A che punto sono le rivoluzioni? Breve atlante ragionato delle rivolte tra Nordafrica e medio oriente

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     Tutto è cominciato in Algeria e Tunisia con quella che ai primi di gennaio è stata ribattezzata la rivolta del couscous. La fiammata dei prezzi delle materie prime alimentari sui mercati internazionali aveva reso improvvisamente più acuta la crisi dei due paesi nordafricani. Certo, nessuno avrebbe potuto immaginare un effetto domino tale da mettere in crisi alcuni tra i regimi più solidi del mondo arabo, da quello del tunisino Ben Ali a quello del rais egiziano Mubarak. Eppure così è stato. Anzi. La rivolta si è rapidamente estesa, anche grazie all’uso dei social network come twitter e facebook, fino al Golfo Persico. Ecco cosa è accaduto e sta accadendo in Nord Africa e nel Medio Oriente, a cominciare dalla Tunisia e, a seguire, negli altri paesi

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    Tunisia, la rivoluzione dei gelsomini è l’inizio

    Tutto è iniziato a Sidi Bouzid, cittadina della Tunisia interna. Il 17 dicembre scorso, il venditore ambulante di verdure Mohamed Bouazizi, esasperato da una storia di minutaglie burocratiche vessatorie, minitangenti di quartiere e umiliazioni ricevute dalla polizia, si dà fuoco in piazza. Morirà il 4 gennaio, in conseguenza delle ustioni. La vicenda di Bouazizi – passato alla storia come il “venditore ambulante laureato”, ma in realtà costretto ad abbandonare la scuola prima dei vent’anni per mantenere i fratelli agli studi – è il motore simbolico che avvia la “Rivoluzione dei gelsomini” in Tunisia. A partire da dicembre si moltiplicano le proteste di strada in tutte le città del paese.

    I dimostranti chiedono la fine della dittatura ultraventennale di Zine El-Abidine Ben Ali e manifestano contro la corruzione di cui è intrisa la Tunisia, contro la disoccupazione endemica, contro l’aumento dei prezzi e per una maggiore libertà, sistematicamente conculcata da un regime repressivo durato 23 anni. Lo scontro si radicalizza (i morti saranno in tutto circa ottanta). Il 14 gennaio Ben Ali è costretto a scappare in Arabia Saudita e negli ultimi giorni si rincorre la notizia non confermata che l’ex dittatore sia morto a Jedda, mentre la Svizzera sta bloccando e vagliando i depositi nelle proprie banche riconducibili all’ex presidente tunisino e alla sua cerchia. L’atteggiamento dell’esercito ha avuto un ruolo di primo piano nell’accelerare la frana del regime di Ben Ali.

    Il primo ministro Mohamed Ghannouci, cresciuto nei ranghi benalisti, cerca di guidare il paese verso elezioni nei prossimi mesi. Mentre la situazione rimane turbolenta, migliaia di tunisini cercano di sfruttare lo scompiglio per spiccare il balzo verso l’Europa (e in particolare verso la porta marittima italiana, che conduce verso Nord chi vuol giocare la carta dell’immigrazione clandestina). Ghannouci ha impastato e rimpastato a più riprese il proprio governo e a inizio febbraio ha fatto sciogliere d’imperio il Raggruppamento democratico costituzionale, il partito di Ben Ali di cui lui stesso è un veterano. Intanto numerosi movimenti politici di varia natura cercano la legalizzazione e la Tunisia rimane in una situazione fluida e parzialmente anarcoide di cui è difficile prevedere gli sviluppi. Ma la Rivoluzione dei Gelsomini ha innescato una serie di contraccolpi a catena in molti altri paesi della regione.

    Egitto, la rivoluzione del loto e il rischio integralista

    Stimolate dalle notizie in arrivo dalla Tunisia, in cui si stava consumando la Rivoluzione dei Gelsomini, in Egitto la prime proteste di piazza si sviluppano il 25 gennaio al Cairo e ad Alessandria. Le parole d’ordine dei manifestanti sono analoghe a quelle che guidano la rivolta contro il regime di Ben Ali: basta con la corruzione, più lavoro, più libertà, prezzi meno alti per i beni di primo consumo e soprattutto stop al regime autoritario del “Faraone” Hosni Mubarak, al potere da trent’anni e da tempo impegnato ad aprire per il figlio Gamal una strada moquettata verso la sua successione. I disordini si diffondono in molte città (i morti, alla fine, saranno più di 350) mentre Piazza Tahrir al Cairo diventa il cuore geografico e simbolico della “Rivoluzione del Loto”.

    Il 29 gennaio viene nominato vicepresidente l’ex capo dei Servizi egiziani, Omar Suleiman. Sarà lui ad annunciare, l’11 febbraio, la fine dell’era di Hosni Mubarak. Il potere passa temporaneamente all’esercito che dovrebbe accompagnare il paese verso future elezioni in cui, questo è il timore di molti sia in Egitto sia in Occidente, potrebbero avere un ruolo da protagonisti i Fratelli musulmani e altre organizzazioni islamiste. Intanto Mubarak, anziano e malato, si è ritirato lontano dal palcoscenico a Sharm el-Sheikh, anche se varie voci, in via di affievolimento, lo vorrebbero in procinto di trasferirsi in Germania, per cure urgenti. Intanto la Svizzera ha bloccato e sta controllando conti bancari riconducibili al Faraone. La situazione in Egitto resta tesa e oggi il premier inglese, David Cameron, è arrivato al Cairo per una visita non programmata.

     

    Libia, la rivolta più veloce e la repressione brutale

     

    A metà febbraio le proteste che infiammano una parte consistente del mondo arabo hanno raggiunto anche la Libia del colonnello Muhammar Gheddafi. In pochissimi giorni la situazione è andata fuori controllo. Ci sono stati violenti scontri tra manifestanti antigovernativi e gruppi che sostengono il rais. Il regime ha deciso di applicare la massima brutalità nel tentativo di stroncare la rivolta. Già centinaia i morti, moltissimi i feriti. Le città principali sono sprofondate nel caos, migliaia di persone occupano la Piazza Verde di Tripoli, i palazzi del potere sono in fiamme, le notizie si rincorrono confuse. Voci su importanti defezioni nell’esercito si mescolano a quelle di un golpe in atto, il ministro della Giustizia, Mustafa Mohamed Abud Al Jeleil, si sarebbe dimesso per l’eccessiva violenza della repressione. Secondo voci non confermate Gheddafi sarebbe in fuga, forse verso il Venezuela.

    Algeria, lo stato d’emergenza

  • A partire da gennaio, l’Algeria ha assistito a varie proteste antigovernative che hanno portato in superficie il malessere che da tempo sobbolle nel più vasto paese del Maghreb. I principali motivi di malcontento sono la disoccupazione e la corruzione diffuse, l’aumento dei prezzi per i beni di prima necessità e il persistere di un quasi ventennale “stato di emergenza” e di pratiche di governo autoritarie. Nel mese di gennaio, alcuni algerini si sono autoimmolati, a imitazione del venditore ambulante tunisino Mohamed Bouazizi che, dandosi fuoco, aveva innescato la rivolta popolare nel suo paese. Il presidente algerino, Abdelaziz Bouteflika, al potere dal 1999, ha cercato di calmare gli animi, promettendo che presto revocherà lo stato di emergenza.
  • Bahrain, il sovrano negozia con gli oppositori

    In Bahrain, miniarcipelago indipendente nel Golfo Persico, sono in corso da alcune settimane grandi proteste di piazza contro il re Hamad bin Isa al-Khalifa, che infine hanno portato all’annullamento del Gran premio di Formula1. Il piccolo Stato petrolifero ha grande importanza strategica e ospita la Quinta Flotta della Marina militare americana, impegnata a “controllare” il dirimpettaio Iran e in operazioni di appoggio su fronti caldi come l’Afghanistan e l’Iraq. Le manifestazioni, che si irradiano da Piazza della Perla nella capitale Manama, chiedono che la dinastia regnante promuova riforme politiche ben più sostanziali di quelle attuate con il prudentissimo restyling del 2002, anno in cui la monarchia assoluta si fece pallidamente costituzionale.

    Ma il quid della protesta è da ricercarsi nel fatto che, mentre la dinastia regnante è sunnita, circa il 70 per cento della popolazione autoctona del paese è sciita ed è assai sottorappresentata politicamente e da sempre penalizzata in ogni ambito della società a vantaggio della minoranza sunnita. La brutale repressione delle proteste di piazza ha causato sei morti. Ora il sovrano e la sua famiglia annunciano la volontà di negoziare con gli oppositori.

    Giordania, il nuovo governo

    Il Regno di Giordania, a partire da gennaio, è stato attraversato dalle proteste di piazza, particolarmente accese ogni venerdì, giorno della preghiera. Gli oppositori, fra cui è particolarmente attiva la Fratellanza Musulmana, di norma non hanno attaccato direttamente la figura del re Abdallah II, discendente diretto del Profeta, ma hanno appuntato le loro critiche sul suo primo ministro Samir Rifai e sulla regina Rania (di origine palestinese), accusata di spese eccessive. Sull’onda delle pressioni della piazza, il primo febbraio il re Abdallah ha sciolto il governo e ha sostituito il primo ministro Rifai con l’ex generale Marouf al-Bakhit. Il regno hashemita vive una profonda crisi economica e il malessere è generato dal fatto che un quarto della popolazione vive in condizioni di severa povertà e il tasso di disoccupazione è molto alto, specie tra i giovani. Motivo di permanente frizione e anche l’enorme presenza di rifugiati palestinesi.

    Marocco, la protesta più contenuta

    In Marocco l’ondata di proteste popolari che sconvolge il Maghreb e altri paesi arabi è per ora stata più contenuta rispetto ai paesi vicini. Nonostante la diffusione della povertà e la carenza di democrazia, il re Mohammed VI gode di genuina simpatia presso al maggioranza dei suoi sudditi. In più, succeduto nel 1999 al padre, il ben più autoritario Hassan II, il monarca quarantasettenne ha mantenuto fino a oggi l’immagine di un riformista. Nonostante il rispetto per il re, anche in Marocco nelle ultime settimane ci sono state proteste legate all’aumento dei prezzi, a una situazione economica difficile per molti e alle richieste di una riduzione dei poteri in mano al sovrano. A queste richieste si mescola la presenza di alcune organizzazioni islamiste spesso colpite con arresti dalle autorità. Ieri alcune decine di migliaia di persone sono scese in strada in varie città del paese. In alcuni casi ci sono stati episodi di violenza e di danneggiamento e nel centro settentrionale di Al Hoceima cinque persone sono morte nell’incendio di una banca. La situazione del paese sembra rimanere più tranquilla rispetto a quella dei vicini, ma la sensazione è quella di una modesta e graduale intensificazione delle proteste

    Yemen, la rivolta degli universitari

    Da più di un mese decine di migliaia di persone animano manifestazioni antigovernative in Yemen. Nella capitale Sana’a gli studenti universitari sono stati particolarmente attivi nelle proteste, che chiedono un passo indietro al presidente Ali Abdullah Saleh, al potere dal 1978, prima nel solo Yemen del Nord e poi nel paese riunificato. Il presidente ha promesso che non si ricandiderà nelle elezioni del 2013, ma esclude di lasciare il suo posto prima di allora. I manifestanti lamentano, oltre all’autocrazia di Saleh, di cui si sospettano volontà di prolungamento dinastico del suo potere, anche la pessima gestione dell’economia del paese. Violenti scontri hanno opposto chi protesta e squadracce di picchiatori “controrivoluzionari” assoldati e armati dal governo. I morti nel paese sarebbero ormai una dozzina. Lo Yemen, uno dei paesi arabi più afflitti dalla povertà, è anche fortemente infiltrato da al Qaeda e da altre organizzazioni dell’estremismo islamista.

    fonte:sole24ore                        scelto da michele de lucia

     

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