DAI JEANS DELL´ASSESSORE ALLA COSTIERA AMALFITANA CHE FUGGE IL PROTOCOLLO DI KYOTO SI ALLE PALE EOLICHE?

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    Ravello, Costiera amalfitana Pubblichiamo la prima parte dell’intervento di Pasquale Palumbo, assessore all’ambiente del comune di Ravello al convegno sulla “Città Sostenibile” che propone le pale eoliche in costa d’ amalfi. Che ne pensate?

    Fra le mie preoccupazioni ci due vecchie scatole di latta, piene di bulloni, viti, lucchetti senza chiavi e chiavi senza serrature. Una me l’ha lasciata mio padre sulla soglia dei cento anni, l’altra mio suocero poco più che novantenne. Anche se sono lì a ricordarmi che sono esistiti periodi in cui anche per gli abitanti dei nostri paesi  il buttare anche un solo chiodo, un tappo di bottiglia o un piatto scheggiato era sacrilego, non è questa è la principale causa dei miei assilli.
    Ciò che decide se un oggetto debba essere considerato utile o meno, e nel caso non lo fosse, se debba poi essere annoverato fra il surplus o le scorie è il contesto culturale, sociale ed economico in cui è posto.
    La trappola malthusiana che costringeva la popolazione umana alla fame, in quanto ogni miglioramento delle tecniche di produzione agricola aveva come conseguenza l’aumento della popolazione che tornava così al disotto dei limiti di sostentamento sino a che la prima epidemia o guerra non rimetteva le cose a posta,è stata rotta solo nel momento in cui con un rapido e continuo rinnovamento tecnologico il “prodotto interno lordo” non è cresciuto in modo più veloce della crescita della popolazione.
    Oggi, nel mondo occidentale con una crescita demografica anche negativa, il PIL può aumentare solo se aumenta la richiesta di beni e di alimenti  da parte della singola persona: ovvero la lunghezza della cintura dei nostri pantaloni, se non compensata da sufficiente attività fisica, sarà inversamente proporzionale alla durata del televisore, dell’auto, del telefonino o della giaccone nel guardaroba.
    Se si vogliono mantenere alti i profitti è quindi necessario convincere le persone che la loro colazione è sana anche se spalmano sul pane una crema che è più vicina alla margarina che allo zabaione,  che per scrivere questi appunti è indispensabile utilizzare un computer con un processore da almeno 5 o 7  “cuori”  la cui frequenza di lavoro si approssima sempre di più a quella del forno a microonde, e che non si possono non  sostituire di volta in volta pantaloni dalla vita alta con quella bassa, quelli corti a quelli lunghi, quelli larghi con quelli attillati, pena il sentirsi al di fuori dal mondo.
    Se non ricordo male i jeans che indosso dovrebbero avere circa dieci anni: evidentemente rispondono alle necessità per le quali furono inventati, ovvero l’essere robusti abiti da lavoro. Ormai prossimo ai cinquant’anni e con la speranza di emulare mio padre, tempo fa mi sono accorto che nell’armadio se ne erano accumulati quasi il doppio di quanti potranno mai essere necessari. Così, per evitarmi altre preoccupazioni su chi destinarli, gli amici sono stati informati che  in quel giorno che chiamiamo compleanno dove si contano le tacche incise (o ci si interroga su quante ancora ne restano a seconda del numero a cui si è giunti) , è opportuno portare solo buon vino rosso e niente capi di abbigliamento.
    Comunque, nonostante i pressanti messaggi volti a farci credere di avere esigenze  che non avremmo mai immaginato di avere, non ce la facciamo a utilizzare tutto quello che viene prodotto: anche se come “oche consumistiche” ci infilano un imbuto in gola per farci ingozzare con ogni possibile bene, alimento o servizio, esistono ostacoli insormontabili ovvero la capacità dei portafogli e dell’indebitamento di noi umani che sono l’equivalente degli stomaci di quelle povere bestie.
    In attesa del treno a Napoli passeggiavo nel mercato vicino. Quello che mi ha colpito non è stato il contino ammiccante pressare per vendermi capi più o meno falsi ma una montagna di scarpe, nuove, di ogni marca e tipo ma chiaramente datate, con la quale con soli pochi spiccioli ci si può passare il tempo divertendosi a trovare la destra da accoppiare alla sinistra che ci piaceva, possibilmente nella stessa tinta. C’è da riflettere: quello è surplus di produzione, che man mano diventa invendibile più per degrado naturale che per l’eccentricità dei modelli.
    Questo a Napoli su una bancarella, e questo per delle scarpe. Se lo immaginiamo su scala globale diventa qualche cosa di allucinante, non solo per l’impressionante  esubero di produzione  ma anche per la quantità di scorie  prodotte durante tutto il ciclo di produzione e trasporto di oggetti che da li a poco saranno a loro volta rifiuti, per naturale degrado dei materiali se non per l’improponibilità dei modelli.
    Come dicevo all’inizio, un oggetto non è può definirsi “scoria” o surplus in termini assoluti.
    Ieri sera ero a casa di un caro amico. Un amico che potrebbe essere mio padre e mi conosce da quando ero un bambino.  Come spesso capita  il discorso è andato ai  “vecchi tempi”, e ieri sulle “calcare”. La cosa mi interessava  perché il mese scorso in un incontro con i pastori (mi piace sempre usare questo termine più che l’anonimo “allevatori”), il più attempato, lamentando la mancanza di zone adatte al pascolo aveva concluso l’intervento con una nota nostalgica: “ma quando c’erano le calcare era tutta un altra cosa!”
    Così ho approfittato della sapienza dei nonni per istruirmi sul’argomento. Che nelle calcare (edifici circolari che si trovano ancora spesso nelle nostre zone) si cuocessero le pietre per giorni e giorni al fine di ottenerne calce mi era noto. Quello che non sapevo è il tipo di combustibile utilizzato, cioè non i bei ceppi che mettiamo nei camini, ma le umili fascine, le balle di quelle legna minuta proveniente dal sottobosco e dalla  sfrondatura dei tronchi, che con delle teleferiche venivano calate giù sino al punto di combustione.
    La montagna era così pulita, il suolo vedeva la luce del sole, c’era erba in abbondanza e  potevano pascolare capre, pecore e mucche con una produzione tale da dare il nome di lattari a questi monti.
    Oggi questo tipo di combustibile è un surplus, è disponibile ma non serve a nessuno. All’epoca, invece,  a raccogliere le sterpaglie o vegetazione per gli animali domestici nelle proprietà altrui si rischiava la denuncia tant’è che chi non poteva fare altrimenti si arrangiava attaccandosi alle corde per ripulire i costoni dagli arbusti (e contemporaneamente dalle pietre in bilico).
    Oggi la calce la si compra al deposito, le calcare sono in disuso e gran parte del patrimonio boschivo, anche demaniale, e inutilizzato perché ridotto ad un groviglio di sterpaglie e macchia mediterranea.  Le pecore si sono da anni adattate ad una alimentazione non proprio ideale, fatta di bucce di pomodoro arricchite con i più aromatici scarti di finocchio (altro esempio di utilizzo, forse non proprio opportuno, di scorie) e i sentieri, persa la funzione storica di vere vie di trasporto e comunicazione sopravvivono per le amene passeggiate di escursionisti..
    Ora perché non riattivare il sistema?
    Ovviamente non per cuocervi le pietre, ma per ospitare microimpianti di generazione elettrica e/o termica per l’utilizzo delle biomasse. Terremmo costantemente  pulite le montagne  dando, con la creazione di aree di pascolo, un sostegno alla  produzione casearia ovo-caprina che potrebbe anche arrivare ad un disciplinare di produzione o un marchio di qualità come quello di un “pecorino dei monti lattari”.
    E con la cenere?…. in un’ottica di riutilizzo, possiamo anche tornare a lavarci i panni.
    Questo, ovviamente nella speranza che la pluralità di enti a cui è demandata la tutela del territorio non trovi da eccepire per un riutilizzo di strutture che resta  compatibile con la loro destinazione originaria, un utilizzo secolare di certo preesistente all’istituzione dei vincoli
    Infatti la Costiera Amalfitana è un territorio anche economicamente ricco e questo non solo condiziona le  valutazioni  su risorse e sostenibilità ambientale ma il principio di conservazione dell’ambiente locale – inteso come paesaggio e beni artistici – è spesso invocato per sfuggire a quello di conservazione dell’ambiente globale. Un esempio?
    La nostra amministrazione si è insediata proprio nel momento in cui era in corso il rifacimento del tetto della Casa Comunale. Qualche tempo prima avevo letto di una nuova tegola fotovoltaica che veniva realizzata in tinta ad imitazione di quelle preesistenti. Contatto la società che la produceva che, allettata dalla ricaduta di immagine per un intervento a Ravello proprio al momento del lancio del prodotto, fa subito arrivare un tecnico con vari campioni ed una proposta di sponsorizzazione. Il nostro ingegnere li porta a Salerno per un consulto.  Il giorno dopo apprendo che ci davano per pazzi.
    Probabilmente non pazzi, ma con ICI o IMU, imposta di soggiorno, tasse di occupazione di suolo pubblico, siamo di certo sufficientemente ricchi. A livello locale, risparmiare qualche migliaio di euro nei bilanci dei prossimi 20 o 30 anni, egoisticamente non fa tanta differenza ma, in una visione globale, l’aver perso l’occasione di contribuire a ridurre  l’emissione di CO2 era e resta una questione di coscienza.
    Mi dicono che ho le pale in testa perché sostengo che il micro eolico sia compatibile con i versanti più nascosti delle nostre montagne. Quando affronto l’argomento con i tecnici del comune l’ipotesi viene liquidata come improponibile. Eppure sono più che convinto che nell’arco della durata dei mio parco jeans, quando la necessità della salvaguardia dell’ambiente e dall’indipendenza del petrolio sarà cosa scontata se non nella nostra testa almeno in quelle dei nostri figli,  quando un territorio che non utilizzi fonte energetiche alternative sarà da biasimare come oggi lo si fa con chi non attua la raccolta differenziata, lo scandalo sarà invece  il non averle le pale, non quello di averle installate. A meno che, come gli Stati Uniti, anche la Costiera Amalfitana si dichiari al di fuori del protocollo di Kyoto.
    Quanta energia “pulita” è prodotta in costiera amalfitana? Quale è il nostro contributo alla conservazione del pianeta? Ritengo sia molto scarso: non solo non attingiamo alle fonti rinnovabili ma la scarsa estensione della rete di distribuzione del metano costringe ancora molti utenti a ricorrere ai derivati del petrolio per il riscaldamento. E non va trascurata una riflessione sulla frazione umida dei rifiuti  ( tecnicamente “scarti cucine et mense”  la cui produzione tocca impressionanti picchi estivi) considerato che per ogni caloria che assumiamo ce ne sono almeno altre nove derivanti dagli idrocarburi che vengono consumati in tutto il ciclo di produzione e trasporto.
    Per questo con l’Ufficio Tecnico del Comune di Ravello ci si prepara ad organizzare una tavola rotonda sulle concrete possibilità per  la Costiera Amalfitana di accedere ai benefici dell’ultimo conto energia e (ma anche indipendentemente da questo) installare impianti per le energie rinnovabili. Un incontro dove sarà possibile un confronto con una pluralità di interlocutori sulla compatibilità di tali impianti con i vincoli paesaggistici.
    Pensare di poter disporre all’infinito di energia, risorse ambientali (in particolare di quelle idriche sulle quali torneremo più in la’) solo perché si ha  la capacità economica di acquistarle è da sprovveduti. Niente di più attuale di quello che la sapienza popolare ha da tempo sancito, ovvero che la botte si “scarsea” quando è ancora piena.

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