IL PAESE DELL´ANIMA

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    C’è per tutti un paese dell’anima. Il mio è aperto al mare e ai venti, in bilico sui dirupi, che minacciano il volo nella pianura.Nei giorni di scirocco l’acre della salsedine si posa sulle bacche di ginepri, lentischi e mirti che arabescano di verde il bianco lunare delle pietre, anatre in cova ossificate dal tempo.La tramontana è carezza lieve di profumi: lavanda, erica, ginestre e rosmarino. Rotola giù dalle colline, intermittente, e si frantuma l’eco sul greto ciottoloso dei torrenti, il campanaccio delle mandrie alla pastura. Sfavilla nella gloria del sole il Solofrone e scivola a cascata a levigare altari di pietra ambrata con il carico della malinconia della poesia di Bernardino Rota: Nella gola di Tremonti risuona il grido di libertà di Spartaco, liberto/eroe, qui spentosi all’ultima battaglia. Fuoriescono dalle lapidi ed animano  vicoli, slarghi e piazze a rievocare l’epopea cilentana del 1848, artigiani e contadini consacrati eroi dalla fucileria del colonnello borbonico Recco. Nelle notti illuni alle grotte inaccessibili di vegetazione intricata la civetta, che lacera silenzi, è canto disperato di briganti: tarlo truce di vendetta e slancio generoso di giustizia. Nelle notti serene, con le stelle a ricamare d’argento il blu/lavagna del cielo, il mare da Capri a Punta Licosa narra, con nenia dolce alla risacca, di Sirene alla impossibile cattura di Ulisse pellegrino. E al Castello/fortilizio di Vatolla solenne e cupa l’ombra di Giambattista Vico scende alla conca di Elea a riannodare i fili di Pensiero con Parmenide e Zenone.Giù nella pianura il sole del tramonto conflagra con il mare greco ed accende bagliori di storia alle colonne doriche dei templi maestosi; e scie iridescenti popolano le vie del Mediterraneo di dei e di eroi, di navigatori e mercanti ed esaltano Paestum città di approdi e di partenze, crocevia e snodo di civiltà. Nei vicoli che, di notte, s’aprono alla luna e, di giorno, giocano a nascondino tra ombra e luce, nella bella stagione ostentano in allegro disordine vasi di basilico, garofani e gerani: e dalle ferite dei muri sbrecciati succhiano linfa di vita e di bellezza violeaciocche e bocche di leone. Sull’acciottolato levigato dal passo di secoli dormono indisturbati gatti screziati, ladri di sole. E, a più riprese, nel corso dell’anno, vi caracollano nella danza dei portatori le statue lignee alle rifrangenze delle luminarie tra l’esplosione festosa delle granate a ricamo di cielo.:Ed hanno suggestioni poetiche e tensioni emotive le processioni nello sfarzo dei colori, il roso dello stendardo, il bianco dei camicioni dei fratelli della congrega, l’oro delle stole ricamate degli officianti: momenti magici di abbraccio corale tra Santi Protettori e comunità di fedeli. Nel piccolo camposanto, aperto ai silenzi profumati della campagna, le ombre dei morti materializzano vita accendendo sorriso ai “ritratti” ad eternare stagioni felici nei vestiti della festa. E voci e risa e volti vecchi e nuovi popolano paese e campagne nel girotondo allegro dei mestieri a strappare povera ricchezza alla fatica del vivere. E, richiamo d’amore, fanno ressa alle porte del cuore e reclamano voce che si fa poesia. E l’universo si fa paese ed il paese si dilata a mondo nella dimensione universale dello spessore dei sentimenti, delle emozioni e dei valori. Eppure, anche nella universalità del comune sentire, ognuno ha bisogno di un luogo fisico che dia giustificazione e slancio alle partenze cariche di entusiasmo e reclami la quiete degli approdi. C’è per tutti il momento dell’ebbrezza del volo a fuga dalla cova come della nostalgia del ritorno al nido. E la poesia si carica di fuga di libertà, che è anche lacerazione di partenza e dolore di lontananza e, insieme, di ricongiungimento da memoria a riconquista orgogliosa di identità.

     

    E’ Trentinara il  mio “paese dell’anima”, uno dei tanti del cuore antico del Cilento, assurto a simbolo, spesso mitizzato per orgoglio d’amore, di scrigno prezioso di memorie  di valori per un poeta inquieto ed errabondo come me. che, come tutti i poeti, si sente ed è cittadino del mondo. Eppure, nell’insopperibile bisogno di un ancoraggio fisico. sempre più forte con l’avanzare degli anni e quasi per un anticipo di prova generale dell’ultimo viaggio, spesso si leva e reclama la voce, che è d’amore e di poesia insieme, come sottofondo ricorrente anche in questo scampolo di vacanza 2011 :

     

     “E’  chisto lo paese addò sò nato

     

    e ccà voglio turnà quanno ca moro”

     

     Giuseppe Liuccio

     

    g.liuccio@alice.it

     

     

     

     

     

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