PONTELANDOLFO E CASALDUNI A FERRO E FUOCO

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    Amici lettori,

    L’estate è finita e riprendiamo il discorso interrotto qualche mese fa.

    Quasi tutti sanno che si avvicina il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, tra mille polemiche sia al nord che al sud. Purtroppo i fatti dimostrano che il divario nord – sud dal 1861 è solo peggiorato (a differenza della Germania che in 20 anni ha integrato l’ex DDR con risultati più che soddisfacenti), a danno di noi meridionali. Bisognerebbe capire i tanti motivi che hanno motivato la colonizzazione dell’ex (pacifico) Regno delle 2 sicilie, In quel periodo a metà dell’800 eravamo un ostacolo per l’Inghilterra, con una “Marina mercantile e militare” sempre più intraprendente e invadente (secondo loro), e la Francia non poteva permettere che il mediterraneo potesse diventare un lago “inglese”. Quindi si pensò bene di creare uno staterello nel centro del mediterraneo. Cavour che aveva l’appoggio delle 2 super potenze europee diventò improvvisamente uno statista, (spinto anche dalla situazione economica fallimentare che vessava l’ex regno di Sardegna) e il “sud”diventò un’occasione ghiotta per risanare le loro misere finanze. Né Cavour né tantomeno Vittorio Emanuele II avevano mai messo piede nel Regno delle 2 Sicilie prima del 1861! Ma essi si arrogarono il diritto di superiorità verso un popolo, condannandolo ad un’inferiorità reale, che dura ancora a tutt’oggi. Non vorrei elencare di nuovo i primati che vantava il meridione prima dell’annessione (o conquista, oppure occupazione a voi la definizione), ma sappiamo per certo, il comportamento avuto dai nuovi amministratori sabaudi (che non avevano né esperienza amministrativa né una tradizione giuridica per gestire un popolo di 22 milioni di abitanti) verso le nostre industrie (siderurgiche di Mongiana, ferrovie di Pietrarsa, cantieristiche di Castellammare di Stabia, olio, vini, formaggi, ceramiche, cartiere, pastifici ecc.) che esportavamo soprattutto all’estero, le quali ebbero una brusca frenata all’indomani dell’unità. Fu un duro colpo per l’economia di queste terre, costringendo alla sua popolazione quella di diventare briganti (combattere lo straniero) od espatriare oltre oceano, lasciando il sud senza padri, solo vecchi, donne e bambini, immaginiamo solo per un momento cosa era il mezzogiorno tra il 1861 e il 1920, con una guerra civile prima (fino al 1870) ed una guerra mondiale (1915-18), dove il povero meridionale ha pagato il dazio più alto, venivano sistematicamente messi in prima linea, poiché erano ritenuti di razza inferiore.

     

    Oggi leggo con attenzione che la provincia di Salerno chiede il distacco (o devoluzione) dalla Campania, chiamandolo “Principato di Salerno”!

    Un principato si chiama tale perché si ipotizza di avere un principe. Chi sarebbe il principe? Cirielli? Forse gli sta stretto Caldoro? La cosa la trovo anacronistica, non attuabile. Allora potrebbero avere ragione anche quelli che vorrebbero l’antica repubblica di Amalfi! Secondo il mio modesto parere potrebbe nascere qualcosa del genere sono in un’Italia federale, dove un sud continentale ripartisse secondo antichi schemi, riproponendo una versione aggiornata e attuale delle provincie in uso nell’ex Regno duo siciliano. Sapere che la provincia di Salerno occupi il suo tempo per tali ragioni non mi sembra molto edificante. Il sud dovrebbe aver il coraggio di guardare oltre gli schieramenti politici che amministrano oggi e nel passato recente, non hanno fatto molto per una vera integrazione, e pensare che sono passati 150 anni!

    Giovanni Cervero

     

    PONTELANDOLFO E CASALDUNI A FERRO E FUOCO

    Il 12 agosto al maggiore Melegari fu ordinato di presentarsi dal generale Cialdini; con solerzia si recò alla luogotenenza, dove lo ricevette il generale Piola-Caselli, che lo fece accomodare e gli disse: – Maggiore, lei avrà sentito parlare di sicuro del doloroso ed infame fatto di Casalduni e Pontelandolfo; ebbene, il generale Cialdini non ordina, ma desidera che quei due paesi debbano fare la fine di Gaeta, ossia devono essere rasi al suolo ed i suoi cittadini massacrati. Ella, Sig. Maggiore, ha carta bianca ed è autorizzata a ricorrere a qualunque mezzo, e non dimentichi che il generale desidera che siano vendicati i soldati del povero Bracci. Infligga a quei due paesi la più severa delle punizioni e ai suoi abitanti faccia desiderare la morte. Ha ben capito? Melegari:- Signorsí, so benissimo come si devono interpretare i desideri del generale Cialdini. Sono stato con lui in Crimea e con lui ho fatto tutta la campagna del 1859, cosa devo fare. Cialdini in un’altra stanza stava istruendo il generale De Sonnaz che doveva dirigere le operazioni. Melegari partì con una compagnia di quattrocento soldati e il 13 mattina giunse a Solopaca; a mezzogiorno nei pressi di Guardia. Alle due del mattino del 14 agosto Melegari ed i suoi quattrocento eroi avevano invaso San Lupo; fece svegliare il capitano della Guardia Nazionale al quale disse: -Capitano, mi occorrono duecento uomini, devo attaccare i briganti. – Maggiore, i briganti sono tanti e bene armati. Ci faranno a pezzi se andiamo sul loro terreno! – rispose l’ufficiale della guardia nazionale. Melegari: – Capitano, niente di tutto questo, non sono venuto qui per combattere contro Giordano, ora è troppo forte. Sono venuto qui per punire gli abitanti di Casalduni; a Pontelandolfo sta dirigendosi De Sonnaz. So cosa devo fare. Lei deve occupare il promontorio da cui si domina la valle ed aspettare miei ordini. Qualcuno, forse qualche parente del capitano della guardia nazionale, corse ad avvertire il sindaco di Casalduni, Ursini. Da quel momento iniziò l’esodo dei casaldunesi verso le montagne difese dai partigiani di Giordano Alle quattro del mattino il 18° battaglione, comandato dal maggiore Melegari e guidato verso Casalduni dal liberale Jacobelli e dalla spia Tommaso Lucente, ricco nobilotto di Sepino, aveva già circondato il paese. Melegari si attenne agli ordini ricevuti dal generale Piola-Caselli e fece disporre a schiera le quattro compagnie di cento militi ciascuna. Dovevano aprire il fuoco di fila per incutere paura ai partigiani, che, secondo le informazioni ricevute, avrebbero dovuto difendere Casalduni da attacchi esterni; e poi attaccare il paese, baionetta in canna, di corsa, concentricamente. Le quattro compagnie ebbero il comando di carica alla baionetta dall’eroico Melegari e cominciarono la carneficina ed il saccheggio delle case e delle chiese come erano soliti fare per poi passare ad incendiarle. La prima casa ad essere bruciata fu quella del sindaco Ursini, indicata alla truppa dal servo nonché traditore Tommaso Lucente da Sepino. Sentendo gli spari e le grida dei bersaglieri, i pochi rimasti in paese uscirono quasi nudi; cercavano la montagna e trovarono la morte, infilzati dalle baionette dei piemontesi. Un certo Lorenzo D’Urso commerciante, fattosi sull’uscio per salutare i soldati, fu crivellato di colpi e poi infilzato dalle baionette; e così moltissimi cittadini inermi. L’eccidio fu meno feroce che a Pontelandolfo perché appunto, la gente, avvertita, era scappata. Dopo aver messo a ferro e fuoco Casalduni ed aver sterminato gli abitanti ivi rimasti, l’azzurro ed eroico maggiore Melegari chiamò a sé il tenente Mancini e gli ordinò di andare a Pontelandolfo per ricevere istruzioni dal generale De Sonnaz. Dopo un’ ora il tenente ritornò, scese da cavallo e rivolgendosi al suo maggiore disse: – Possiamo tornarcene a San Lupo il colonnello Negri ha distrutto completamente Pontelandolfo. Ho visto mucchi di cadaveri, forse cinquecento, forse ottocento, forse mille, una vera carneficina!. Melegari: – Ci hanno fregati quelli del 36° fanteria! Casalduni era quasi vuota, qualcuno ha avvertito la popolazione!. Dalle alture i partigiani osservavano ciò che stava accadendo nei due paesi sanniti. Vedevano tanto fumo, sentivano gli spari dei bersaglieri, si sentivano impotenti di fronte a tanto orrore …… Molti volevano attaccare i piemontesi, anche sapendo di andare incontro a morte certa, visto il divario delle forze in campo …….. Giordano e i suoi scortarono oltre duemila casaldunesi fino alle porte di Benevento. Una volta in città Ursini chiese udienza al governatore. Fu incarcerato ! I morti furono tanti a Pontelandolfo e Casalduni, molti di piú che a Montefalcione, San Marco e Rignano, pure eccidiate ed incendiate ……. A Pontelandolfo e Casalduni i morti superarono sicuramente il migliaio, ma le cifre reali non furono mai svelate dal governo piemontese, come mai è stato svelato il numero dei morti della guerra civile del 1860-70. Il Popolo d’Italia , giornale filo governativo e quindi interessato a nascondere il piú possibile la verità sui morti, indicò in 164 le vittime di quell’eccidio, destando l’indignazione persino del giornale francese Patrie, filo unitario, e quella del mondo intero. Ma nessuno intervenne presso il governo dei carnefici piemontesi. L’invasione del Sud costò la vita, l’espatrio, il carcere ed il manicomio ad un milione di persone, costò la libertà e la dignità del popolo meridionale, ma, una cosa è certa, la gente del Molise, degli Abruzzi, del basso Lazio, della Terra di Lavoro, del Sannio, della Capitanata, della Basilicata ha venduto cara la propria pelle; ha dimostrato ai piemontesi ed al mondo di avere carattere e coraggio. Francesco II e la Regina Sofia sui bastioni di Gaeta disprezzarono la morte. Vittorio Emanuele III di Casa Savoia nel 1943 ha dimostrato di essere un codardo. Cosí il generale Cialdini, un vero assassino e criminale di guerra, a Custoza scappò come un coniglio di fronte all’esercito austriaco. Il colonnello Gaetano Negri, milanese purosangue, scrivendo al padre dopo l’eccidio di Pontelandolfo, non mostrò alcun segno di pentimento e di umanità. Questo signore fu eletto sindaco del capoluogo lombardo negli anni ottanta.

                       
                      Casalduni                                                                      Pontelandolfo prima della strage  

    Riportiamo qui di seguito uno stralcio di quella lettera:

     Napoli, agosto 1861- Carissimo papà, Le notizie delle province continuano a non essere molto liete. Probilmente anche i giornali nostri avranno parlato degli orrori di Pontelandolfo. Gli abitanti di questo villaggio commisero il piú nero tradimento e degli atti di mostruosa barbarie; ma la punizione che gli venne inflitta, quantunque meritata, non fu per questo meno barbara. Un battaglione di bersaglieri entrò nel paese, uccise quanti vi erano rimasti, saccheggiò tutte le case, e poi mise il fuoco al villaggio intero, che venne completamente distrutto. La stessa sorte toccò a Casalduni, i cui abitanti si erano uniti a quelli di Pontelandolfo. Sembra che gli aizzatori della insurrezione di questi due paesi fossero i preti; in tutte, le province, e specialmente nei villaggi della montagna, i preti ci odiano a morte, e, abusando infamemente della loro posizione, spingono gli abitanti al brigantaggio e alla rivolta. Se invece dei briganti che, per la massima parte, son mossi dalla miseria e dalla superstizione, si fucilassero tutti i curati (del Napoletano, ben inteso!), il castigo sarebbe piú giustamente inflitto, e i risultati piú sicuri e piú pronti..
    Una vera bestia immonda. Se simili personaggi hanno fatto l’Italia una, oggi non dobbiamo piangere sulle due Italie: una ricca e prospera e l’altra povera. Questi personaggi hanno distrutto le ricchezze del Sud, hanno massacrato e fucilato gli uomini migliori, mentre hanno costretto all’emigrazione una grande moltitudine di Meridionali. Il 15 agosto 1861 il Generalissimo Enrico Cialdini, dalla sede dell’alto Comando di Napoli, telegrafò al ministro della guerra piemontese e quindi al mondo intero: “ieri all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni”.

    fonte: www.pontelandolfonews.com

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