MONTI: "LUNEDÌ MISURE STRUTTURALI". PASSERA, RISCHIO RECESSIONE

Più informazioni su

    ROMA – Monti ha chiesto «senso di responsabilità » a politica e parti sociali, ma la riforma delle pensioni, con il blocco dell’adeguamento all’inflazione e l’innalzamento dei contributi per l’anzianità, continua a raccogliere un coro di no. Lo gridano i sindacati, con il segretario della Cgil Camusso che definisce il limite dei 40 anni «intoccabile ». E, sommessamente, lo dice anche il Pd. Il segretario Bersani ammette che «su alcuni punti potremmo non essere d’accordo» anche se non tutti nel partito condividono questa posizione. Contraria anche l’Idv. Monti però ha avvertito che «se l’Italia manca questo passaggio o non fa quel che ci si attende le conseguenze sarebbero molto gravi». Dal premier anche un secondo avvertimento: c’è poco tempo per «certe ritualità» del passato. Dunque ci saranno consultazioni, ma i «tempi saranno molto ristretti». Interviene anche Confindustria, con la presidente Marcegaglia che, rispondendo alla Cgil dice: «Non è tempo di veti, 40 anni non è un numero invalicabile». Il premier ha spiegato che intende agire rapidamente. Lunedì prossimo le “«ulteriori riforme strutturali» verranno varate dal Consiglio dei ministri e il Parlamento potrebbe approvarle già entro Natale. I prossimi 10 giorni, secondo il commissario Ue Rehn, «saranno decisivi » anche per il futuro dell’euro. Ieri intanto le Borse europee hanno festeggiato la decisione delle Banche centrali di aumentare la liquidità del sistema dimezzando il tasso d’interesse sulle alcune operazioni di swap. Milano ha chiuso con un rialzo del 4,3%, lo spread tra Btp e Bund a 10 anni si è fermato a 474, rendimento decennale al 7%.

    PASSERA «Stiamo rientrando in recessione, come tre anni fa per cause non nostre». Lo ha detto il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera agli Stati generali di Confcommercio. «Questo è e
    questo ci sta succedendo – ha proseguito – e dobbiamo fare di tutto per recuperare il più velocemente il segno positivo».

    Il governo è al lavoro «per affrontare l’emergenza numero uno che è quella del disagio occupazionale». Secondo il ministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture il lavoro è «la priorità assoluta» del Paese.
    Il disagio, ha spiegato parlando alla Confcommercio, è infatti «molto più alto di quanto mostrino le statistiche» e coinvolge «una quota rilevantissima della società italiana».

    LEGGE ENTRO NATALE. Manovra di correzione e riforme strutturali: il ‘pacchettò complessivo di misure arriverà lunedì in consiglio dei ministri e diverrà ‘leggè entro Natale. Un iter da «record», come sottolineato oggi dallo stesso premier Mario Monti che è tornato a ribadire i tre cardini sui quali il governo sta lavorando: «Rigore, crescita, equità». Ad assicurare l’ok del Parlamento in 20 giorni è stato invece il presidente del Senato, Renato Schifani. L’obiettivo è quello di garantire il pareggio di bilancio nel 2013 ma anche rilanciare l’economia. Per la Confindustria la manovra «è necessaria» ed è «importante che ci siano anche misure che aiutino la crescita, perchè il Paese è in recessione», ha detto il presidente Emma Marcegaglia. «Non ammazziamo del tutto l’economia», ha aggiunto. Il governo sta dunque limando i provvedimenti. In primo piano sempre casa e pensioni. Per quanto riguarda la fiscalità immobiliare si ipotizza un ritorno dell’Ici ma che potrebbe essere progressiva, in qualche modo agganciata al reddito o al numero degli immobili. E comunque coordinata con la nuova Imu. Sulle rendite catastali la via più rapida sembrerebbe quella di una rivalutazione secca del 15%. Sempre in materia di tasse, possibile il rincaro di 1-2 punti per le aliquote Iva del 21% (che passerebbe al 23%) e anche del 10% (all’11%). Occorrerà verificare se questo spostamento del peso delle tasse sulle cose potrà vedere da subito anche un principio di alleggerimento dell’imposizione sui redditi da lavoro e sulle imprese. Per le pensioni si configura una stretta importante, dal blocco della perequazione automatica all’aumento degli anni di contributi (oltre i 40), dal contributivo pro-rata per tutti all’anticipo al 2012 della riforma che aggancia l’età pensionabile alle aspettative di vita. L’obiettivo è garantire la tenuta dei conti pubblici non solo nel medio-lungo periodo ma anche nel breve. Sulla questione oggi si è registrata la levata di scudi da parte dei sindacati. Se Susanna Camusso della Cgil parla di «40 come numero magico intoccabile», Raffaele Bonanni della Cisl chiede invece «un confronto trasparente» per sapere che cosa il governo intende fare anche sulla patrimoniale e sulla spesa pubblica. Le parti infatti non sono state ancora contattate dal nuovo governo. Almeno formalmente perchè, secondo quanto si apprende, comunque sono in corso contatti informali. Ma la richiesta è di vedere il ‘pacchettò completo delle misure per poter valutare quanto i sacrifici siano distribuiti. Oggi Monti ha assicurato che «le consultazioni ci saranno» ma si è anche appellato «al senso di responsabilità» delle parti sociali e del Parlamento perchè altrimenti «le conseguenze sarebbero molto gravi per tutti». E ha sottolineato che il governo è stato chiamato per «fare cose che le ritualità tradizionali forse non hanno consentito di fare». Intanto il ministro dello Sviluppo Corrado Passera ha incontrato oggi il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, quello dell’Abi, Giuseppe Mussari, insieme a quello di Rete Imprese, Ivan Malavasi, e Alleanza delle Cooperative Luigi Marino. Il pacchetto dovrebbe essere completato da alcune misure per rilanciare le infrastrutture, per favorire le liberalizzazioni, per rendere più efficiente il mercato del lavoro. Su quest’ultimo fronte, tra i più delicati, Bruxelles continua a chiedere all’Italia una maggiore flessibilità non solo in entrata ma anche in uscita.

    MONTI: MISURE STRUTTURALI I politici dei diversi Paesi non devono «imbrattare l’Europa» per addossare a questa le responsabilità di altri nella crisi ma ora l’Unione deve dimostrare ai mercati che il prossimo vertice dell’8-9 sarà «uno snodo fondamentale». Il premier e ministro dell’Economia Mario Monti alla fine dell’Ecofin ritrova alcuni accenti di quando era commissario europeo contro chi attacca la costruzione europea che può essere «criticata se sbaglia» nelle sue decisioni ma senza derive populistiche. Monti si ritrova così sulla linea del commissario Olli Rehn e della presidenza polacca secondo cui «stiamo entrando nei dieci giorni cruciali per la zona euro» e non è più tempo di rinvii. Una visione rincarata nel pomeriggio al Parlamento Ue dove Rehn parla di bivio fra «rafforzamento dell’euro e disintegrazione dell’Unione». E il professore rivendica il posto dell’Italia accanto a Francia e Germania come i maggiori paesi dell’Unione ma occorre continuare a «privilegiare il metodo comunitario». E proprio verso Berlino e Parigi, Monti rileva come «sappiamo che domani il presidente Sarkozy a Tolone e dopodomani il cancelliere Merkel a Berlino terranno importanti discorsi di politica europea io non ne terrò io parlerò come devo fare con le misure che adotteremo lunedì». Il nostro Paese così non teme il nuovo meccanismo dell’Unione di sanzioni semi automatiche e Monti rileva come «l’automatismo cieco è più equo della discrezionalità» come insegna la storia recente dove i Paesi grandi hanno ottenuto esenzioni. Ho sempre avuto una «posizione critica, come non ho esitato a dire l’altro giorno davanti a Merkel e Sarkozy, sui fatti del 2003 quando è stata tolta credibilità al patto di stabilità» chiosa. Ma oltre a censurare gli attacchi dei politici, Monti esprime perplessità anche per chi chiede una continua modifica dei trattati «spostando l’obiettivo sempre in là e pensando a una nuova soluzione istituzionale quasi sottovalutando ciò che è stato già deciso e posto in atto e richiede essere seriamente esercitato». La posizione non è quella di contrarietà alla modifica, ma vi è «consapevolezza del percorso non semplice che ogni modifica dei trattati comporta nella vita europea». «Va benissimo parlare di qualche cambiamento limitato ai trattati, ma male sarebbe non sottolineare il risultato molto importante che è il six pack (una prima stretta sulla governance già adottata dall’Ue, ndr) in cui già c’è forte aumento della credibilità dell’enforcement che trae molte lezioni da ciò che avvenuto nel 2003».

    PENSIONI, IL NO DEI SINDACATI I sindacati fanno muro contro le ipotesi di riforma della previdenza. Dicono un chiaro no in particolare al possibile blocco della perequazione per la totalità delle pensioni in essere per il 2012 e alla possibilità che si alzi l’asticella oltre i 40 anni per i contributi necessari all’uscita dal lavoro indipendentemente dall’età. E dubbi vengono avanzati anche dalla maggioranza che sostiene il Governo con il segretario del Pd, Pieruigi Bersani che sottolinea come il partito sia d’accordo su alcuni punti ma su altri no e che comunque il giudizio sarà dato sul «tasso di equità: chi ha di più – ha detto – deve dare di più». La Confindustria, invece, si schiera con il governo: «Questo non è il momento di porre veti – dice il presidente Emma Marcegaglia – Qui bisogna salvare il Paese». Il giorno dopo le indiscrezioni sulle misure previdenziali al centro del lavoro del governo è soprattutto dedicato ai distinguo, mentre il premier Mario Monti, rispondendo proprio ad una domanda sulle pensioni, fa appello al «senso di urgenza e responsabilità» di politica e parti sociali, senza il quale le conseguenze sarebbero «molto gravi per tutti». Con varie sfumature mostrano la loro contrarietà i segretari della Uil Luigi Angeletti, della Cgil, Susanna Camusso, e della Cisl, Raffaele Bonanni. Inflessibile è la Camusso. «Il Governo deve sapere che 40 è un numero magico e intoccabile – avverte – e mi pare che questo sia esaustivo della discussione». Gli risponde a stretto giro di posta la Marcegaglia. «Ormai di intoccabile non c’è più niente. Certamente credo che vadano toccate le pensioni: 40 anni non è un numero invalicabile». Il tema dell’anzianità è quello più delicato nella riforma che il Governo si appresta a mettere in campo dato che circa la metà delle persone che escono ogni anno lo fanno, grazie a queste regole, in anticipo rispetto all’età di vecchiaia (174.000 nel 2010 a fronte di 172.000 uscite per vecchiaia). E una parte consistente di coloro che escono lo fanno con 40 anni di contributi (tetto con il quale si può andare in pensione indipendentemente dall’età) visto che l’età media di uscita con l’anzianità è 58,3 anni per i dipendenti e 59,1 per gli autonomi. La Cgil inoltre sottolinea che il ventilato blocco dell’adeguamento all’inflazione delle pensioni in essere è «esattamente il contrario dell’equità perchè colpisce le fasce pi— deboli, gi… impoverite dalla caduta del potere d’acquisto di salari e pensioni». Un intervento assolutamente inaccettabile questo anche per la Cisl. «Sulle pensioni non vogliamo blitz – dice Bonanni – Con il governo non ci deve essere una sceneggiata in cui loro tirano dritto e gli altri protestano ma ci deve essere una discussione trasparente e immediato». Per Bonanni in materia pensionistica serve «il rafforzamento della previdenza integrativa, l’armonizzazione dei contributi e la fine dei privilegi. Se si allunga cos� tanto l’età bisogna capire che fine far… ogni lavoratore». La Uil chiede che si cominci ad affrontare piuttosto i privilegi delle altre categorie (a partire da quelle che pagano aliquote molto più basse dei dipendenti come i lavoratori autonomi) e fissa comunque un paletto contro eventuali aumenti del tetto dei 40 anni di contributi. «Sarebbe un obolo» – ha affermato il leader del sindacato, Luigi Angeletti, dato che con il sistema retributivo oltre il quarantesimo anno di lavoro non si prende per la pensione nulla di più (al massimo si riceve una pensione pari all’80% della media delle ultime retribuzioni dato che ogni anno vale il 2% della retribuzione). Ma siccome da prossimo con tutta probabilità si passerà al contributivo pro rata per tutti per gli anni lavorati in più oltre il quarantesimo si avrà comunque un riconoscimento.

    PENSIONI, PD IN FIBRILLAZIONE Gli incontri tra il premier Mario Monti e i vari leader di partito non sono stati ancora fissati ed è difficile che si svolgano prima di venerdì. Ma nei partiti sale la temperatura sulle ipotesi di misure anti-crisi che il governo varerà lunedì. Il Pd domani, in un vertice, cercherà una sintesi interna sulle pensioni e sul mercato del lavoro ma Pier Luigi Bersani ha già chiarito che il faro dei democratici è l’equità: «Sulla riforma previdenziale vedremo di che si tratta, su alcuni punti potremmo essere d’accordo, su altri no». Finora, a quanto si apprende da fonti parlamentari, nessun partito conosce quali provvedimenti il governo adotterà e l’entità della manovra. Ma le indiscrezioni alimentano dibattiti e levate di scudi preventivi. Il deputato Pdl Antonio Mazzocchi cerca di coinvolgere i parlamentari dei vari schieramenti in una raccolta di firme, con tanto di banchetti, contro la reintroduzione dell’Ici. E ancora ieri l’ex premier Silvio Berlusconi ha sbarrato la strada a qualsiasi ipotesi di patrimoniale. Veto che dal canto suo il Pd non accetta: «Nel centrodestra – tuona Bersani – si scherza con il fuoco, è evidente che se sono misure che chiamano ad uno sforzo collettivo, i patrimoni rilevanti a cominciare da quelli immobiliari non possono essere esentati». Il Pd, secondo un’espressione dello stesso segretario democratico, è pronto a «ingoiare rospi» per rimettere in carreggiata i conti e rilanciare la crescita. Ma la condizione ineludibile è che i sacrifici siano ripartiti per tutti a partire dal fatto che «chi ha di più deve dare di più». Solo se questo principio sarà rispettato, il Pd è pronto ad approvare misure sfidando il proprio elettorato. Bersani ha fiducia in Monti e sul ministro del Welfare Elsa Fornero. Ma le prime indiscrezioni sulla riforma delle pensioni non lo hanno convinto del tutto. D’altra parte il segretario Pd deve cercare di convincere tutti dentro il partito, anche chi come l’ex ministro Cesare Damiano ritiene «improponibile» un intervento sulle pensioni di anzianità in linea con l’altolà arrivato oggi dai sindacati. «Accetteremo misure che non sono nostre al 100 per cento ma abbiamo da dire la nostra», ripete Bersani che all’innalzamento tout court dell’età pensionabile preferirebbe la proposta del Pd di un sistema flessibile, costruito sulla logica degli incentivi e disincentivi tra i 62 e i 70 anni. E anche sull’ipotesi del mancato adeguamento all’inflazione per un anno il Pd vorrebbe che fossero esentate le pensioni più basse. Se il Pd aspetta il confronto con il premier, chi non ne sente bisogno è il leader Udc Pier Ferdinando Casini. «Non servono riunioni preventive – spiega – aspettiamo il governo in Parlamento, dove ci assumeremo la responsabilità di dire sì alle misure. Il messaggio che mandiamo a Monti è uno: faccia qualcosa per le famiglie».

    fonte:leggo

    Più informazioni su

      Commenti

      Translate »