GHEDDAFI IN TV: "MORIRÒ QUI". OLTRE MILLE VITTIME A TRIPOLI, L´ONU CONDANNA LE VIOLENZE

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    TRIPOLI – In un furibondo e disperato discorso trasmesso in diretta dalla tv di Stato Muammar Gheddafi ha oggi sfidato chi lo vuole cacciare dal potere, proclamando che morirà in Libia «da martire», minacciando di «ripulire la Libia casa per casa» dai ribelli e scagliandosi contro chi vuole «infangare» la Jamahiriya e rovesciare il suo regime.

    Sono oltre mille i morti a Tripoli durante i bombardamenti sulla folla di manifestanti scesi in piazza per protestare contro il regime di Muammar Gheddafi. A riferirlo è il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi, che è in costante contatto, da Roma, con alcuni testimoni in Libia. «Manca l’energia elettrica e i medicinali negli ospedali», ha riferito ancora Aodi, che ha rivolto un appello al governo italiano affinchè si mobiliti «per un aiuto economico e con l’invio di medicinali in Libia. Il governo non rimanga in coma, sordo e cieco, alla rivoluzione che è in atto in queste ore». Secondo al-Jazeera due navi libiche dovevano bombardare Bengasi dal mare, ma hanno disertato. Intanto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità una dichiarazione in cui si «condannano le violenze» degli ultimi giorni in Libia e si «deplora la repressione» avviata dal governo di Muammar Gheddafi.

    IL DISCORSO DI GHEDDAFI Abbigliato in una tunica marrone, in piedi davanti ai resti della sua casa a Tripoli bombardata dagli americani nel 1986 – come già la notte scorsa quando aveva assicurato che non era fuggito in Venezuela – il rais Gheddafi ha rivendicato la sua leadership: «Sono il capo della rivoluzione, non un qualsiasi presidente che possa dimettersi» e promettendo «resisterò fino all’ultima goccia di sangue». «È il mio Paese – ha ripetuto più volte – quello dei miei genitori e dei miei antenati». È stato un discorso fiume durato circa 75 minuti, in cui il colonnello, il suo Libro verde in mano, picchiando anche i pugni sul podio, ha parlato a scatti, con voce spesso alterata dalla collera. E ha rivendicato il potere sul ‘suò Paese, «infangato dalle tv arabe», e precipitato nel caos per opera di «pochi giovani drogati», cui sono stati dati «allucinogeni come è stato fatto in Tunisia ed Egitto».

    Nella sua furia contro i manifestanti, ai quali ha minacciato la «pena di morte», Gheddafi non ha risparmiato le parole: «Ratti, mercenari pagati da servizi segreti stranieri», li ha definiti. Mentre dal confine con l’Egitto i soldati passati con i «ribelli» annunciano che tutta la parte orientale della Libia è sfuggita ormai al controllo del regime, il colonnello ha chiamato la popolazione a manifestare domani per lui, e incitato i «giovani» a creare «comitati di difesa per proteggere strade, ponti e aeroporti». «Chiunque ami Muammar Gheddafi esca di casa e vada nelle strade», ha sollecitato, chiedendo ai suoi sostenitori, ai poliziotti, all’esercito, di «attaccare» gli oppositori «nei loro covi». «Non siamo ancora ricorsi alla forza, ma lo faremo»se le proteste continueranno, ha detto, prospettando ai manifestanti una repressione analoga a quella di piazza Tiananmen (1989) e a a Falluja, in Iraq, da parte dell’esercito americano nel 2004. Gheddafi, come suo figlio Seif el Islam, ha brandito la minaccia integralista, accusando gli insorti di voler fare della Libia un emirato islamico guidato da Osama bin Laden per dare così agli Usa «un pretesto per intervenire». Oltre a scagliarsi contro le tv satellitari arabe per l’immagine «distorta» data della Libia, Gheddafi ha accusato i «fratelli arabi» di «tradimento» e non ha risparmiato strali a Italia e Stati Uniti: hanno dato razzi, ha detto, «ai ragazzi di Bengasi», il capoluogo della Cirenaica, da dove è partita la rivolta. Ribadendo che «nessun pazzo farà a pezzi il nostro Paese», il colonnello – che ha più volte ripetuto «rivoluzione, rivoluzione» – ha riservato anche qualche concessione ai libici promettendo da domani una «nuova Costituzione», e ha offerto alla popolazione «qualsiasi forma di governo vogliano».

    NAVI ITALIANE DAVANTI LIBIA, PRONTE A EVACUARE CONNAZIONALI Ed oltre ai migranti c’è anche il problema di evacuare i cittadini italiani ancora in Libia, se la situazione dovesse peggiorare: diverse centinaia a Tripoli e almeno centocinquanta tra Bengasi e altre città della Cirenaica, dove si sono registrati i combattimenti più duri. Per questo sono salpate da Taranto e Brindisi il cacciatorpediniere Mimbelli e le due unità anfibie gemelle San Marco e San Giorgio: verranno schierate in acque internazionali ma ad una distanza di massimo cinque-dieci ore dalla costa libica di Tripoli e Bengasi in modo da essere immediatamente operative. La Difesa ha messo poi a disposizione quattro-cinque aerei C130, anche se oggi il tentativo di far partire un primo velivolo per la Libia è fallito a causa della mancanza delle condizioni di sicurezza per ripartire.

    RISCHIO APPROVVIGIONAMENTO ENERGETICO Naturalmente la crisi ha anche riflessi economici, visti i quantitativi di gas e petrolio che l’Italia importa dalla Libia, gli interessi delle nostre aziende, tra cui colossi come Eni e Finmeccanica, nel paese e le partecipazioni nelle aziende italiane dei fondi di Tripoli. Con le riserve energetiche a disposizione, l’Italia potrebbe arrivare fino a luglio, secondo la stima del ministro Romani. Il blocco delle forniture potrebbe poi far schizzare in alto i prezzo della benzina, Per quanto riguarda gli impianti italiani in Libia, sembrerebbe che al momento non c’è stato alcun sabotaggio e che ogni struttura potrebbe continuare a funzionare. Ma la fuga della maggior parte del personale libico impedisce di fatto ai tecnici italiani di mantenere aperti gli impianti.

    ITALIANO RIENTRATO, HANNO PROVATO A LINCIARCI «Hanno provato a linciarci. Ho avuto paura, è stata una situazione veramente drammatica». È la testimonianza, raccolta all’aeroporto di Fiumicino, di uno degli italiani, un addetto di origine siciliana di una ditta petrolifera, rientrati da Tripoli con il volo speciale Alitalia allestito per conto della Farnesina. «Nel tragitto da Sabratha a Tripoli – ha raccontato – gruppi di manifestanti hanno circondato la nostra macchina che era guidata da un libico: hanno chiesto di che nazionalità fossimo. Alla risposta dell’autista che eravamo italiani qualcuno si è innervosito ed hanno provato a tirarci fuori con la forza dalla macchina. È intervenuto poi qualcuno dello stesso gruppo di manifestanti a difenderci e alla fine ci hanno fatto passare con l’auto». L’uomo è apparso visibilmente scosso e provato. «Ci sono vari blocchi sulle strade – ha aggiunto un altro collega dell’Eni – ci hanno fermato 5 o 6 volte chiedendoci continuamente da dove provenivamo. Erano giovani e armati. Per arrivare a Tripoli abbiamo impiegato quasi tre ore. Dopo la giornata di oggi, veramente caotica, vogliamo solo tornare a casa presto»

    MINISTRO INTERNO: “SONO VIVO, PASSO CON RIVOLTOSI” Il ministro dell’interno della Libia, Abdel Fatah Yunis, che nel suo discorso Muammar Gheddafi aveva dato per morto, assassinato a Bengasi, è vivo e ha annunciato la propria defezione e il suo appoggio alla «rivoluzione del 17 febbraio». Lo dice l’emittente Al Jazira.

    fonte:leggo                       scelto da michele de lucia

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