Mons. Michele Natale, vescovo di Vico Equense, martire della Repubblica Napoletana del 1799

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Dopo oltre due secoli viene celebrata una messa in suo ricordo nella ex-cattedrale di Vico Equense

di Salvatore Ferraro 

il 20 agosto del 1799, in Piazza Mercato a Napoli, dopo essere stato catturato e rinchiuso nel carcere di Castel Capuano, fu giustiziato il vescovo “giacobino” di Vico Equense, Mons. Michele Natale (1751-1799). Prima di lui era  toccato all’ammiraglio Francesco Caracciolo; insieme a Natale andarono al patibolo Eleonora Fonseca Pimentel, direttrice del Monitore Napoletano, Giuliano Colonna dei  principi di Stigliano, Gennaro Serra dei Duchi di Cassano, l’avvocato Vincenzo Lupo, il professore di matematica Nicola Pacifico, il banchiere Domenico Piatti e suo figlio Antonio. Successivamente moriranno gli avvocati Nicola Fasulo di Sorrento, Domenico Antonio Pagano, il notaio Luigi Bozzaotra di Massa Lubrense, il medico Domenico Cirillo, l’avvocato Francesco Mario Pagano, l’archeologo Pasquale Baffi, il benedettino Francesco Guardati di Sorrento, Vincenzio Russo di Palma Campania, Francesco Conforti, Nicola Fiorentino e il medico di Capri Gennaro Arcucci.

            Oltre un centinaio di cittadini furono uccisi dai Borboni nel corso di quattordici  lunghissimi mesi, dal 24 giugno 1799 all’11 settembre 1800. Come si era giunti a queste tristissime vicende,  al fallimento dell’esperienza repubblicana, col tragico sacrificio finale del fior fiore degli intellettuali? Bisogna ricordare che il 21 gennaio 1799  i patrioti napoletani proclamarono la Repubblica Napoletana in Castel S. Elmo, prima ancora che giungessero le truppe del generale francese Championnet; dopo pochi mesi, il 14 giugno con l’arrivo dell’esercito sanfedista, guidato dal cardinale Fabrizio Ruffo, furono costretti alla resa i principali punti di difesa di Napoli (il fortino del Granatello, il ponte della Maddalena e il forte del Carmine), nonostante l’eroica resistenza dei repubblicani. In questa occasione  morirà  sul ponte della Maddalena anche il poeta e avvocato Luigi Serio, originario di Vico Equense.

            Terminava tragicamente, dopo 144 giorni, la Repubblica Napoletana del 1799, che fu un momento fondamentale non solo nella storia meridionale, ma anche nell’elaborazione della tradizione democratica italiana.

            Come si può notare dall’elenco precedente, avevano  partecipato a tali vicende membri della nobiltà, uomini di legge, ecclesiastici, letterati, scienziati ed artisti, uomini e donne, i quali non solo a Napoli, la capitale del regno Borbonico, ma anche in tutto il Mezzogiorno si erano schierati su posizioni di progresso e di lotta per rinnovare la vita civile ed economica, seguendo l’insegnamento dell’economista e giurista Gaetano Filangieri (morto a Vico Equense  nel 1788) e dell’economista, giurista e filosofo Antonio Genovesi ( 1713-1769).

            I rivoluzionari di tutte le regioni del Sud, purtroppo, ebbero a disposizione per la loro opera poco tempo e, pur con le limitazioni di vario genere, misero sul tappeto i  grandi e gravi problemi del Mezzogiorno arretrato culturalmente e materialmente, innanzitutto quello della terra, ma non poterono superare la divisione tra la capitale e le province e fra la classe politica progressista e le masse delle città e delle campagne.

            La qualità culturale, morale e politica di questa prima classe liberale e democratica, afferma lo storico Giuseppe Galasso, fu altissima, ma proprio il loro impegno ed il loro sacrificio dimostrarono che la guida intellettuale non poteva sostituire quella sociale ed economica: era troppo forte il distacco morale e socio- culturale tra le grandi masse  proletarie e gli intellettuali, i quali se ne resero presto conto e cercarono con ogni mezzo di diffondere le idee rivoluzionarie ( di libertà, uguaglianza e fraternità) e di neutralizzare gli attacchi della propaganda controrivoluzionaria, non meno agguerrita e diffusa, che additava nei “giacobini” degli uomini senza Dio. Giornali in lingua italiana e in  dialetto, catechismi repubblicani, lettere pastorali, canzoni, inni, dialoghi, ragionamenti si divulgarono in modo rapido e precario, sottoposti ad una censura incalzante e oggi a stento sopravvissuti.

            Le autorità repubblicane cercarono fortemente la collaborazione degli ecclesiastici, specialmente dei vescovi che, a capo delle diverse diocesi, potevano diffondere più facilmente e capillarmente i nuovi princìpi. I vescovi delle nostre zone, sia  attraverso le lettere pastorali  ( vedi quella di Mons. Della Torre diretta ai fedeli di Lettere) sia attraverso i catechismi ( assai noto è quello attribuito erroneamente a Mons. Natale, vescovo di Vico Equense),  proclamarono decisamente che vi era una continuità tra il messaggio evangelico e quello repubblicano e che solo la partecipazione diretta e cosciente delle masse popolari  avrebbe potuto realizzare una vera società democratica.

            Tra i vari ecclesiastici non si sottrasse a questo compito il futuro vescovo di Vico Equense, Mons. Michele Natale. Nato a Casapulla (in provincia di Caserta) nel 1751, fu ammesso nel 1771 nel seminario di Capua e, ordinato sacerdote nel 1775 dal vescovo di Calvi, Giuseppe Maria Capece-Zurlo, futuro cardinale e arcivescovo di Napoli, intraprese con impegno la missione sacerdotale in vari luoghi della diocesi di Capua. Agli inizi degli anni Ottanta fece parte della massoneria napoletana: infatti frequentava con il grado di “apprendente” la loggia La Vittoria”,  nella quale militavano personalità di spicco della società napoletana del tardo Settecento (Diego Naselli, Kiliano Caracciolo, Antonio Pianelli, Giuseppe Vairo, Giuseppe Zurlo…). Nel 1785 ebbe occasione di conoscere il teologo luterano danese Friedrich M?nter, giunto a Napoli per una missione non soltanto culturale ma anche politica, allo scopo di favorire la riorganizzazione della libera massoneria nel Regno borbonico.

            Dopo aver svolto vari incarichi tra Casapulla e Capua, a partire dal 1792, come segretario di Mons. Agostino Gervasio, confessore speciale della regina  Maria Carolina, ebbe occasione di frequentare la capitale borbonica e gli ambienti di corte.

            Nel 1797 fu designato dal re Ferdinando IV quale vescovo di Vico Equense, sede vacante dal 1792. Al momento della nomina, non avendo alcun titolo accademico richiesto dalle norme vigenti, dovette sostenere gli esami di teologia presso l’Ateneo napoletano; inoltre, essendo le sue condizioni economiche inadeguate a far fronte alle spese, chiese al sovrano di ipotecare i fondi della mensa vescovile per ottenere un prestito. Consacrato vescovo a Roma il 21 dicembre, prese possesso della sua diocesi per procura il 1°gennaio del 1798 e alloggiò successivamente nel castello del feudatario, perché il palazzo vescovile ( ora sede dell’Istituto comprensivo  costiero) era inabitabile.

            Scarsa è la documentazione riguardante la sua attività episcopale, ma sappiamo che ben presto aderì alla Repubblica Napoletana. Il 24 gennaio 1799 indisse “pubbliche grazie a Dio per aver salvato il Regno di Napoli dagli orrori dell’anarchia” ed in tale occasione fu eletto Presidente  della Municipalità di Vico Equense. Tale scelta purtroppo non fu condivisa, tanto che alcuni oppositori saccheggiarono la sua abitazione e fu costretto a riparare a Napoli. Il 30 aprile  inviò ai Vicani una lettera –manifesto (Lettera del cittadino Michele Natale Vescovo di Vico Equense e Presidente di quella  Municipalità a’ cittadini suoi diocesani) in cui ricordava le violenze e i contrasti avvenuti nella città, ma anche i provvedimenti da lui adottati in materia di approvvigionamento alimentare, di controllo dei prezzi e di riduzione del peso fiscale. L’appello finale ad essere fedeli “alla Repubblica nostra Madre, che per Divina Disposizione è stata fondata”, si concludeva con la minaccia di scomunica per quanti avessero continuato a sostenere in armi la causa realista. Inutilmente il vescovo aveva cercato di divulgare il nuovo messaggio presso le classi popolari con la diffusione del “Catechismo repubblicano per  l’istruzione del popolo e la rovina  de’ tiranni”, un’opera non certo sua, come è stato dimostrato negli ultimi anni da vari studiosi, ma che ebbe larga diffusione e popolarità.

            Riconosciuto ed arrestato dalle truppe borboniche, fu ben presto processato e condannato a morte per alto tradimento dalla Giunta di Stato e fu impiccato il 20 agosto sulla piazza del Mercato insieme ad altri repubblicani (fra cui la famosa Eleonora Fonseca Pimentel). Oltre a Mons. Natale il clero napoletano pagò un altissimo tributo di sangue, ma altri vescovi sfuggirono alla morte, come il vescovo di Capri Nicola Saverio Gamboni (sepolto nel Duomo di Milano) ed il Vescovo di Lettere Bernardo Della Torre, che occuperà successivamente importanti cariche.

            I cadaveri di coloro che furono giustiziati in Piazza del Mercato a Napoli furono raccolti dai Padri Carmelitani nei sotterranei della vicina Basilica del Carmine, dove è giusto che sia data loro “requiem aeternam” senza  che  a qualcuno,  a qualche Ente o Associazione venga in mente, a distanza di oltre due secoli, di disturbare il loro eterno riposo. Il 30 dicembre 2015 l’Amministrazione  Comunale ha deliberato di conferire a Mons. Michele Natale, ultimo vescovo della  diocesi di Vico Equense, la “cittadinanza onoraria alla memoria”.

            Il filosofo e storico Benedetto Croce ( 1866-1952) nella notissima opera su “La rivoluzione napoletana del 1799” ha scritto: Nella storia è grandissima quella che potrebbe dirsi l’efficacia  dell’esperimento non riuscito, specie quando vi si aggiunga la consacrazione di un ‘eroica caduta. E quale tentativo fallito ebbe più feconde conseguenze della Repubblica napoletana del Novantanove? Essa valse a creare una tradizione rivoluzionaria e l’educazione dell’esempio nell’Italia meridionale…Essa, mettendo a nudo le condizioni reali del paese, fece sorgere il bisogno di un movimento rivoluzionario fondato sull’unione delle classi colte di tutte le parti d’Italia, e gittò il primo germe dell’unità italiana; mentre spinse i Borboni ad appoggiarsi sempre più sulla classe che li aveva meglio sostenuti in quell’anno, ossia sulla plebe, trasformando via via l’illuminata monarchia di re Carlo Borbone in quella monarchia lazzaronesca, poliziesca e soldatesca, che doveva finire nel 1860…Così, per effetto del sacrificio e delle illusioni dei patrioti, la repubblica del Novantanove, che per se stessa non sarebbe stata altro che un aneddoto, assurse alla solenne dignità di avvenimento storico. E ad essa si rivolge ora lo sguardo, quasi a cercarvi le origini sacre della nuova Italia.

            Il ricordo della tragica fine di Mons. Michele Natale ci spinga a meditare sul nostro passato e a riflettere sul nostro futuro, alle soglie del Terzo Millennio.

 

            Vico Equense , agosto 2016                                         

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