COSTA D´AMALFI: …QUEL BLITZ DELLA GUARDIA DI FINANZA (XV^ PUNTATA)

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    XV^ PUNTATA: LA STORIA DEL MIO AMICO CIANCIO

     

    RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI: Siamo nel 2023, mentre continua il blitz della Guardia di Finanza in Costa d’Amalfi, in particolare nei confronti della vecchia merceria in piazza, mi rammento delle parole del mio amico Ciancio che qualche anno prima furono determinanti nel convincermi a non mollare il mio lavoro di architetto.

     

    Quando entrammo nella grande aula per svolgere il compito scritto di “Fisica Tecnica”, Ciancio divenne molto serio. Ancora più serio. Era come se tutte le volte che dovesse fare un esame, entrasse in uno stato di “trance” che gli consentiva di concentrarsi meglio. Ricordo i suoi occhi che divennero di ghiaccio e che da quel momento in poi non disse più una parola. Guardammo quale fosse il nostro posto, grazie alla vicinanza delle iniziali del nostro cognome non ci sedemmo molto lontano. Entrammo: io gli dissi “in bocca al lupo” sottove, e che ci saremmo ritrovati in quel posto alla fine del compito, poi provai a tendergli la mano per stringergli la sua, ma lui era già partito dritto, verso il suo posto.

    Finii due file sopra di lui, potevo scrutarne i movimenti se volevo. Lui non si voltò mai. Quando uscimmo da quell’aula, trovai Ciancio che mi attendeva con l’aria di chi aveva già aspettato un po’ di tempo. “Ho voluto controllare bene tutto, almeno due volte”, gli dissi quasi scusandomi.

    Alla fermata del treno, Ciancio ritrovò la parola. Estrasse dalla borsa un orario e controllò le coincidenze. “Dovrei farcela”, pensò ad alta voce. Era come se, dopo circa cinque ore, fosse finalmente uscito dal suo stato di meditazione.

     

    Fu quello il giorno in cui passai più tempo con Matteo Ciancio. Sul treno eravamo sereni, controllammo che il nostro compito fosse corretto e poi parlammo, anzi fui io che gli parlai di me. Gli dissi che fin da piccolo avevo sempre voluto fare l’architetto e che l’avevo scritto persino in un tema in quinta elementare. Lui mi ascoltava guardando sempre fisso fuori dal finestrino, ogni tanto si girava ed annuiva. Poi mi ricordo che parlammo di pesca. A meno di un chilometro da dove il padre aveva il terreno c’era un fiume e lui amava andarci a pesca la Domenica mattina. Io che avevo avuto un nonno pescatore contrapposi la mia esperienza da “mare”, mi spiegò le esche e quanta pazienza ci voleva; era la prima volta che un argomento non “scolastico” ci univa. Mentre parlavamo ed il treno superava un numero di gallerie che mi sembrava persino eccessivo, mi sembrava di vederlo, Ciancio Matteo, seduto sulla riva di un fiume, fermo immobile, con la sua canna attendere, attendere, attendere.

     

    Dopo quel giorno del 1995, io e Ciancio non ci incontrammo per molti mesi. Neanche di striscio. Poi ad inizio dell’anno successivo, lo rividi seduto, in un’aula deserta all’ultimo piano della facoltà, dove non c’era mai nessuno, combattere contro un problema di statica. Era lo stesso esame che avrei dovuto dare io prima dell’estate, era molto importante perché ci avrebbe consentito di superare il cosiddetto “sbarramento” ed iscriverci agli anni accademici successivi. Parlammo di quanto fosse complicato quell’esame e di quanto fosse antipatica l’insegnante.

    Anche questa volta il nostro era un destino comune. Sapere che anche Ciancio si stava occupando di statica mi sollevò, lui era il mio portafortuna scientifico, era come un incantesimo: ogni volta che c’era di mezzo la matematica spuntava Ciancio e, insieme, in qualche modo, ce la cavavamo sempre.

    Quella fu una primavera difficile, a volte mi sembrava proprio di non capirci niente, quando andai a prenotare l’esame vidi il nome di Matteo, come al solito, in cima alla lista, fu l’unico momento nel quale pensai che ce l’avrei fatta. Se avessi avuto il suo numero di telefono l’avrei chiamato per chiedergli qualche indicazione, un consiglio, anche solo per sentirlo parlare di statica o se abboccavano i pesci al fiume.

    Una mattina di Marzo, nella sessione straordinaria, io e Ciancio eravamo là in una piccola aula del primo piano della facoltà per risolvere quel dannato compito di statica. Arrivai quando tutti erano già seduti, lui al primo banco ovviamente, e non ebbi neppure il tempo di salutarlo. Di quel mattino mi ricordo che sembrava autunno, nell’aula senza finestre, illuminata da un lungo, nebbioso, neon, non riuscì a cercare nemmeno per una volta lo sguardo di Ciancio. Quando era passata abbondantemente un’ora delle tre previste, il rumore di una sedia che strideva sul pavimento mi costrinse ad alzare gli occhi dal foglio. Ciancio Matteo, dal suo primo banco, si alzò, rimise tutto, fogli, matita, penne colorate e righello, nella sua borsa militare ed uscì. Senza consegnare il compito.

    Mi passò accanto come se non mi avesse neanche visto. E forse non mi vide davvero.

    Fu in quel preciso istante che il mio compito di statica mi sembrò, improvvisamente, un ostacolo insormontabile. Passai di colpo dall’ottimismo allo sconforto. Cominciai a pensare a Ciancio e alla sua resa, a come era stato possibile che non avesse finito il compito e che se non c’era riuscito lui, come potevo farlo io. Ovviamente non riuscii più a concentrarmi per un solo attimo su quella maledetta catena cinematica che aveva sempre troppi gradi di labilità. Provai inutilmente a non mollare. Lottai ancora un’ora contro quel problema, ma era come fare a pugni con un avversario che era diventato da un momento all’altro di un’altra categoria di peso.

    Alla fine consegnai quello che ero riuscito a fare, era troppo poco, ne ero consapevole.

    Durante il viaggio di ritorno cercai di allontanare i pensieri funesti, ma era quasi impossibile.

    Fu quella l’unica volta che fui bocciato ad un esame all’università.  

     

     

    (continua – 15)

    Christian De Iuliis

    www.christiandeiuliis.it

    Rinnovo la nota dell’autore:  Gentili lettori, in qualità di autore del romanzo a puntate in oggetto, anche in seguito del discreto successo di pubblico che sta ricevendo, volevo precisare che il testo non ha nessun intento diffamatorio; si tratta dunque, semplicemente, di un esercizio di satira e gli eventi sono assolutamente frutto della mia fantasia e sono strettamente di natura umoristica. Mi auguro dunque che gli esponenti delle categorie professionali (politici, forze dell’ordine, architetti, magistrati) che, a rotazione, faranno parte del romanzo, lo ricevano senza indispettirsi e con la giusta dose di ironia e di leggerezza che merita.

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