yara gambirasio: trovato il dna dell assassino è di un giovane forse italiano

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    Bergamo, 16 giugno 2011 – (ANSA)Uomo. Probabilmente bianco e italiano. E’ l’assassino di Yara Gambirasio. Ha lasciato sugli slip della sua piccola vittima il suo Dna, la tragica firma di un’aggressione finita in omicidio. Si tratterebbe di liquido seminale dal quale è stato ricavato il suo profilo genetico, una impronta «forte», che ha resistito al tempo, alle intemperie, all’azione degli animali. Il Dna dell’omicida della piccola campionessa di ginnastica sparita la sera del 26 novembre all’uscita del centro sportivo di Brembate di Sopra e ritrovata senza vita tre mesi dopo in un campo incolto a Chignolo d’Isola, a non più di una decina di chilometri da casa.

    Un risultato importante al quale si è giunti esaminando i quattro profili genetici ritrovati addosso alla ragazzina tredicenne: sugli slip, sul giubbino (uno maschile e l’altro femminile) sulle dita (indice e medio) di un guanto. Un passo avanti è stato compiuto quando si è potuto stabilire che quello sul giubbino era un Dna misto di Yara e di una delle sue istruttrici di ginnastica. Quindi da escludere. Invece il profilo genetico sull’indumento intimo è apparso inequivocabile. Per la sua natura. Perché per la posizione in cui è stato trovato viene giudicato non contaminabile, a differenza dei profili sul giubbino e di quelli sul guanto. Un particolare che pare confermare come l’assassinio di Yara sia nato da un tentativo di violenza, peraltro non portato a termine.

    Nei giorni scorsi si era sviluppata un’altra fiammata di ottimismo. Gli esperti del Ris di Parma avevano individuato una decina di punti di contatto fra il cromosoma Y nel profilo genetico su Yara e alcuni dei circa 2500 profili prelevati a Brembate in questi mesi di indagini estenuanti. Gli esami sono proseguiti. Se si fosse trovata una assoluta coincidenza fra il cromosoma rimasto su Yara e quello di uno dei profili prelevati avrebbe significato che il ceppo genealogico dell’assassino era stato individuato. Così non sarebbe stato. Si parla adesso di somiglianza, di similitudine fra i cromosomi Y, non di perfetta identità.

    Ma le analisi proseguono così come proseguono le comparazioni, i confronti. Se risultasse una comunanza del patrimonio cromosomico (i 13 punti del protocollo dell’Fbi americano) fra il Dna sotto osservazione e uno di quelli prelevati significherebbe che è stato individuato un consanguineo del killer di Yara. Se però l’assassino non fosse fra i 2500 le indagini ripiomberebbero nel buio. Si parte in ogni caso da una scoperta basilare. «E’ un punto di partenza — conferma Luciano Garofano, generale dei carabinieri ed ex comandante del Ris di Parma — che mi riporta, anche per la violenza, alle indagini sull’omicidio di Maria Fronteler, una donna di una settantina d’anni uccisa il primo aprile del 2002 nella zona di Dobbiaco.

    Isolammo dieci soggetti, che avevano precedenti penali e comportamentali, più un undicesimo che poi risultò essere l’assassino. Tutti e undici avevano Dna piuttosto simili. Perché? La spiegazione era che in una comunità piccola come quella dove era avvenuto l’omicidio non c’era una particolare mescolanza di caratteri genetici. Facemmo un tentativo chiedendo agli uomini del posto di sottoporsi al prelievo del Dna e di rilasciare i propri dati anagrafici. Raccogliemmo circa 400 campioni.

    Non eravamo arrivati a cento quando arrivammo alla persona con la somiglianza più stringente. Arrivamo al padre dell’aggressore, che condivideva più del 50 per cento del dna. Il figlio era militare negli alpini. Di notte, ubriaco di birra, era rientrato in paese, aveva aggredito l’anziana e di fronte alla sua reazione l’aveva uccisa. Per Yara abbiamo un profilo di partenza. Se l’assassino fa parte della comunità perché non chiedere a tutti di rilasciare il Dna?».

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