Intervista all’attrice Sara Valerio, a cura di Maurizio Vitiello. foto

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    Intervista di Maurizio Vitiello – Sara Valerio risponde a sei domande.

    MV – Puoi raccontarci dei tuoi esordi?
    SV – Come tanti altri attori e attrici ho frequentato, subito dopo il liceo, una scuola di teatro romana. Una di quelle che si frequentano per passione, senza nessuna velleità professionistica. Durante queste lezioni il virus del teatro mi ha contagiata e ho avuto la fortuna di lavorare subito. Sono entrata al Teatro dell’Orologio, all’epoca diretto da Mario Moretti, e ho iniziato la mia carriera di professionista. In seguito ho sentito, presto, l’esigenza di imparare ancora e da quel momento non ho ancora smesso.

    MV – Puoi dettagliare i lavori a cui hai partecipato e di quelli dove sei anche autrice?
    SV –  Gli spettacoli fortunatamente sono tanti, citarli tutti significherebbe sciorinare il curriculum. E’ più facile dire che ho potuto lavorare con grandi maestri che mi hanno insegnato innanzitutto l’umiltà di questo mestiere. Parlo di personaggi come Mario Scaccia e Julia Varley, molto diversi, ma entrambi artigiani del mestiere.
    Voglio bene a tutti gli spettacoli a cui ho partecipato, anche quelli brutti (forse quelli da cui ho imparato di più).
    Come autrice ho sentito l’esigenza di raccontare quel che non va, quello che mi indigna, di rendere concreta la frase di Streheler “Il teatro deve essere specchio del suo tempo”
    Sicuramente lo spettacolo fondamentale da questo punto di vista è “Morire di pace” dalla storia vera di Stefano Melone, sulla tematica dell’uranio impoverito.

    MV – Puoi dirci dei tuoi spettacoli di questi ultimi anni a favore della disciplina di un'ecologia ambientale e in quali città sono stati prodotti?
    SV –  Esclusivamente di ecologia ancora non mi sono occupata, molti spettacoli avevano anche questo aspetto al loro interno, come quello sull’uranio. Sicuramente il prossimo, quello sulla discarica di Malagrotta, sarà più inerente. La mia città è Roma ed è qui che lavoro. Parlare di produzione sarebbe bello: quasi sempre si tratta di autoproduzione. Con molta fatica.

    MV – Quale ventaglio di proposte affronterai nel tuo futuro lavoro?
    SV – Ad ottobre sarò in scena a Roma al teatro Sala Umberto con un “Le bal. L’Italia balla dal 1940 al 2001” con la regia di Giancarlo Fares tratto dall’omonimo canovaccio di Jean-Claude Penchenant e da cui Ettore Scola ha tratto il film “Ballando ballando”. Sono impegnata nella realizzazione di due nuovi spettacoli di teatro di narrazione, sempre in collaborazione con Giancarlo Fares, e mi aspetta una commedia ironica e leggera sulla vita di coppia.

    MV – Quali soddisfazioni hai raccolto nella disamina delle catastrofi ambientali che affliggono il nostro Paese?
    SV –  Le soddisfazioni più grandi me le ha sempre dato il pubblico. A Milano, con una pessima organizzazione, mi trovai ad andare in scena per un unico spettatore. La replica più bella della mia vita. Per me il teatro è raccontare storie e la mia soddisfazione è accorgermi di aver contribuito alla ricchezza di chi quelle storie le ascolta. Chiaramente parlo di ricchezza culturale. Purtroppo la critica non ha idea della mia esistenza.

    MV – Il pubblico come risponde a un maggior rispetto ambientale?
    SV – Bisogna saperle raccontare le storie, non attaccare il pubblico, ma renderlo partecipe, non sottovalutarlo mai  e allora il pubblico è pronto a riceverle, ad indignarsi insieme a me, a combattere una battaglia insieme, anche nella quotidianità
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