eleganti nella loro sobria semplicità, dei protagonisti e del coro. Sulla scena una pochissimi elementi, qualche pedana, dei parasole per l’apertura, il braccio del Dio Brahma, per il secondo atto, una piccolo tempietto, per l’ultimo, in un’ atmosfera resa misteriosa da luci sapienti e da video che cercano di amplificare i significati della musica stessa, anche se ci è toccato rivedere la grande onda già sperimentata in Cavalleria Rusticana, un’autocitazione di Jean Baptist Warluzel. I movimenti delle masse sono fluidi e continui, come un’ininterrotta danza sacra, ulteriormente sottolineata dagli interventi coreografici, ad opera di Pina Testa. Se la parte visiva dello spettacolo è risultata indovinata quella musicale ha varcato ampiamente il pentagramma. Daniel Oren è assolutamente a suo agio con la partitura bizetiana e pare quasi non ruggire e sbuffare: i tempi sono appassionati, gli impasti orchestrali caldi e delicatamente descrittivi senza mai cadere nel calligrafismo, il respiro degli strumenti, costantemente fuso con quello dei cantanti. E’ questa l’orchestra che desidereremmo sempre ascoltare, con gli strumentini che riusciamo a individuare al primo attacco, quello corposo della clarinettista Valeria Serangeli, quello virile ed evocativo del corno di Vladimiro Cainero, i flauti salernitani di Senatore e ler, il tocco internazionale dell’oboe di Hernan Gareffa e il corno inglese di Antonio Rufo.  Desirèe Rancatore, bella e flessuosa, incarna una Leila pressoché perfetta: la sua voce di soprano lirico d’agilità sembra non conoscere limiti, gli acuti sono magnifici per potenza e tenuta, ma pure le agilità sono sicure ed il registro medio è vellutato e suadentissimo, cresciuto in questi ultimi anni, la tecnica dell’emissione delicata ed omogenea lungo tutta la gamma, dell’eguaglianza timbrica, insieme con la –deliberata- varietà dei colori. Il Nadir di Celso Albelo giovane tenore è intenso e romantico, senza risultare stucchevole; raggiante la freschezza della sua voce, come il bianco fonde nella sua assolutezza tutti i colori, lodevole l’intenzione di voler giocare sulle mezzevoci anziché sul falsetto, anche se il risultato non è sempre perfetto, il “Je crois entendre encore” è stato comunque disimpegnato in modo ammirevole. Luca Grassi dà a Zurga una voce di baritono “autentico”, ossia non da tenore “corto”: il timbro è bello, e la parte, tutta giocata sul registro medio e su quello acuto, gli fornisce l’opportunità di esprimersi al meglio ed il personaggio risulta tratteggiato a tutto tondo nei suoi tormenti, diviso com’è tra la fedeltà all’amico, quella al suo popolo e l’amore per la sacerdotessa proibita. Bene anche Alastair Miles nel ruolo di Nourabad; così come il coro, in particolare le voci femminili, quasi sempre presente in scena, preparato da Luigi Petrozziello Al termine applausi da “Curva Sud” per tutti, con lancio di rose con nastro, ed un’autentica ovazione, meritata, per  Desirèe Rancatore. Ultima replica questa sera alle 18,30.


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